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Arsenico e ferro nell’acqua: possibili precursori sismici? La speranza c’è

Prevedere un terremoto studiando i cambiamenti delle concentrazioni di alcuni metalli nell’acqua, in particolare arsenico, ferro, vanadio?

“Studiamo le composizioni chimiche delle sorgenti in parallelo con la sismicità della stessa area per stabilire, ove possibile, una correlazione tra sismicità e cambiamenti idrogeochimici.” Crediti immagine: Pixabay

RICERCA –  Una ricerca di cinque geologi italiani, pubblicata recentemente sulla rivista Nature Scientific, ha individuato importanti anomalie geochimiche in alcune acque sorgive dell’Appennino che potrebbero costituire potenziali precursori sismici per il futuro. Non una certezza ma la speranza che si possa arrivare (probabilmente tra parecchi anni) a una previsione attendibile.

I ricercatori sono Domenico Barberio, Maurizio Barbieri, Marco Petitta, dell’Università Sapienza di Roma, Carlo Doglioni, presidente dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), Andrea Billi, ricercatore CNR-Istituto Di Geologia Ambientale e Geoingegneria. A lui abbiamo chiesto di spiegarci meglio in cosa consiste il loro studio.

Crediti immagine: Barberio et alii, 2017, Scientific Report

“La nostra ricerca, la prima del genere effettuata in Italia, tratta di precursori sismici di natura idrogeochimica”, risponde il geologo. “Studiamo le composizioni chimiche delle sorgenti in parallelo con la sismicità della stessa area per stabilire, ove possibile, una correlazione tra sismicità e cambiamenti idrogeochimici. In altri paesi come Islanda, Giappone e Turchia hanno portato avanti esperienze singole simili alle nostre con le stesse finalità, mentre l’unico paese dove questo tipo di misurazioni avviene su larga scala con sistematicità è la Cina”,

Nella ricerca sono state coinvolte sette sorgenti vicino a Popoli-Sulmona-Monte Morrone, circa un centinaio di chilometri da Amatrice: “un’area sismica in cui cercavamo appunto possibili precursori sismici e in cui a tutt’oggi la ricerca continua”, prosegue Andrea Billi, “grazie a sonde in situ e poi un campionamento manuale delle acque che vengono in seguito trasportate e analizzate in laboratorio”. “Le sorgenti oggetto della ricerca sono in superficie, alcune accessibili, altre interdette al pubblico. Ci sono state delle variazioni di livello della falda acquifera a seguito dei (subito dopo) terremoti più grossi, ossia 24 agosto 2016, 30 ottobre 2016 e gennaio 2017”.

Il tipo di precursori che devono essere tenuti sotto controllo, arsenico, vanadio, ferro e cromo, dipende dal tipo di rocce presenti nel sottosuolo e dall’acidità delle acque che sono risalite e, nel caso della ricerca in corso, il metallo che è maggiormente aumentato in percentuale è stato l’arsenico: fino a circa 20 volte in più rispetto al suo valore normale. “Durante la fase preparatoria del terremoto, probabilmente si sono aperte fratture che hanno permesso la risalita di fluidi idrotermali acidi carichi di alcuni metalli e metalloidi come l’arsenico. Altri metalli (ferro, vanadio, cromo, stronzio) sono aumentati meno di 20 volte. Non possiamo essere sicuri ma crediamo che tali anomalie delle concentrazioni siano indotte proprio dalla formazione di fratture profonde della crosta”.

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