SCOPERTE

Violente tempeste per ridisegnare il “volto” di Titano

La superficie ghiacciata della luna di Saturno viene scavata e disegnata da violente tempeste di metano liquido. La scoperta degli scienziati della UCLA che aiuterà a comprendere i cambiamenti climatici dei corpi planetari

Crediti immagine: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

SCOPERTE – Le tempeste su Titano sono molto più violente e molto più frequenti di quanto ipotizzato finora dagli scienziati. Proprio queste intense piogge, che si verificano soprattutto ad alte latitudini sul satellite più grande di Saturno, ne hanno cambiato il volto scavando coni alluvionali e canali che ne modificano la superficie ghiacciata, proprio come avviene con il defluire delle acque piovane sulla rocciosa crosta terrestre. A svelarlo è uno studio degli scienziati della UCLA pubblicato sulla rivista Nature Geoscience e guidato dal professore di scienze planetarie Jonathan Mitchell.

Ma come mai finora nessuno aveva mai dimostrato la correlazione tra le intense precipitazioni su Titano e la forma della sua superficie ghiacciata? La risposta è semplice, questione di “tempi”. Gli scienziati hanno potuto osservare da vicino il satellite di Saturno solo a partire dal 2004, quando la missione Cassini della NASA è arrivata a destinazione e ha iniziato a raccogliere dati sul pianeta e sui 60 satelliti che vi orbitano intorno, tra cui proprio Titano.

Osservando con il radar di Cassini e con altri strumenti la superficie ghiacciata del satellite, sono stati osservati canali scavati dallo scorrimento di fluidi, detti coni alluvionali. Gli scienziati della UCLA hanno così deciso di indagare per primi la correlazione tra precipitazioni e geomorfologia del corpo planetario, ma si sono scontrati anche con un altro problema: un anno su Titano corrisponde a 29,5 anni sulla Terra.

Se si tiene dunque conto che la missione Cassini ha raccolto dati e li ha inviati ai nostri scienziati fino al settembre 2017, quando è andata distrutta nell’atmosfera di Saturno, si arriva alla conclusione che il gruppo di ricerca composto da scienziati planetari e geologi ha potuto contare sull’osservazione di appena qualche stagione meteorologica del satellite.

Secondo i nuovi risultati dello studio, la media di tempeste sarebbe di almeno una l’anno, molto più frequente di quanto precedentemente ipotizzato, come ha sottolineato Mitchell: “Abbiamo sempre pensato che si trattasse di eventi che si verificano una volta su mille, sempre che si verifichino. Questa frequenza inattesa è stata una vera sorpresa”.

I ricercatori hanno così scoperto che la superficie ghiacciata di Titano è incredibilmente simile a quella del nostro pianeta, con zone desertiche localizzate alle basse latitudini, quelle prossime all’equatore, e regioni caratterizzate da mari e laghi di metano liquido che vengono spazzate da tempeste simili ai monsoni nelle latitudini più alte e in prossimità dei poli. Tempeste simili a quelle terrestri a eccezione di un elemento: a precipitare nelle stesse quantità portate da uragani come Harvey, che si è abbattuto sul Texas questa estate, è metano liquido e non acqua.

Altra similarità con la Terra non è solo la quantità di precipitazioni, ma anche il loro effetto sulla superficie del corpo celeste. Se l’acqua infatti scava coni alluvionali portando via sedimenti e innescando smottamenti e frane nella crosta terrestre rocciosa, il metano liquido scava il ghiaccio di Titano scavando a sua volta coni alluvionali che ne ridisegnano la superficie e che sono stati osservati dagli scienziati e confrontati con i risultati delle simulazioni al computer del gruppo di Mitchell.

Proprio la missione Cassini ha osservato per prima i coni alluvionali di Titano, scoprendo che sono concentrati nelle zone con latitudine tra i 50 e gli 80 gradi, dunque molto vicini ai poli e localizzati circa a metà degli emisferi settentrionale e meridionale del satellite. Il fatto che la morfologia della superficie cambi al variare della latitudine ha permesso agli scienziati di ipotizzare che ci fossero variazioni nelle precipitazioni e che proprio il defluire causasse l’erosione del ghiaccio e la formazione di laghi, piuttosto che di dune.

Inoltre lo studio suggerisce che le tempeste siano dovute, come accade sulla Terra, allo scontro tra il fronte climatico umido e freddo tipico delle alte latitudini e il fronte d’aria secco e caldo tipico di quelle più basse, dando così vita a intensi cicloni alle latitudini intermedie, che portano tempeste e tormente di neve.

Per gli scienziati è dunque innegabile che le intense precipitazioni abbiano un ruolo nella modellazione della superficie del satellite, come accade già per la Terra o per le tempeste che spazzano Marte e ne cambiano il volto sabbioso. Questo fa ipotizzare che ogni corpo planetario nel nostro Sistema Solare sia profondamente modificato nell’aspetto dagli eventi climatici e lo studio sulle relazioni tra precipitazioni e modellazione della superficie potrebbe aiutare gli scienziati a comprendere sempre meglio i meccanismi dei cambiamenti climatici e il loro impatto sui pianeti.

@oscillazioni

Leggi anche: Gran finale per Cassini: l’addio col tuffo nell’atmosfera di Saturno

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia

Condividi su
Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.