SALUTE

Un “salto nel buio” per curare le infezioni batteriche

In un laboratorio di nano-ingegneria dell'Università della California – San Diego sono stati messi a punto micromotori in grado di raggiungere lo stomaco di topi e trattare infezioni causate un batterio.

Un gruppo di nano-ingegneri dell’Università della California – San Diego ha messo a punto micromotori per trattare infezioni batteriche del tratto intestinale. Crediti immagine: Laboratory for Nanobioelectronics at UC San Diego

SALUTE – Diverse malattie dello stomaco, come l’ulcera e la gastrite, spesso mortali, sono causate da infezioni batteriche. Alcune di queste sono di difficile prevenzione e non sempre gli antibiotici riescono a curare completamente e in tempo le infezioni, anzi in alcuni casi gli acidi gastrici possono addirittura ostacolare i farmaci stessi e annullare la cura.
Se i farmaci riuscissero ad affrontare in modo autonomo la complessità dell’ambiente gastrico, le infezioni batteriche non costituirebbero più un rischio così alto.
È questo l’obiettivo raggiunto, in parte, dai nano-ingegneri dei laboratori di elettronica dell’Università della California – San Diego. In uno studio pubblicato su Nature Communication si spiega come dei micromotori messi a punto dalla squadra di ricerca capitanata da Joseph Wang e Liangfang Zhang siano stati usati per la prima volta per curare proprio lo stomaco e il tratto intestinale.

Nano-terapia, un viaggio non così allucinante

“Cosa mi hai iniettato?”

“Ora ha delle nanotecnologie che circolano nel sangue”

Questo scambio di battute si consuma tra 007 e l’inventore Q nel film Spectre, uno degli ultimi episodi di una lunga tradizione cinematografica che dedica sempre un momento speciale all’innovazione: se anche gli sceneggiatori delle avventure di James Bond decidono di far parlare i personaggi di nanotecnologie, vuole dire che si tratta non solo di fiction, ma di un’idea molto vicina all’attualità tecnologica. Così, quell’impresa di miniaturizzazione di un intero equipaggio in un corpo umano del film Viaggio Allucinante, pura fantascienza negli anni in cui la spia di Su Maestà era invece alle prese con Goldfinger e il modernissimo (per l’epoca) taglio laser, riesce invece oggi ad evocare scenari tecnologici meno improbabili, anzi in parte già realtà, sebbene non ci siano ancora del tutto familiari. La scoperta dei ricercatori di San Diego va ad arricchire proprio lo scenario della nanomedicina, il più sofisticato dei filoni delle biotecnologie. Non si tratta di un’impresa così complicata come quella di Viaggio Allucinante, ma a qualcuno potrebbe anche ricordare qualche scena del più moderno remake di Salto nel buio.

I micromotori descritti nello studio sono capsule sferiche grandi poche decine di nanometri (una frazione dello spessore di un capello) e consistono di un nucleo centrale di magnesio ricoperto da uno strato protettivo di ossido di titanio, uno strato di antibiotico (claritromicina) e uno strato più esterno di polimero bioattivo (chitosano) che garantisce un’interazione intelligente con le pareti dello stomaco.
Il magnesio reagisce chimicamente con l’acido dello stomaco, producendo un residuo di microbolle di idrogeno. Più che uno scarto, l’idrogeno diventa il propellente che permette alle capsule di muoversi lungo le pareti dello stomaco. Consumando altro acido, e producendo altro idrogeno, il livello del pH sale abbastanza da consentire il rilascio del farmaco.

Questo dispositivo ingegnerizzato dal gruppo di ricerca di San Diego è in sostanza un carrier, un vettore costruito con i principi di intelligent drug delivery, ovvero di rilascio mirato di medicinali. Speciali vettori capaci di riconoscere le cellule malate e di attaccarle selettivamente con il rilascio programmato di medicinali sono l’arma principale delle nanoterapie – che, quando possibile, sono sfruttate insieme a tecniche preventive di nanodiagnostica.

Il meccanismo generale alla base di questi bio-proiettili intelligenti è grosso modo sempre lo stesso: una piccola quantità di molecole di farmaco è racchiusa in un guscio dotato di biomolecole con proprietà chimico-fisiche tali da riconoscere e intercettare una cellula malata. Il bio-proiettile ha una grandezza dell’ordine dei nanometri, il più delle volte qualche centinaio di nanometri, sfiorando quindi la scala macro – per questo si parla di micromotori. Se fosse qualche ordine di grandezza più piccolo infatti, il sistema immunitario lo riconoscerebbe e attaccherebbe come un qualunque corpo estraneo. Ingannare le protezioni dell’organismo non è l’unica sfida a cui devono essere pronti questi dispositivi, destinati a diverse insidie nell’incontro con le membrane cellulari, il citoplasma, la barriera emato-encefalica.

Finora sono stati sviluppati diversi nanovettori dotati di diverse strategie per intrappolare e rilasciare il farmaco, in base a variazioni del pH o della temperatura esterna. I vettori possono essere liposomici, polimerici, a base di dendrimeri, o nanoparticelle superparamagnetiche – in grado di essere localizzate per risonanza magnetica, un po’ come i rilevatori di posizione iniettati nel sangue di 007.

Negli ultimi vent’anni circa sono stati sviluppati vettori anche molto sofisticati, simili a veicoli molecolari, per attaccare il virus dell’epatite C e in tempi più recenti nanorobot con particolari abilità di “navigazione” nei fluidi corporei a propellente gassoso, testati in vivo, proprio come i dispositivi dell’Università di San Diego.

Un vettore dal doppio gioco 

I nuovi micromotori californiani non detengono il primato dell’ingegnerizzazione per il trasporto di farmaci, ma sono senz’altro i primi a combinare due importanti attività terapeutiche: il rilascio del medicinale e la neutralizzazione dell’acido gastrico.

Quest’inedita combinazione è stata testata in vivo in topi infettati con Helicobacter pylori – tra i batteri più pericolosi e “subdoli” perché non causano sintomi particolari, a parte un comune bruciore, ma possono colonizzare tutta la mucosa gastrica e provocare ulcera e gastrite nello stomaco e nel duodeno, oltre a essere concausa del cancro allo stomaco. Le responsabilità infettive dell’H. pylori nell’ulcera gastroduodenale sono state accertate solo a inizio degli anni Ottanta del secolo scorso – Robin Warren e Barry Marshall, i medici australiani che per primi hanno isolato il batterio, hanno vinto per questa scoperta il Nobel per la medicina nel 2005 – e il primo trattamento antibiotico di questa malattia risale al 1996. Gli antibiotici usati finora vanno assunti con delle particolari protezioni dall’acido gastrico, gli inibitori della pompa protonica.

Le terapie più comuni consistono nell’assunzione di uno o due antibiotici (tra amoxicillina, metronidazolo, tetraciclina), supportati da farmaci antiacido, gli inibitori di pompa. Questo tipo di terapia può essere risolutiva fino al 90% dei casi. L’infezione da H. pylori continua tuttavia a essere molto diffusa – circa un terzo della popolazione mondiale è stata colpita o è a rischio di contrarre il batterio – e facendo ricorso alle terapie tradizionali, sia gli antibiotici sia i protettori possono facilmente essere consumati dagli acidi gastrici. L’assunzione degli inibitori di pompa, inoltre, può anche causare emicrania, diarrea, e su periodi più lunghi ansia e depressione.

Secondo i ricercatori, oltre a evitare l’impatto degli acidi, i nuovi nanovettori si sono rivelati anche più efficaci se comparati a un analogo dosaggio di antibiotico più protettore. Come sempre succede quando si tratta di nanoparticelle e nanodispositivi, c’è tuttavia ancora molta strada da fare prima che si possa passare dal laboratorio alle cure sui pazienti.

I tempi potrebbero tuttavia essere accorciati, visto che i nanoingegneri hanno scelto materiali biodegradabili oltre che biocompatibili, azzerando quindi il rischio di rigetto. Questa soluzione inoltre può intanto essere ripensata anche per altre patologie dello stomaco, e per terapie con diverse combinazioni di farmaci.
È solo il primo test per i motori sintetici, in attesa del “salto nel buio” vero e proprio.

@NightTripping

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.