AMBIENTE

Cambiamenti climatici a Panorama d’Italia

Una conferenza prova a mettere assieme scienziati provenienti da ambiti diversi per raccontare il cambiamento climatico.

Se si considera l’intensità di un uragano, ad esempio, stiamo parlando di meteorologia, se invece si analizza la frequenza con cui gli uragani si formano, siamo invece nell’ambito della climatologia. Crediti immagine: Pixabay

AMBIENTE – Si è svolta negli scorsi giorni, a Trieste e Udine, la tappa del Friuli Venezia Giulia di Panorama d’Italia, il tour organizzato da Panorama in diverse città italiane per parlare di cultura, arte e scienza. In uno degli incontri triestini un pool di esperti ha discusso dei cambiamenti climatici in atto e degli effetti che essi possono avere sulla vita dell’uomo a molti diversi livelli e, a volte, senza che ce ne rendiamo conto.

La conferenza, organizzata in collaborazione con Focus, è stata moderata da Jacopo Loredan -direttore della rivista di divulgazione scientifica- e ha chiamato a raccolta esperti provenienti da diversi ambiti, con l’ambizioso obiettivo di mostrare i rapporti esistenti su fenomeni, attivi su scala globale, apparentemente scollegati.

Meteo e clima “pazzi”? No, colpa dell’uomo

Lo spunto di partenza è stato fornito dall’attualità, e dai tantissimi danni che gli uragani Harvey e Irma stanno provocando negli Stati Uniti e nel centroamerica. Il ruolo dell’informazione, in questo campo, è fondamentale per considerare nella giusta ottica la portata di questi eventi ed evitare ingiustificati allarmismi: “in questi giorni di piogge intense può capitare di sentire o di leggere che in Italia sono previsti uragani, ma ciò è semplicemente sbagliato- spiega Daniele Mocio, tenente colonnello dell’Aereonautica Militare – gli uragani nascono nell’Atlantico, nei mari che circondano le Azzorre, si spostano per migliaia di chilometri fino a trovare un substrato ideale, cioè acque calde, nella zona del Golfo del Messico”. Queste condizioni, che in Italia non si osservano, fanno sì che si sviluppino venti di una potenza inaudita, con raffiche che superano senza problemi i 300km/ora.

Dalla meteorologia alla climatologia il passo concettuale è relativamente breve, anche se è importante sottolineare le differenze che esistono tra queste due scienze, che studiano fenomeni distinti (anche se collegati tra loro): se si considera l’intensità di un uragano, ad esempio, stiamo parlando di meteorologia; se invece si analizza la frequenza con cui gli uragani si formano, siamo invece nell’ambito della climatologia. Meteo e clima sono entrambi, purtroppo, pesantemente influenzati dalle attività umane, come sottolinea Jacopo Gabrieli, glaciologo ricercatore del CNR: “Se ad esempio le acque degli oceani aumentano di temperatura per effetto del surriscaldamento globale, l’effetto sarà quello di aumentare la frequenza e l’intensità degli uragani”.
Come per molte altre discipline di indagine, anche per la climatologia è possibile fare modelli e previsioni, partendo da dati raccolti nelle analisi sul campo. Il problema? È che la raccolta dei dati climatici è relativamente breve, iniziata intorno alla metà del diciannovesimo secolo.

A caccia di tracce sul clima del passato

Per ricostruire l’andamento del clima di centinaia e migliaia di anni fa (potendo così quantificare in maniera precisa l’impatto globale dell’antropizzazione) i ricercatori devono perciò affidarsi a delle tracce: una delle fonti più ricche di tali indizi climatici sono i ghiacciai, originatesi nel corso di migliaia di anni a seguito della sovrapposizione di strati molto sottili, ognuno dei quali riconducibile a una distinta precipitazione. “Effettuando un carotaggio del ghiacciaio è così possibile ottenere dati sulla composizione dell’atmosfera presente nel momento di una determinata precipitazione” spiega Gabrieli. “Il ghiaccio contiene tracce delle polveri contenute nell’atmosfera nel passato, degli elementi naturali (dati dall’erosione, o da eruzioni vulcaniche) e di quelli antropogenici”.

I ghiacciai, però, si stanno sciogliendo in maniera progressiva e apparentemente inarrestabile, e questa perdita si ripercuote a diversi livelli: lo scioglimento dei ghiacciai significa infatti innanzitutto perdita di risorse idriche (come ad esempio sta accadendo in alcune regioni himalayane), e rischi idrogeologici sempre più marcati.

Tutto è collegato

Come se ciò non bastasse, il cambiamento climatico si riflette anche su flora e fauna, e gli esempi sono a portata di tutti, anche senza dover valicare i confini nazionali: periodi di siccità sempre più lunghi e modifiche delle temperature medie stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza delle api, la cui esistenza è molto più importante di quanto si possa pensare. “Se non ci sono api, prese ad esempio di tutta la classe degli impollinatori, si riduce di molto la possibilità di ottenere frutti, e quindi nuovi alberi – spiega Federica Ferrario, di Greenpeace – Sarebbe veramente orribile arrivare alla situazione di alcune zone della Cina in cui le api, sterminate dall’uso massiccio e incontrollato di insetticidi, sono state sostituite da operai che, a mano, devono impollinare i fiori”.

Cosa possiamo fare per scongiurare questo scenario simil-apocalittico, causato da decine di anni di sfruttamento insensato delle risorse mondiali? Il presidente Consorzio Nazionale per la Raccolta e il Riciclo, Giancarlo Morandi, è risoluto: “è cruciale che tutti intraprendano delle linee d’azione nell’immediato. Non solo privati cittadini, ovviamente, ma anche governi e istituzioni”. Perché, come emerso più volte durante l’incontro, la scienza fornisce le basi- metodologiche, di dati e della loro analisi – ma sta poi alle sovrastrutture sociali, in primis ai governi, attuare opportune misure di mitigazione e prevenzione.

Leggi anche: Brucare contro il cambiamento climatico

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Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.