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‘Alala, il ritorno del corvo “guardiano della famiglia”

Endemico delle Hawaii, è estinto in natura da 15 anni. Ma potrebbe tornarvi presto, grazie a un progetto di conservazione coordinato dallo zoo di San Diego. Ecco il primo dei nostri approfondimenti di agosto, dedicati all'ambiente delle isole tropicali

Un corvo ‘Alala, Corvus hawaiiensis. Fotografia per gentile concessione di San Diego Zoo Global

SPECIALE AGOSTO – Quando si pianifica il ritorno in natura di una specie estinta è fondamentale che chi vive sul territorio (sì, parliamo di umani) sia pronto ad accoglierla. Preparato magari a subire qualche piccolo danno, a cambiare le sue abitudini, ma anche a riscoprire un abitante locale che non ha mai conosciuto, perché scomparso da tempo dal suo habitat.

Non stiamo parlando di de-estinzione né del famoso cavallo di Przewalski, bensì di un più piccolo, meno conosciuto e ormai rarissimo animale: il corvo ‘Alala, Corvus hawaieensis, un corvide endemico delle isole Hawaii il cui ultimo esemplare è morto in natura nel 2002. Da allora la specie sopravvive solo in cattività, grazie a un programma di conservazione coordinato dal San Diego Zoo – in collaborazione con la State of Hawaii’s Division of Forestry and Wildlife e lo U.S. Fish and Wildlife Service – il cui scopo ultimo è reintrodurre i corvi nel loro ambiente naturale.

Nel lavoro “preparatorio” alla ricerca sul campo, infatti, i ricercatori hanno discusso estensivamente con le persone che vivono nei dintorni della riserva Pu‘u Maka’ala, dove è stato concluso il primo tentativo di reintroduzione e dove si proseguirà con i rilasci anche nei prossimi anni. Questo non solo per sondare l’attitudine dei locali verso il ritorno di un animale ormai scomparso (che potrebbe preoccupare gli agricoltori per i danni alle colture) ma anche per poter agire liberamente sul territorio durante i monitoraggi: i corvi, come qualsiasi altra specie, non conoscono confini.

La fase divulgativa del progetto ha riguardato anche le scuole, specialmente quelle giovani fasce d’età che vedrebbero gli ‘Alala in natura per la prima volta e nulla sanno di quel corvo tanto speciale, che vive solamente sulle loro isole. Questi uccelli, fortunatamente, hanno un ruolo ben preciso nella cultura dei nativi hawaiiani, che li considerano ʻaumakua: spiriti protettori della famiglia e parte integrante dell’identità locale, nonché un pezzetto di tradizione che purtroppo è andato perduto.

Per lo zoo di San Diego non è la prima volta con un progetto di salvataggio tanto ambizioso: negli anni Novanta del secolo scorso il protagonista di un piano simile è stato il condor della California, Gymnogyps californianus, un’altra specie che resta a oggi in pericolo. La Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura la elenca come CR, a rischio critico.

Una perdita con effetto cascata

Tolte alcune piume tendenti al marrone, gli ‘Alala hanno il corpo completamente nero, zampe comprese, e da adulti possono raggiungere i 50 centimetri di lunghezza. Hanno il becco più spesso rispetto ad altri parenti della famiglia dei corvidi e sono onnivori: mangiano di tutto, ma prediligono piccoli invertebrati come lumache e ragni.

A segnare il loro destino sono stati molti degli elementi noti che mettono a rischio la vita sulle isole: i predatori introdotti (come i felini) che attaccano i nidi e veicolano patologie infettive, oltre alla perdita e alla frammentazione dell’habitat. Come per ogni creatura che si estingue, la scomparsa del corvo ‘Alala non significa “solo” una specie in meno sulla Terra, ma si ripercuote su ogni aspetto della vita nel suo ambiente.

Con la specie se n’è andato infatti un prezioso servizio ecosistemico: gli ‘Alala erano fondamentali impollinatori per la riproduzione delle piante locali come Ilex anomala, l’agrifoglio hawaiiano, che a sua volta è casa e fonte di cibo per il “ragno dalla faccia sorridente”, la specie Theridion grallator, anch’essa endemica dell’arcipelago e che deve il suo soprannome alla colorazione sul corpo, simile a un viso che sorride.

La vita degli ‘Alala è seguita nei minimi dettagli dagli scienziati: se normalmente le femmine covano per 21 giorni, arrivando a impiegare un’intera stagione riproduttiva per una sola nidiata, in cattività le uova vengono incubate artificialmente a partire dall’ottavo giorno. Così, arrivati alla fine dell’estate, per ogni femmina le nidiate possono arrivare anche a tre.

Un uovo in salute si schiude da solo in un tempo che può variare dalle 12 alle 36 ore, ma può capitare che qualcosa vada storto. Se per esempio è troppo secco o il piccolo si trova in una posizione sbagliata, allora i ricercatori intervengono e lo aiutano nel delicato processo di schiusa.

(Non) buona la prima

Nel dicembre 2016, dopo tanti anni di preparazione, è arrivato il momento per il primo rilascio. Prima di tutto i sei giovani corvi candidati, tutti tra i quattro e i sei mesi d’età, hanno fatto un accurato controllo veterinario. “È importante che tutti gli uccelli godano di buona salute e resistenza, per garantirsi le massime probabilità di successo una volta rilasciati”, ha spiegato in un’intervista Deena Brenner, tra i veterinari che hanno esaminato gli uccelli. Dei sei esemplari solo cinque sono risultati idonei e, dotati di un sistema di tracciamento (18 grammi di zavorra per permettere agli scienziati di monitorarli), sono stati rilasciati in natura.

Ma le cose non sono andate come si sperava. Tre dei cinque esemplari sono stati trovati morti un paio di settimane dopo il rilascio e due sono stati riportati in cattività. Per i ricercatori è stato un duro colpo, dopo aver seguito gli animali praticamente dalla schiusa, ma “eravamo preparati a questa possibilità”, ha commentato in un comunicato John Vetter del Department of Land and Natural Resources. “I primi giorni dopo un rilascio sono sempre la fase più difficile di qualsiasi programma, e il livello di incertezza è sempre elevato con il primo gruppo di animali che viene rilasciato”.

I risultati delle necropsie condotte sui tre corvi hanno portato alla conclusione che siano stati predati, probabilmente da un’altra specie endemica e nota per avere gli ‘Alala sul menu: ‘io, la poiana delle Hawaii, la specie Buteo solitarius.

In previsione del secondo rilascio, che dovrebbe avvenire entro l’anno, la lezione è stata imparata: prima di essere liberati gli ‘Alala seguiranno un predator avoidance training, un “addestramento” per prepararli a riconoscere i predatori come tali e comportarsi di conseguenza.

Se l’avere in custodia una specie che non esiste più in natura è senza dubbio triste, offre anche agli scienziati un’opportunità unica: osservare una specie nella sua interezza, perché letteralmente si ha sotto gli occhi ogni singolo esemplare esistente. È così che qualche tempo fa gli ‘Alala si sono distinti per un’impressionante abilità con gli strumenti.

Come i cugini della Nuova Caledonia

In collaborazione con l’Università di St. Andrews, gli scienziati dello zoo di San Diego hanno condotto una serie di esperimenti in condizioni controllate e pubblicato i risultati su Nature. “Ci era capitato di vedere gli uccelli che si servivano di bastoncini per fare cose, a volte, nei siti di allevamento, ma non ci avevamo dato troppo peso”, ha raccontato Brice Masuda, che coordina il progetto di reintroduzione. “Abbiamo testato 104 dei 109 ‘Alala in vita al tempo e abbiamo scoperto che la maggior parte usava strumenti spontaneamente”.

Secondo Christian Rutz, primo autore dello studio, l’uso di strumenti non è qualcosa di appreso durante la cattività ma potrebbe verosimilmente far parte del repertorio della specie. Nessuno dei corvi è stato addestrato, eppure mostravano tecniche piuttosto sofisticate, in alcuni momenti molto simili a quelle dei corvi della Nuova Caledonia (che il gruppo di ricerca di Rutz studia da più di dieci anni). I risultati hanno stupito molto gli esperti di corvidi, compreso Thomas Bugnyar dell’Università di Vienna, non coinvolto nello studio; è quasi impensabile avere l’opportunità di testare praticamente ogni esemplare di una specie.

Osservare gli ‘Alala di tutte le età, inoltre, ha fatto chiarezza anche sul loro comportamento e sullo sviluppo delle abilità dei più giovani che, a quanto pare, armeggiano con gli strumenti senza la necessità di vedere adulti che vi si cimentano. Secondo Rutz l’abilità del corvo hawaiiano e di quello della Nuova Caledonia sono emerse indipendentemente perché le specie sono parecchio distanti, con l’ultimo antenato comune collocabile a circa 11 milioni di anni fa. Entrambe sono tipiche di isole remote, dove l’assenza di predatori naturali potrebbe essere stata la condizione perfetta affinché dei corvidi “intelligenti” diventassero anche abili utilizzatori di strumenti.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".