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Aree marine protette, “cuscinetti” contro il cambiamento climatico

Le aree marine protette di tutto il pianeta proteggono gli habitat e le specie che ci vivono, ma possono mitigare anche gli effetti del riscaldamento globale. Secondo gli esperti, è necessario istituirne di più e su larga scala.

Le aree marine protette, come quella dell’isola dell’Asinara, sembrano svolgere un ruolo da cuscinetto contro il cambiamento climatico. Crediti immagine: Markus Braun, Wikimedia Commons

AMBIENTE – Il Gabon, nell’Africa Centrale, ha appena annunciato la creazione della più grande rete di aree marine protette (AMP) sul continente africano: oltre 20 tra parchi e riserve, più di 50 000 chilometri quadrati di oceano. Acque che ospitano balene, delfini, ma anche la più grande popolazione di tartarughe liuto (Dermochelys coriacea) del pianeta, una specie minacciata a causa del bycatch, delle attività antropiche sulla costa e del consumo umano delle loro uova e della carne.

Proprio mentre questo progetto diventa realtà, uno studio appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences sottolinea ancora una volta l’importanza delle aree marine protette, ma stavolta con un ruolo preciso: come “cuscinetti” contro il cambiamento climatico, zone in grado di mitigare gli effetti del riscaldamento globale e proteggere, così, gli ecosistemi e le popolazioni umane. Insieme.

Il gruppo internazionale di scienziati, guidato da Callum Roberts della University of York, ha identificato cinque effetti chiave delle aree marine protette che possono aiutare gli habitat oggi e negli anni a venire: contrastare l’acidificazione degli oceani e l’aumento del livello del mare, mitigare l’intensità degli eventi climatici estremi come le tempeste, facilitare gli spostamenti alle specie animali che cercano temperature più miti, favorire la produttività degli oceani e scongiurare la formazione di “zone morte” prive di ossigeno (i cui impatti sono, oltre che ambientali, economici).

Al momento solo il 3,5% degli oceani è tutelato, ma è un minuscolo 1,6% a essere protetto davvero, con il divieto di qualsiasi attività di sfruttamento. Secondo le ultime valutazioni dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, entro il 2030 almeno il 30% degli oceani dovrebbe essere area protetta. Un obiettivo fin troppo ambizioso se guardiamo quale altro traguardo dovremmo tagliare quell’anno secondo l’agenda delle Nazioni Unite: la fine dell’overfishing, il sovrasfruttamento delle risorse ittiche degli oceani.

Il gruppo di ricerca di Roberts ha valutato gli studi soggetti a peer review pubblicati finora sulle riserve marine del pianeta; tra le “conseguenze” positive dell’istituzione di queste aree, c’è anche il loro ruolo nella cattura e sequestro del carbonio dalle emissioni di gas a effetto serra negli ambienti umidi costieri. Un vero e proprio servizio ecosistemico, un capitale naturale.

“Molti studi mostrano che le riserve marine gestite correttamente possono proteggere la fauna selvatica e supportare un’industria ittica produttiva, ma volevamo esplorare la letteratura attraverso la lente del cambiamento climatico, per vedere se questi benefici possono contribuire a ridurne o rallentarne l’impatto”, spiega Roberts in un comunicato.

È stato subito chiaro che le aree protette aumentano la resilienza degli ecosistemi e delle persone ai rapidi cambiamenti del clima. Un aiuto fondamentale se pensiamo che ben oltre il 40% della popolazione globale vive entro 150 chilometri dalla costa, aree fortemente a rischio di fronte a tempeste, tsunami ed eventi climatici estremi di ogni sorta. Sono i futuri migranti climatici, come li chiamò il lungimirante ambientalista Lester Brown negli anni Settanta del secolo scorso: persone costrette a partire e lasciare il proprio luogo di residenza a causa di eventi climatici estremi.

Nelle aree marine protette gestite in modo corretto, in piedi da lungo tempo e dove è vietato ogni tipo di attività umana – dalla pesca all’esplorazione ed estrazione petrolifera e minerale – i benefici sono ancora maggiori, spiegano gli autori dello studio. La strategia migliore sarebbe puntare ad aree protette su larga scala, che vadano oltre la giurisdizione nazionale.

“Le riserve marine sono riserve climatiche”, commenta in un comunicato Matt Rand, direttore del Pew Bertarelli Ocean Legacy Project, che ha finanziato parte dell’indagine. “Questo studio dovrebbe essere un ulteriore incoraggiamento per i decisori politici, mostra che creare riserve marine efficacemente gestite può portare moltissimi benefici”.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".