SCOPERTE

Luna “bagnata”: i depositi vulcanici nascondono pepite di acqua

Se fino ad oggi si riteneva che la Luna fosse “a secco”, un nuovo studio dei ricercatori della Brown University ha scoperto la presenza di depositi vulcanici ricchi d’acqua. Il mantello lunare potrebbe essere decisamente bagnato e aprire nuovi scenari per le esplorazioni del nostro satellite

“I depositi sono distribuiti su tutta la superficie lunare, quindi l’acqua trovata nei campioni raccolti da Apollo non è un avvenimento unico e questo ci suggerisce che oltre ad essere presente nei depositi, sia anche presente nel mantello”. Crediti immagine: Olga Prilipko Huber

SCOPERTE – La Luna potrebbe essere ben più “bagnata” di quanto fino ad oggi ipotizzato dagli astronomi. Anzi, la parte più interna del satellite presenterebbe tra i suoi anziani depositi vulcanici distribuiti sulla superficie un grande quantità di acqua localizzata nel mantello, proprio come accade per il basalto sulla Terra. L’acqua non sarebbe allo stato liquido, ma intrappolata in dei grani di vetro, quasi delle pepite, che si sarebbero formati durante le esplosive eruzioni di magma provenienti proprio dall’interno lunare.

Se già nel 2008 il geologo Alberto Saal della Brown University aveva ipotizzato la presenza di acqua dall’analisi dei campioni di rocce lunari raccolte dalle missioni Apollo 15 e 17, ora il team della stessa università guidato da Ralph Milliken, professore associato del dipartimento Earth, Enviromental and Planetary Science, ha ampliato le ricerche del collega e grazie alle osservazioni spettroscopiche effettuate dalle sonde in orbita come l’indiana Chandrayaan-1 lunar orbiter è riuscito ad individuare altra acqua anche dai depositi non campionati dalle missioni spaziali della Nasa.

L’immagine rappresenta la mappa dei depositi vulcanici contenenti acqua. Le aree colorate indicano un elevato contenuto di acqua comparato con il terreno circostante e le zone gialle e rosse sono quelle più ricche di acqua. Crediti immagine: Milliken Lab/Brown University

Milliken ha pubblicato i risultati del suo studio condotto in collaborazione con Shuai Li, ricercatore dell’Università dell’Hawaii, sulla rivista Nature Geoscience e ha spiegato che proprio capire se le pepite di acqua fossero presenti solo nei campioni portati a terra o anche in altri luoghi non campionati fosse la chiave per risolvere il mistero dell’acqua sulla Luna:

“La questione chiave è se questi campioni di Apollo rappresentino la maggior parte delle condizioni dell’interno lunare o solo una insolita o anomala regione ricca di acqua in un mantello per lo più asciutto. Analizzando i dati orbitali, abbiamo esaminato i grandi depositi piroclastici sulla Luna che non sono mai stati campionati da Apollo o da altre missioni lunari. Il fatto che quasi tutti questi depositi mostrino segni di acqua suggerisce che i campioni di Apollo non rappresentavano anomalie, quindi gran parte dell’interno della Luna potrebbe essere bagnato”.

Ma come fare per determinare la presenza di acqua nei depositi vulcanici usando solo strumenti orbitali? Il compito, sottolineano i ricercatori, non è stato affatto facile. Gli spettrometri in dotazione agli scienziati infatti misurano le lunghezze d’onda a cui la luce viene riflessa e assorbita dalla superficie lunare e in questo modo sono in grado di determinare la composizione di minerali o di altri componenti del terreno.

Nel corso della giornata, però, la superficie lunare è soggetta a riscaldamento e questo avviene soprattutto nelle aree dove i depositi piroclastici in esame sono localizzati. Il risultato è che i dati raccolti dagli spettrometri vengono alterati dal calore e vanno “ripuliti”, perché le radiazioni termiche sono emesse proprio nelle lunghezze d’onda che servono agli scienziati per dare la caccia all’acqua sul satellite.

Riscaldando i campioni di roccia lunare raccolti nelle missioni Apollo, Li e Milliken li hanno analizzati e sono riusciti a definire la correzione termica da applicare ai dati raccolti dallo spettrometro Moon Mineralogy Mapper, che si trova a bordo della sonda spaziale indiana Chandrayaan-1 lunar orbiter. Proprio questa correzione ha permesso di individuare la distribuzione di depositi ricchi di acqua, spiega Milliken:

“I depositi sono distribuiti su tutta la superficie lunare, quindi l’acqua trovata nei campioni raccolti da Apollo non è un avvenimento unico e questo ci suggerisce che oltre ad essere presente nei depositi, sia anche presente nel mantello”.

Il risultato dei ricercatori della Brown Univesity pone così nuovi interrogativi sulla formazione del satellite e su come l’acqua vi sia arrivata. La teoria ad oggi più accreditata infatti è che il satellite si sia formato dallo scontro tra un corpo celeste grande quanto Marte, il pianeta Theia, e la Terra. Questo scontro però avrebbe generato un calore tale da bruciare tutto l’idrogeno necessario alla formazione delle molecole di acqua, come sottolinea Li:

“La crescente evidenza della presenza di acqua suggerisce che in qualche modo sia sopravvissuta al calore dell’impatto oppure che sia stata portata da asteroidi e comete subito dopo, quando la Luna non era ancora completamente solidificata. L’esatta origine dell’acqua all’interno della Luna rimane per noi un grande interrogativo”.

Lo studio non è solo un nuovo passo nella scoperta della storia dell’acqua nel sistema solare, ma getta anche basi importanti per le future esplorazioni lunari. Le perle vulcaniche infatti non contengono molta acqua, solo lo 0.5 percento del loro peso, ma i depositi sono enormi e si trovano in luoghi facilmente accessibili ai futuri esploratori lunari. L’acqua quindi potrebbe essere estratta dai depositi vulcanici, senza doverla portare da “casa”: una nuova alternativa che semplificherà e non poco le future missioni spaziali sul nostro satellite.

@oscillazioni

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.