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La conquista dell’outback australiano a opera di John Stuart McDouall

La pista individuata attraverso l'outback dall'esploratore scozzese è ancora oggi la via di comunicazione principale tra il Sud e il Nord dell'Australia

SPECIALE SETTEMBRE – Se da una qualsiasi città della costa australiana vi dirigete verso l’interno, non appena lasciate l’area urbana vi troverete immersi nel bush. Se vi spingete ancora oltre raggiungerete l’outback, un insieme di aree desertiche e semi-desertiche che occupa la maggior parte dell’Australia continentale e nella cultura locale occupa uno spazio importante, quasi fondativo. Dire dove si trovi il confine tra bush e outback è però questione non semplice, perché dipende da quale punto di vista guardate la questione. Secondo alcuni l’outback ricoprirebbe addirittura il 70% del Paese, facendone decisamente l’ambiente più diffuso sull’isola, ricco di sfumature di paesaggio, ma sicuramente uno degli ambienti più inospitali sulla faccia della Terra. Questa è la storia del primo esploratore che, indipendentemente da dove lasci di nuovo spazio al bush, è riuscito ad attraversarlo tutto da Sud a Nord. Il suo nome è John McDouall Stuart.

South Australia, colonia britannica

Il 1836 è un anno decisivo nella storia coloniale della Terra Australis. Il 19 febbraio, con un documento noto come Letters Patent, viene stabilita la provincia dell’Australia Meridionale (South Australia) come parte dell’Impero Britannico. Ne segue l’insediamento del primo governo locale, che ha come compito principale quello di far rispettare le regole per la colonizzazione e lo sfruttamento della terra, leggasi concessioni. Lo stesso anno arrivano, dalle parti dell’attuale città di Adelaide, i primi coloni e il 28 dicembre il governatore John Hindmarsh proclama ufficialmente la nascita della nuova provincia: la corsa alla terra e al suo outback può avere ufficialmente inizio.

Fotografia delle Letters Patent conservate dallo State Records of South Australia

Solo tre anni più tardi, John McDouall Stuart, scende dalla nave Indus in cerca di fortuna. Viene dalla Scozia, dove è nato nel 1815, e dove ha potuto studiare ingegneria civile all’Accademia militare, ma è basso di statura e gracile di costituzione: nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza in una provincia ancora tutta da costruire. All’epoca, governo e privati erano interessati all’esplorazione dell’interno dell’Australia, alla ricerca di territori adatti allo sfruttamento agricolo, al pascolo e alla nascita di insediamenti per accogliere i nuovi coloni che cominciavano ad arrivare dalle varie province dell’Impero Britannico.

Stuart riesce a farsi assumere come disegnatore per il servizio di esplorazione guidato dal capitano Charles Sturt, convinto sostenitore che all’interno del continente, un po’ come succede per l’America del Nord con la Baia di Hudson, ci debba essere un grande bacino, forse addirittura un mare interno, che renderebbe più facile l’insediamento e l’esplorazione di quelle aree. Ma tutte le campagne di esplorazione condotte fino al 1844 verso i territori a nord di Adelaide vengono sempre interrotte per lo stesso problema: mancano le fonti d’acqua a cui potersi rifornire per continuare a cercare il mare interno.

Il presunto mare interno australiano in una mappa di Thomas J. Maslen del 1830

 

Le spedizioni in proprio

Dopo le spedizioni infruttuose, Sturt concede che forse questo bacino mitico non esiste e che il cuore dell’Australia è un deserto che non fa sconti a chi vi si avventura. Le spedizioni del governo britannico subiscono uno stop, anche per gli avvicendamenti politici non sempre lineari che caratterizzano i primi anni della vita pubblica ad Adelaide. Stuart si guadagna da vivere lavorando nel settore immobiliare per una decina di anni, fino a che il richiamo per il paesaggio arido dell’outback australiano si trasforma in una nuova opportunità di esplorazione, questa volta come privato, finanziato da amici che sono interessati a trovare nuovi pascoli per le mandrie di bovini. Nel 1858, seppur senza spostarsi molto a nord, la prima spedizione di Stuart porta comunque frutti interessanti: scopre e mappa oltre 100 mila chilometri quadrati di pascoli a ovest di Port Lincoln, all’estremità occidentale del golfo di St. Vincent di fronte ad Adelaide, che i suoi soci possono reclamare per le proprio vacche. Ma Stuart vuole spingersi a nord. Ci prova tra l’aprile e il luglio del 1859, sempre per conto dei soci allevatori, ma anche con l’intenzione di poter andare alla ricerca di oro, dovesse essercene. Il viaggio termina poco a nord-ovest dei grandi laghi salati dell’Australia Meridionale.

Infruttuosa è anche la spedizione successiva, tra il novembre del 1859 e il gennaio dell’anno successivo, quando Stuart riesce a spingersi un po’ più a nord. Questa spedizione è però importante per due motivi. Il primo è che è la prima in cui William Keckwick gli fa da secondo nella catena di comando, e la sua sarà una figura fondamentale per tutte le altre spedizioni successive. Come ricorda infatti lo storico Hankel che ha curato l’edizione integrale dei diari dello scozzese, Stuart scrive spessissimo una frase, “ho mandato Keckwick a cercare acqua”, che ribadisce l’aridità del territorio che esplorano, ma fa anche capire l’abilità del suo secondo nel trovare l’oro blu. Il secondo motivo per cui la spedizione è fondamentale, è l’aggravarsi delle condizioni fisiche dell’esploratore. Malato da anni di scorbuto, in quei tre mesi perde del tutto la vista dall’occhio destro.

Il centro dell’Australia

La successiva missione, la quarta, è marchiata a fuoco da un avvenimento del 22 aprile 1860. Quel giorno Stuart scrive nel suo diario: “dalle mie odierne osservazioni del sole, 111°00’30’’, so di essere accampato al centro dell’Australia”. Stuart sale sulla collina più vicina e vi pianta l’Union Jack: “un segno per i nativi che l’alba della libertà, della civiltà e della cristianità li avrebbe presto raggiunti”. Una frase che ricorda lo spirito ottocentesco della colonizzazione, non sempre improntato a principi che oggi definiremmo democratici, e segnala come il raggiungimento del centro geografico del continente, pur con qualche margine di errore, sia un primato solo se guardato dal lato europeo. In molte altre occasioni, tuttavia, John Stuart dimostra una sensibilità e una apertura nei confronti delle popolazioni aborigene che non è così comune tra gli esploratori inglesi dell’epoca. Una parte del segreto del suo successo è, infatti, l’aver sempre dato ascolto alle indicazioni di chi sul territorio vive.

Le spedizioni di Gregory

Da monte Sturt, come Stuart battezza la collina su cui ha piantato la bandiera britannica, la spedizione si muove verso ovest con la convinzione che si sarebbe così potuta ricongiungere con le sorgenti d’acqua descritte dalla spedizione di Augustus Gregory, che tra il 1855 e il 1856 ha attraversato da est a ovest la costa nord australiana partendo da Gladstone, poco a nord dell’attuale Brisbane. Il tentativo si rivela infruttuoso e quando Stuart calcola di aver consumato metà delle provviste, decide di fare ritorno a sud.

Il collegamento telegrafico

Nel 1855, ad Adelaide arriva Charles Todd, un astronomo e meteorologo, che ha il preciso compito di assistere il governo della South Australia nello sviluppo della rete telegrafica. Nel 1858 Adelaide, Sydney e Melbourne sono collegate tra di loro, ma il sogno è collegare la colonia con il resto dell’Impero e la madrepatria attraverso un cavo telegrafico. Per riuscirvi, bisogna che Stuart o qualcun altro riesca ad attraversare l’outback. Ne nasce una specie di gara tra due gruppi. Da una parte ci sono il governo locale e imperiale che finanziano Burke e Willis, due esploratori che nel febbraio del 1861 raggiungono il Golfo di Carpentaria, in una zona di foreste di mangrovie: hanno compiuto l’impresa, ma non riescono a fare ritorno, perdendo l’appuntamento con la storia.

È invece il piccolo scozzese orbo da un occhio che, con i pochi mezzi che riesce a mettere insieme privatamente, ritorna sui passi che ha già percorso altre volte. Questa volta, però, spostandosi tra fonte d’acqua e fonte d’acqua, Stuart riesce a trovare il passaggio decisivo, quello che permette di collegare Adelaide con la costa settentrionale del continente: è il 24 luglio 1862.

Charles Todd e l’Overland Telegraph team nel 1872 circa

A metà dicembre del 1862 Stuart e il suo drappello di audaci arriva ad Adelaide e una parata ufficiale viene organizzata per il 21 gennaio dell’anno successivo: ironicamente è il giorno del funerale di Burke e Wills, i due esploratori che hanno tentato la stessa sorte dello scozzese, ma andando incontro alla morte. Le carte, i disegni, i rilievi astronomici e i diari di Stuart sono la base per la costruzione della Overland Telegraph Line, la linea telegrafica che fino agli anni Sessanta del Novecento ha garantito un collegamento diretto tra le città dell’Australia Meridionale e il resto del mondo.

Per alcuni anni dopo il suo ritorno, tuttavia, c’è chi sostiene che Stuart non abbia davvero fatto quello che dice: troppe le difficoltà e flebili, secondo i detrattori, le prove. Da parte sua Stuart sostiene di aver inciso le proprie iniziali su di un albero sulla costa, vicino all’attuale città di Darwin. La pianta verrà però ritrovata solamente nel 1883, quasi vent’anni dopo l’impresa, ma suggellando definitivamente la fama di Stuart. Che, però, nel frattempo ha avuto difficoltà a farsi pagare dal governo britannico il premio promesso di duemila sterline, è tornato in Inghilterra ed è morto nel 1866. Al suo funerale sono presenti sette persone. Vale la pena ricordarlo nelle parole di Benjamin Head che lo ha seguito nella storica spedizione del 1862:

Non potevi batterlo. Non potevi battere il piccolo uomo, chiunque tu fossi. Possedeva gli istinti del bushman. Per quanto potesse sembrare fuori luogo in città, non c’è uomo in Australia che possa dire una parola contro di lui come leader nel bush: se c’era qualcuno che sapeva come aggirarvisi, questi era lui. Era un leader nato, […] un esploratore nato… era uno splendido uomo del bush e in qualsiasi momento sapeva dirti dove ci trovavamo con la confidenza di un piede”.

Grazie alle sue doti umane e di esploratore, Stuart è stato un caso quasi unico, poiché nella sua personale carriera non ha mai perso un solo uomo sul campo. Le conoscenze tecniche acquisite all’Accademia navale, unite a una accurata osservazione astronomica gli hanno consentito di trovare la strada che nessun altro era riuscito a individuare nel tentativo di domare il deserto australiano. Una strada che ancora oggi è ben visibile sulla mappa dell’Australia: i poco più di 2700 chilometri della Stuart Highway si discostano di poco dal tracciato della sua spedizione del 1862.

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it