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Sciopero degli esami: non solo soldi, è questione di dignità

Per tre anni ci sono stati tentativi di dialogo con il Ministero, ma le richieste di professori e ricercatori sono rimaste per lo più inascoltate.

Lo sciopero degli esami universitari riguarderà soltanto il primo appello, e non danneggerà gli studenti che si devono laureare. Crediti immagine: Jirka Matousek, Flickr

APPROFONDIMENTO – C’è chi li ha dipinti come i “professori cattivi” che annulleranno tutti gli esami universitari a settembre, mettendo nei guai gli studenti, perché vogliono che i loro stipendi vengano aumentati. Ma è davvero così? Quello che si scopre leggendo la “Lettera di proclamazione di sciopero dagli esami di profitto-Sessione autunnale a. a. 2016-2017” è, innanzitutto, che non verranno cancellati tutti gli esami, in questi mesi.

Le modalità della manifestazione di astensione, risulteranno le seguenti:

  1. Nella sessione di esami di profitto autunnale p.v., relativa all’anno accademico 2016-2017, ci asterremo dal tenere il primo degli appelli degli esami di profitto già programmati nel periodo anzidetto, per la durata massima di 24 ore corrispondenti alla giornata fissata per il primo degli appelli che cadano all’interno del periodo 28 agosto-31 ottobre 2017, così come comunicato da ciascun Professore o Ricercatore al Direttore del Dipartimento ovvero alla propria struttura di riferimento.
  2. Tutti gli esami corrispondenti verranno, di conseguenza, spostati all’appello successivo, che si terrà regolarmente.
  3. Verrà assicurata in ogni caso la tenuta di almeno un appello degli esami di profitto nell’ambito del periodo 28 agosto – 31 ottobre p. v. Pertanto, nelle Sedi in cui i calendari degli esami prevedano un solo appello per gli esami di profitto in tale periodo, e questo cada nel periodo anzidetto, ci asterremo dal tenere tale appello, per la durata massima di 24 ore corrispondenti alla giornata fissata, ma chiederemo alle strutture degli Atenei di competenza di fissare un appello straordinario dopo il quattordicesimo giorno dalla data del giorno dello sciopero.
  4. Verranno assicurati tutti gli esami di profitto al di fuori del periodo 28 agosto – 31 ottobre p.v.
  5. Verranno assicurate inoltre in tale periodo tutte le altre attività istituzionali.

Quindi, se ci sono in programma più appelli, non si svolgerà solo il primo, se ne è stato fissato uno soltanto verrà cancellato, ma ne verrà aggiunto uno straordinario a partire da 15 giorni dopo in poi. C’è chi rischia di non laurearsi, perdendo la possibilità di iscriversi ad altri corsi di laurea, master o dottorati, sborsando altri soldi per retta universitaria e affitto? In realtà no, perché verranno previsti appelli straordinari per i laureandi, che quindi riusciranno a sostenere gli ultimi esami in tempo.

Come sottolinea Carlo Ferraro, docente del Politecnico di Torino e coordinatore del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria, “non abbiamo nessuna intenzione di danneggiare i nostri studenti: per noi non avrebbe senso, non ce lo perdoneremmo mai. Noi siamo un servizio pubblico, questa contestazione creerà disagio, ma non vogliamo che faccia danni. Siamo orgogliosi di aver concepito una protesta rispettosa sia del nostro diritto di scioperare, sia del diritto degli studenti a fare i loro esami. Quando ne abbiamo parlato con le organizzazioni studentesche, ci è stato riconosciuto che lo sciopero è sacrosanto, mentre non condividono l’idea di uno sciopero che colpisca gli studenti. Sono passati alla fase propositiva, suggerendo di allargare la protesta ad altri temi. Ma ampliare lo sciopero non ha senso, non si capisce più per che cosa si sta protestando e quali sono le richieste. Questo per noi è solo il primo stadio, il secondo avverrà insieme agli studenti: già dal 2016 avevamo chiaro il piano delle richieste che faremo dopo questa prima sugli scatti, e lotteremo anche per il diritto allo studio.”

E il piano delle richieste era chiaro davvero, come si evince dal documento elaborato in data 6 maggio 2016 nell’ambito del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria e integralmente disponibile al link https://sites.google.com/site/controbloccoscatti/home/documenti-elaborati:

Raggiunto questo risultato, che chiaramente è essenziale per poter acquisire la forza necessaria per proseguire nella lotta, la fase successiva sarà per ottenere nell’arco di un tempo ragionevole e verosimile di uno-due anni il finanziamento di:

  1. 6000 posti da Professore Associato; infatti, non è logico mantenere nel limbo di un ruolo ad esaurimento 16 000 Ricercatori a tempo indeterminato di valore: se un ruolo ha esaurito davvero le sue funzioni, ed è davvero giusto metterlo ad esaurimento, allora non ha senso mantenere in tale ruolo 16 000 Docenti a svolgere funzioni ritenute superate, ma occorre dare a tutti loro che sono nel vecchio ruolo, seppur progressivamente per motivi di spesa, la possibilità di assumere le funzioni dei nuovi ruoli previsti;
  2. 4000 posti da Professore Ordinario (abbiamo 19 000 Professori Associati a cui occorre dare le possibilità di progredire);
  3. 4000 nuovi posti da Ricercatore di tipo B (l’Università ha bisogno di nuove leve aggiuntive);
  4. lo sblocco integrale del turnover, da destinare preminentemente ai Professori Associati; [Unico punto che non sussiste più, a causa del tempo passato: tale blocco finisce quest’anno.]
  5. un finanziamento ulteriore del “Fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio” di almeno 80 milioni di euro.

Superata questa seconda fase si potrà passare a una terza fase, da raggiungere nell’arco di due–tre anni, per ottenere il finanziamento di:

  1. un ulteriore piano di assunzioni identico a quello appena indicato (quindi ulteriori 6000 + 4000 + 4000 nuovi posti);
  2. uno stanziamento di 400 milioni di euro da destinare prevalentemente alla ricerca di base;
  3. ulteriori 80 milioni di euro da destinare alle borse di studio dei nostri studenti.

Proteste per arrestare il declino delle nostre Università, messe sempre più alla prova dai tagli. Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)

“la spesa pubblica per le istituzioni dell’istruzione in Italia è diminuita del 14% tra il 2008 e il 2013. […] In Italia, il livello relativamente basso della spesa pubblica per l’istruzione non è riconducibile al basso livello della spesa pubblica in generale, bensì al fatto che all’istruzione sia attribuita una quota del bilancio pubblico relativamente esigua. Nel 2013, l’Italia ha stanziato il 7% della spesa pubblica complessiva per l’insieme dei cicli d’istruzione (dal primario al terziario). Tale quota è notevolmente inferiore rispetto alla media OCSE (11%) e rappresenta la percentuale più bassa dopo l’Ungheria. I dati disponibili suggeriscono altresì che la diminuzione della spesa per l’istruzione tra il 2008 e il 2013 è in parte ascrivibile ai cambiamenti nella distribuzione della spesa pubblica fra le diverse priorità pubbliche, non solo a una riduzione generale della spesa pubblica totale (che è diminuita di meno del 2%).”

Nel Fondo di Finanziamento Ordinario della ricerca italiana, dal 2008 a oggi i tagli sono stati di circa un miliardo di euro, ovvero il 13,9%. Se si considera anche l’inflazione, il 21,3%. In alcuni atenei la situazione non è stata troppo grave, per altri ha voluto dire ritrovarsi con un terzo in meno della quota. L’attribuzione dei fondi è ancora più controversa, secondo Ferraro: “È una cosa veramente strana: il Ministero non ci finanzia la ricerca, però poi ce la vuole valutare, anzi, le risorse vengono attribuite in base a quella ricerca che lo Stato non ha finanziato. Per spiegarlo con una metafora, è come se un’azienda automobilistica assumesse i suoi dipendenti e i suoi dirigenti, chiedesse loro di procurarsi da soli i soldi per produrre le auto che intende vendere, e dopo qualche anno valutasse il loro lavoro e li penalizzasse se non fosse buono.”

Quella di battersi prima per gli scatti di stipendio è una questione tattica, secondo Ferraro: chiedere tutto insieme rischierebbe di non dare risultati. Non vengono richiesti rimborsi, né aumenti ingiustificati: cinque anni del loro lavoro sono stati cancellati, comportando l’annullamento degli scatti di stipendio maturati, un ritardo nelle progressioni di carriera e incidendo sul trattamento di fine servizio e sulla pensione. Cosa che non è avvenuta per tutti gli altri dipendenti pubblici. In più, se si considera tutto l’iter svolto prima di arrivare a proclamare uno sciopero, è chiaro che i docenti hanno cercato di aprire un dialogo su questi temi da tre anni, rimanendo inascoltati. Può suonare strano, quindi, lo stupore della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, che a luglio commentò affermando “La cosa che mi ha colpito è il fatto che quattro mesi prima dichiarino uno sciopero per ottobre. Lo trovo improprio per due ragioni: per scelta, etica e stile c’è un confronto aperto, si dovrebbe negoziare e il confronto aperto con chi rappresenta anche quel mondo c’è”. Critica che poco si concilia con quanto è stato fatto.

@giuliavnegri89

Leggi anche: Università: cronologia di uno sciopero

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.