SALUTE

Sempre più diabetici in Africa Subsahariana

È diabetico il 22% nella popolazione adulta e il 30% dei 55-65 anni. E se non si farà nulla per invertire la rotta la perdita di produttività della regione sarà tangibile.

Attualmente, solo la metà di coloro che hanno il diabete hanno ricevuto una diagnosi, e fra questi solo 1 su 10 riceve il trattamento. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – Il numero di persone con diabete nell’Africa Subsahariana è aumentato molto rapidamente negli ultimi tre decenni. In alcuni paesi la prevalenza della malattia ha raggiunto quasi il 22% nella popolazione adulta e fino al 30% negli uomini e donne di età compresa tra 55 e 65 anni. Una spinta dovuta in parte alla crescita e all’invecchiamento della popolazione mondiale, ma anche ai cambiamenti nello stile di vita e nelle abitudini alimentari, all’urbanizzazione e a contesti produttivi in evoluzione.

Il problema è che molti, troppi malati, non lo sanno. Attualmente, solo la metà di coloro che hanno il diabete hanno ricevuto una diagnosi, e fra questi solo 1 su 10 riceve il trattamento. Un fenomeno che porta con sé un’elevata prevalenza di complicazioni e una mortalità precoce, anche in persone relativamente giovani. A questo si unisce la debolezza dei sistemi sanitari dell’Africa Subsahariana, che sono spesso poco preparati per curare le malattie croniche complesse.
La sfida del diabete che sta affrontando l’Africa sub-sahariana – denuncia una commissione coordinata dagli esperti della Harvard School of Public health su un articolo apparso i giorni scorsi su The Lancet Diabetes & Endocrinology – è enorme e peggiorerà rapidamente se non vengono adottate misure efficaci. Se non si farà nulla per affrontare il problema, il costo complessivo del diabete nella regione potrebbe quasi triplicare, superando i 59 miliardi di dollari entro il 2030, l’1,8% del prodotto interno lordo dell’intera regione. I costi sarebbero dovuti alle morti premature, alla fuoriuscita anticipata del personale dal mondo del lavoro e alla perdita di produttività a causa della cattiva salute.

La Commissione – composta da un gruppo multidisciplinare di oltre 70 medici, esperti di sanità pubblica, economisti e sociologi – ha lavorato per tre anni per la relazione, analizzando i dati sanitari riguardanti il periodo 2004-2013 che hanno incluso oltre 39.000 persone da 12 Paesi dell’Africa Subsahariana, e 6,096 operatori sanitari. Un altro interessante risultato è che oltre il 90% dei casi di diabete nell’Africa sub-sahariana è di tipo 2, che ci suggerisce che abbiamo a che fare con fattori di rischio modificabili perché correlati con lo stile di vita dell’individuo.

“Siamo stati spaventati sia dalla grandezza del problema, sia dalla velocità con cui il diabete si è evoluto e da quanto poco i sistemi sanitari stanno rispondendo” ha affermato Rifat Atun, della Harvard School of Public Health, uno degli autori principali del rapporto. C’è poi l’effetto domino. “Poiché il diabete è un fattore di rischio per altre malattie catastrofiche come malattie cardiache, ictus e insufficienza renale, la sua prevalenza crescente potrebbe spingere un’enorme ondata di malattie croniche in molti paesi dell’Africa Subsahariana, che non sono preparati a far fronte a questa emergenza”. Dopo decenni di focalizzazione su malattie infettive come l’HIV, la tubercolosi e la malaria – spiegano gli esperti – i sistemi sanitari sono in gran parte impreparati per affrontare il crescente peso del diabete.

Serve uno sforzo da parte di tutti – chiosano gli autori dalle pagine di The Lancet – comunità, governi nazionali e agenzie internazionali, comprese risorse finanziarie provenienti da nazioni e partner internazionali per la formazione degli operatori sanitari e il rafforzamento delle misure di prevenzione e del controllo della malattia, unitamente agli investimenti nell’ambito delle nuove tecnologie per migliorare l’efficacia di screening, diagnosi, monitoraggio e trattamento del diabete e delle sue conseguenze.

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.