IPAZIA

Rosalyn Sussman Yalow, il Nobel venuto dal Bronx

Tenacia, caparbietà, coraggio, determinazione, perseveranza, ostinazione. Queste caratteristiche, al di là delle indiscutibili qualità individuali, hanno fatto sì che le donne raccontate in questa rubrica lasciassero il segno. La storia di Rosalyn Sussman Yalow, biofisica statunitense, non fa eccezione.

“Non dobbiamo aspettarci che nell’immediato futuro tutte le donne possano ottenere piena uguaglianza e pari opportunità”, ha detto a Stoccolma in occasione della consegna del premio, “dobbiamo credere in noi stesse o nessuno crederà in noi; dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire; e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo”. Crediti immagine: US Information Agency

IPAZIA – Sono molti i tratti che accomunano le grandi scienziate del Novecento di cui abbiamo raccontato la storia in questa rubrica. Tutte hanno dovuto affrontare l’ostracismo e il sessismo più o meno esplicito della comunità scientifica del tempo, sono state discriminate in quanto donne e spesso hanno atteso anni, se non decenni, prima di veder riconosciuti i propri meriti. Molte di loro sono nate e cresciute in condizioni di indigenza o hanno subito discriminazioni di altro tipo, legate alla religione o al colore della pelle. C’è però un elemento che, più di tutti gli altri, ritorna nelle vite di queste donne, un fil rouge che accomuna le loro storie, trasformandole in tanti tasselli di una grande vicenda collettiva; si può chiamare in vari modi: tenacia, caparbietà, coraggio, determinazione, perseveranza, ostinazione. È questa caratteristica, al di là delle indiscutibili qualità individuali, ad aver fatto sì che queste donne lasciassero il segno. La storia di Rosalyn Sussman Yalow, biofisica statunitense, non fa eccezione.

“È di New York. È una donna. È ebrea.” Con queste parole la Purdue University rifiutò la sua candidatura come assistente di fisica all’università, nel 1941. E nel 1955 il Journal of Clinical Investigation non pubblicò l’articolo sugli anticorpi dell’insulina scritto da lei e dal suo collega Solomon Berson, ritenendolo di poco valore. Donna, ebrea, povera, cresciuta nel Bronx, ostracizzata, discriminata. Rosalyn Sussman Yalow è andata avanti lo stesso. Ha sviluppato una nuova tecnica diagnostica – conosciuta come RIA (radioimmunoassay, ovvero dosaggio radioimmunologico) – che, attraverso l’uso di reagenti radioattivi, consente di misurare la concentrazione di ormoni e altre molecole all’interno del corpo. La RIA si è rivelata fondamentale nelle diagnosi di diabete e di numerose altre patologie; grazie a questa tecnica, per esempio, è possibile individuare nel sangue il virus dell’epatite B e prevenire lo sviluppo di una forma di ritardo mentale in neonati con problemi alla ghiandola tiroidea. Per lo sviluppo di questo lavoro, nel 1977 Rosalyn Sussman Yalow ha ricevuto il Nobel per la medicina; quando Science ha pubblicato la dissertazione tenuta in occasione della consegna del premio, la scienziata ha chiesto che fosse allegata la lettera di rifiuto ricevuto ventidue anni prima dal Journal of Clinical Investigation. Una bella rivincita.

Rosalyn Sussman nasce a New York nel 1921. Il padre è un grossista di materiali da imballaggio, la madre fa la casalinga. Entrambi non hanno completato le scuole dell’obbligo, ma fanno di tutto perché la  figlia abbia la possibilità di studiare. Lettrice precocissima, prima ancora di iniziare la scuola Rosalyn divora i libri presi in prestito alla biblioteca comunale. A otto anni sa già di voler diventare una scienziata. Alla Walton High School si distingue per gli ottimi risultati in matematica e chimica. Dopo il liceo si iscrive all’Hunter College, istituto per sole donne della New York University. In quegli anni nasce in lei la passione per la fisica. Dopo aver letto la biografia di Marie Curie, scritta dalla figlia Irène, e aver assistito a un seminario tenuto da Enrico Fermi alla Columbia University, decide di approfondire lo studio della fisica nucleare. “La disciplina più eccitante del mondo”, così la definirà nella sua autobiografia. Nel gennaio del 1941, a soli 19 anni, è la prima studentessa nella storia dell’Hunter College a laurearsi in fisica. Dopo la laurea breve, conseguita giovanissima e col massimo dei voti, ha tutte le carte in regola per proseguire i suoi studi come assistente universitaria, ma non sono in molti a prendere sul serio una donna con tali velleità. Riceve diversi rifiuti, tra cui quello già citato da parte della Purdue University. Pochi mesi prima della laurea, uno dei suoi professori – consapevole delle difficoltà a cui sarebbe andata incontro – riesce a farle ottenere un posto part-time come segretaria di Rudolf Schoenheimer, biochimico della Columbia. Lo scopo è quello di consentirle di accedere agli studi specialistici dalla “porta di servizio”. Sussman inizia a seguire un corso di stenografia, ma dopo pochi mesi – con suo grande stupore – l’Università dell’Illinois, la più prestigiosa tra quelle a cui aveva inviato domanda, accetta la sua candidatura. Gli Stati Uniti entrano ufficialmente in guerra il 7 dicembre 1941, dopo l’attacco di Pearl Harbor, ma già nei mesi precedenti sono chiamati alle armi centinaia di migliaia di uomini, tra cui molti studenti e ricercatori universitari. Per queste ragioni alcune università americane cominciano ad aprire le porte alle donne. Non si tratta di un cambio di mentalità, ma – più prosaicamente – di semplice necessità.

La fisica resta comunque una disciplina per uomini, e all’Università dell’Illinois Rosalyn Sussman è l’unica presenza femminile su oltre 400 fra ricercatori, professori e assistenti. La prima dal 1917. Non sono poche le pressioni a cui è sottoposta per il solo fatto di essere donna. Dopo aver ottenuto A-, ovvero quasi il massimo, in una prova di laboratorio, il direttore del dipartimento di fisica dichiara che quel voto non perfetto è la prova che le donne non sono adatte a lavorare nei laboratori. La giovane fisica, lungi dal farsi condizionare da simili dichiarazioni, prosegue la sua carriera senza intoppi. Si specializza in fisica nucleare e nel 1945 consegue il dottorato sotto la guida del grande fisico austriaco Maurice Goldhaber. In quegli anni si rende conto che l’utilizzo dei radioisotopi come traccianti, già diffuso in botanica, potrebbe avere applicazioni molto più ampie. Nel frattempo conosce e sposa Aaron Yalow, uno degli altri due studenti ebrei presenti in facoltà, anche lui iscritto ai corsi di fisica nucleare. Dopo il dottorato la coppia si trasferisce a New York. Rosalyn torna all’Hunter College per insegnare fisica ai veterani di guerra e a partire dal 1947 inizia a lavorare allo sviluppo di un servizio di radioterapia presso il Veterans Administration Hospital del Bronx. Nel 1950 lascia l’insegnamento e con Solomon Berson, un medico in servizio presso lo stesso ospedale, si dedica interamente alla ricerca sui radioisotopi. La collaborazione con Berson si rivelerà fruttuosa e andrà avanti per oltre vent’anni, interrompendosi solo alla morte del collega, nel 1972. I due scoprono che nei diabetici il trattamento con insulina induce la produzione di anticorpi specifici, ma devono affrontare l’incredulità della comunità scientifica, che all’epoca non ritiene possibile che una molecola piccola come l’insulina possa avere proprietà antigene. Yalow e Berson iniziano a lavorare allo sviluppo di una tecnica basata sull’uso di insulina marcata con radioisotopi e in questo modo ottengono una conferma sperimentale dell’esistenza di anticorpi da insulina. La tecnica, messa a punto nel 1959, prende il nome di RIA e si rivela una vera e propria rivoluzione in ambito biomedico. Grazie alla RIA è possibile tracciare i radioisotopi inseriti nell’organismo e misurare i livelli nel sangue di piccolissime quantità non solo di insulina, ma anche di altre importanti sostanze biologiche, come gli ormoni tiroidei.

Nel 1968 Yalow ottiene una cattedra come Research Professor presso il Mount Sinai Hospital e dopo la morte prematura di Berson inizia a collaborare con un giovane medico, Eugene Straus, proseguendo le sue ricerche sull’utilizzo diagnostico dei radioisotopi e scoprendo nuove possibili applicazioni della RIA. Nel 1976 vince l’importante Lasker Medical Research Award e l’anno successivo è la seconda donna nella storia, trent’anni dopo Gerty Cori, a ricevere il Nobel per la medicina. “Non dobbiamo aspettarci che nell’immediato futuro tutte le donne possano ottenere piena uguaglianza e pari opportunità”, dirà a Stoccolma in occasione della consegna del premio, “dobbiamo credere in noi stesse o nessuno crederà in noi; dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire; e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo”.

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.