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Wangari Maathai e il Green Belt Movement

Wangari Maathai ha fondato il Green Belt Movement con il doppio intento di salvaguardare l’ambiente e combattere le disuguaglianze di genere attraverso la promozione del lavoro femminile.

Viaggiando per il Kenya a scopo di ricerca, Maathai si rende conto che la povertà del suo paese è strettamente connessa al depauperamento ambientale e che la soluzione del problema passa attraverso il coinvolgimento delle donne. Crediti immagine: Oregon State University, Flickr

Il 5 giugno del 1977, giornata mondiale dell’ambiente, una processione di donne kenyane attraversa Nairobi e pianta sette alberelli in un parco alla periferia della città. È l’atto di nascita del Green Belt Movement, associazione non governativa contro la deforestazione e lo sfruttamento del suolo. Oggi, a distanza di quarant’anni, gli alberi piantati in Kenya sono oltre 51 milioni, più dei circa 40 milioni di abitanti del paese. Motore dell’iniziativa sono, non a caso, le donne. Il Green Belt Movement nasce infatti col doppio intento di salvaguardare l’ambiente e combattere le disuguaglianze di genere attraverso la promozione del lavoro femminile. Dal 1977 a oggi, oltre 30.000 donne delle aree rurali del Kenya hanno coltivato piantine, piantato alberi e svolto altre attività connesse allo sviluppo del territorio e delle sue risorse – come l’apicoltura e la conservazione dell’acqua piovana – ricevendo un compenso per il loro lavoro. A fondare il movimento e a guidarlo per decenni è stata Wangari Maathai. Biologa, ambientalista, attivista per i diritti delle donne, premio Nobel per la pace nel 2004.

Wangari Muta Maathai nasce nel 1940 in un villaggio nella regione di Nyeri, nel Kenya centrale. Entrambi i genitori sono di etnia Gĩkũyũ e fanno gli agricoltori. Cresce in un ambiente restrittivo e tradizionalista in cui l’educazione femminile non è contemplata, ma uno dei fratelli maggiori riesce a convincere il padre a farla studiare. Dopo aver frequentato la scuola elementare del suo villaggio natale, si iscrive alla St. Cecilia’s Intermediate Primary School, un istituto cattolico gestito da suore italiane in cui le lezioni non sono in kikuyu, la lingua parlata dalla sua tribù, ma in inglese. Wangari impara subito la nuova lingua e ottiene risultati eccellenti in tutte le materie. Nel 1956, grazie ai suoi voti e all’inglese fluente, viene ammessa alla Loreto Girls’ High School di Limuru, nei pressi di Nairobi, una delle poche scuole superiori africane aperte alle ragazze. Nel 1960 è fra i trecento studenti africani selezionati dal governo americano per studiare negli Stati Uniti. Si trasferisce ad Atchinson, in Kansas, dove frequenta il Mount St. Scholastica College. Non ha la possibilità di tornare in Kenya e per mantenersi lavora come tecnico di laboratorio. In quegli anni, che segneranno profondamente la sua vita, entra in contatto con l’ambiente della controcultura, partecipa ai cortei contro la guerra in Vietnam e sposa le battaglie per i diritti civili della comunità afroamericana. Vive ancora negli Stati Uniti quando, il 12 dicembre del 1963 – poche settimane dopo l’assassinio di Kennedy – il Kenya ottiene l’indipendenza dal Regno Unito. L’anno successivo consegue una prima laurea in biologia e nel 1965 si specializza all’Università di Pittsburgh. In questo periodo viene a conoscenza delle attività del movimento ambientalista della città, in prima linea nella lotta contro l’inquinamento dovuto alle emissioni industriali.

Nel gennaio del 1966 viene nominata assistente del professore di zoologia dell’Università di Nairobi. Così, dopo quasi sei anni negli Stati Uniti, decide di tornare in Kenya. Non lascerà mai più il paese. Il rientro non è dei più facili: all’ultimo minuto il suo lavoro viene assegnato a qualcun altro, probabilmente a causa di pregiudizi di genere e per questioni legate al gruppo etnico di appartenenza. Pochi mesi dopo, però, grazie all’aiuto di Reinhold Hofmann, un professore dell’Università tedesca di Glessen, trova lavoro come assistente di laboratorio presso il dipartimento di anatomia veterinaria dell’Università di Nairobi. Qui porta avanti i suoi studi e nel 1971 consegue il dottorato. È la prima donna dell’Africa centro-orientale a raggiungere questo traguardo. Negli anni successivi prosegue la sua carriera all’interno dell’università kenyana e colleziona altri primati. Nel 1976 diventa presidente del dipartimento di anatomia veterinaria e nel 1977 ottiene l’incarico di professore associato. Parallelamente si attiva nel sociale, lotta per i diritti delle donne africane e sfrutta le sue conoscenze in ambito biologico per portare avanti iniziative utili per l’ambiente e lo sviluppo del territorio. Inizia a collaborare con la Croce Rossa del Kenya ed entra a far parte dell’Environment Liason Centre e del National Council of Women of Kenya (NCWK), associazione nata con lo scopo di migliorare le condizioni di vita delle donne kenyane. Per svolgere una ricerca sui parassiti del bestiame percorre il Kenya in lungo e in largo e tocca con mano i danni ingenti all’ambiente e alle persone causati dalla distruzione di gran parte della vegetazione del luogo, sostituita da estese monocolture commerciali di tè e caffè; smottamenti, frane e l’interramento di interi corsi d’acqua sono solo alcuni degli effetti dell’erosione del suolo dovuta alla deforestazione; incontra le donne del luogo, che si lamentano per il terreno impoverito e privo di sostanze nutritive, per la mancanza di legna da ardere e di zone in cui far pascolare il bestiame e per la scarsità di acqua potabile dovuta al prosciugamento dei fiumi. Maathai si rende conto che la povertà del suo paese è strettamente connessa al depauperamento ambientale e che la soluzione del problema passa attraverso il coinvolgimento delle donne. Nel giugno del 1976 si reca a Vancouver per partecipare ad Habitat I, la prima conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani. Al suo ritorno, durante una riunione del NCWK, propone una soluzione semplice ma geniale: far piantare alberi alle donne del luogo. Nasce così il Green Belt Movement.

Oltre a portare avanti la campagna d’inserimento di alberi indigeni, arbusti e alberi da frutto, il Green Belt Movement sviluppa programmi educativi per le donne kenyane e altre attività volte alla promozione dell’uguaglianza di genere. Maathai lascia il suo incarico all’università e negli anni successivi continua a lottare per l’ambiente e i diritti delle donne del suo paese. Il suo coraggio e la sua determinazione la portano a scontrarsi spesso con il regime oppressivo di Daniel Toroitich arap Moi, al governo del Kenya dal 1978 al 2002. Partecipa più volte alle elezioni politiche, ma non viene mai eletta; subisce invece diversi arresti per le sue battaglie ambientaliste ed egualitarie. Nel 2002 riesce finalmente a entrare in parlamento; il suo partito fa parte della coalizione vincitrice e Maathai diventa vice ministro dell’ambiente e delle risorse naturali, carica che coprirà dal 2003 al 2005. Nel frattempo ottiene il premio Nobel per la pace per i suoi contributi allo sviluppo sostenibile e le sue lotte a favore delle donne e contro i soprusi del regime. Nel corso della sua vita riceve decine di altri premi e riconoscimenti, tra cui il Conservation Scientist Award della Columbia University e la prestigiosa Légion d’honneur della Repubblica francese. Muore prematuramente, di cancro, nel settembre del 2011.


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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.