IL PARCO DELLE BUFALE

Squali nel mare dell’editoria scientifica

Jeffrey Beall su Biochemia Medica racconta la rabbia davanti alla tolleranza per le contraffazioni, le frodi e le patacche dimostrate dalla comunità scientifica.

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IL PARCO DELLE BUFALE – Dopo aver chiuso il suo blog, il bibliotecario e ricercatore dell’università del Colorado Jeffrey Beall non si era più fatto vivo. Su Biochemia Medica racconta ora le sue avventure e disavventure mentre compilava l’elenco di riviste ed editori variamente truffaldini che proliferano in rete come conigli. Ne trae conclusioni a volte discutibili, almeno per chi milita per l’open access. Difficile però non condividerne lo sbigottimento e la rabbia davanti alla tolleranza per le contraffazioni, le frodi e le patacche dimostrate dalla comunità scientifica.

Mi sorprendeva sempre che i ricercatori  che avevano pubblicato in una o più riviste di un editore predone ne diventano i più grandi difensori. È come se provassero un senso di lealtà verso l’editore.

Nella (molto più piccola) esperienza di questa rubrica, sorprendono altrettanto l’apparente caduta dal pero, le promesse – in privato e poi non mantenute, ovviamente – di ripulire il cv da titoli come “direttore” o “redattore” o “membro del comitato editoriale” in riviste-spazzatura. Il tutto accompagnato da minacce  e proteste per l’ignobile tentativo di discreditare persone tanto illustri e oneste.

Ma questo è il meno. A parte tre esempi virtuosi, in Italia le autorità accademiche difendono chi si compra articoli indegni su riviste che lo sono ancora di più. E rifiutano di confermare o smentire che le indegnità sono pagate con fondi pubblici.

Credo che per la scienza gli editori predoni siano il pericolo peggiore dai tempi dell’Inquisizione,

(Jeff, stai esagerando!)

Mettono in pericolo la ricerca perché non tracciano un confine tra scienza autentica e metodologicamente errata, lasciano la scienza contraffatta – come la medicina complementare e alternativa – pavoneggiarsi come fosse autentica […]. Non c’è più una separazione netta tra la ricerca medica autentica e contraffatta, sebbene questa ricerca sia la più importante per l’umanità.

La custode del Parco sottoscrive con mani e piedi. Omeopati hameriani, omotossicologi, anti-vaccinisti e altri fanno troppe vittime anche in Italia.

Però non risultano pavoneggiarsi unicamente sulle riviste di editori predoni. L’oligopolio dei cinque grandi editori commerciali – a cominciare da Elsevier descritto da Beall come una povera vittima dei fanatici dell’open access – offre loro una scelta di riviste a pagamento per chi legge o in open access.

Esattamente come ne offre alle réclame mascherate da “ricerca medica autentica” pagate dalle industrie farmaceutiche, del bio-tech o degli integratori dietetici.

Beall accusa di aver contribuito alla corruzione perfino i bibliotecari:

I bibliotecari accademici mi hanno aggredito costantemente perché oso sottolineare le debolezze del modello editoriale open access.

(La custode sa di poter contare su bibliotecarie sagge e intrepide.)

Se un’intera comunità è complice o rifiuta di sanzionare i complici, come se ne esce? Paradossalmente, Jeffrey Beall preconizza la soluzione ideata dagli scienziati che hanno organizzato il boicottaggio di Elsevier:

ritengo che avranno un ruolo gli archivi di pre-pubblicazioni e le riviste “overlay [che selezionano e commentano  pre-pubblicazioni]. Aumentano i siti di cui arXiv.org è stato il pioniere e servono un numero crescente di discipline. Mi aspetto che continui così. Rispetto alle riviste scientifiche di alta qualità, sono poco costosi da gestire – in particolare se non provvedono alla peer-review e alla correzione delle bozze.

Cioè se chi gestisce gli archivi non fa nulla per aiutare gli addetti ai lavori e chi ne finanzia i lavori a dare un senso e un valore almeno a una parte dei 2,8-3 milioni di articoli prodotti ogni anno.

Alla custode del Parco sembra una visione molto riduttiva delle riviste scientifiche in generale, dell’impegno redazionale e delle conoscenze che richiedono a chi ne prepara le pubblicazioni e le collega a banche-dati, data-base, registri di identificatori come ORCID ecc.

Nel caso della ricerca medica, teme che sarebbe un pericolo peggiore “dell’Inquisizione”.

Tim Gowers dell’Università di Cambridge, che aveva lanciato la rivolta contro Elsevier, conosce personalmente o di fama i pochi matematici con la sua stessa specializzazione. Non gli costa molta fatica ricordare loro di scegliere un articolo di arXiv sulla decina che arrivano ogni mese, trovare chi scrive “l’introduzione redazionale” su Discrete Analysis, la impagina e magari modera i commenti.

In oncologia, mettiamo, come si fa? Chi valuta la competenza e l’integrità dei partecipanti all’overlay? L’appartenenza alla comunità scientifica, a quella dei ciarlatani o a “consulenze” variamente truffaldine i cui servizi comprendono indici bibliometrici vantaggiosi per la carriera?

Il boom demografico dei ricercatori e gli indici con i quali sono valutati dagli amministratori – altro boom – hanno reso impraticabile il ritorno al gentleman’s agreement basato sulla fiducia reciproca, auspicato da Beall. Almeno così sembra alla custode.

Consulta con gratitudine la lista di Beall, ma ricorda che prima dell’open access non tutti gli scienziati erano gentiluomini e che ci sono squali anche fra gli editori delle riviste alle quali è abbonata.

Leggi anche: Fine della lista di Beall

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