SALUTE

Cosa influenza l’aspettativa di vita

Dieta, studio e geni buoni sono le migliori “assicurazioni sulla vita”.

Non è (quasi) mai troppo tardi per riparare ad errori di gioventù: smettere di fumare e perdere peso, anche dopo anni di tabagismo o sovrappeso, sembra infatti ripristinare un’aspettativa di vita più alta. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – I “consigli della salute” spopolano ormai da anni sui media, nazionali e non, che si occupano di divulgazione scientifica. Perché allora parlare dell’ennesimo studio che mette in relazione determinate abitudini con l’aspettativa di vita? Innanzitutto per la vastità dello studio: la ricerca in questione, condotta da un’equipe dell’Università di Edimburgo, è una meta-analisi che racchiude i dati provenienti da 25 studi di popolazione condotti tra Europa, Australia e Nord America, per un totale di più di 600.000 persone.

Da questa grandissima mole di dati è emerso che le persone che sono in sovrappeso hanno un’aspettativa di vita ridotta rispetto a chi è in uno stato di forma fisica ottimale. Fino a qui nulla-purtroppo-di nuovo, visti gli ormai noti rischi metabolici e cardiovascolari legati al sovrappeso e all’obesità. Ma l’analisi ha fornito un dato ben preciso e sicuramente impattante dal punto di vista comunicativo ed emozionale: ogni chilo in più ridurrebbe, in media, l’aspettativa di vita di due mesi. In altre parole, il “semplice” fatto di essere sovrappeso di 25 kg accorcerebbe la vita di più di 4 anni; sono dati statistici, ed è vero che non sono applicabili a tutti i soggetti in sovrappeso, ma si tratta comunque di proiezioni indubbiamente impressionanti.

Un altro fattore che i ricercatori hanno identificato come predittivo dell’aspettativa di vita è stato quello dell’educazione, e anche in questo caso la potenza del messaggio è ingigantita da una semplice quantificazione: ogni anno passato sui libri aumenta l’aspettativa di quasi un anno. Tuttavia questo dato è da prendere più con le pinze perché, come sottolineato nello studio, “l’effetto dell’istruzione sull’aspettativa di vita è principalmente mediato dall’attitudine a evitare comportamenti dannosi, come il fumo”. Non è una questione, quindi, di mera forza di volontà: si presuppone, in altre parole, che persone istruite siano maggiormente a conoscenza dei rischi collegati a tali comportamenti, elemento che facilita -e non di poco- l’applicazione di corrette tecniche di prevenzione.

L’aspetto cruciale di questa ricerca (pubblicata sulla rivista Nature Communications) è però il fatto di evidenziare, attraverso la correlazione tra il genoma dei partecipanti e le abitudini/aspettativa di vita dei genitori, l’impatto che alcune regioni geniche hanno sulla nostra linea della vita.
La prima di queste regioni del DNA è quella in cui si trova un gene (LPA) che codifica per una proteina responsabile della regolazione del livello di colesterolo nel sangue: sue variazioni accorcerebbero l’aspettativa di vita di circa 8 mesi, in quanto favoriscono l’insorgenza di patologie cardiovascolari e diabete. Nella seconda invece si trovano dei geni correlati al sistema immunitario (HLA-DQA1/DRB1), e una loro maggiore espressione aumenterebbe l’aspettativa di vita di circa 6 mesi, proteggendo il nostro organismo da malattie autoimmuni.

Poca cosa, però, se si considera l’impatto poderoso che comportamenti e stili di vita virtuosi possono avere sulla nostra salute sul lungo periodo…e il bello è che non è (quasi) mai troppo tardi per riparare ad errori di gioventù: smettere di fumare e perdere peso, anche dopo anni di tabagismo o sovrappeso, sembra infatti ripristinare un’aspettativa di vita più alta, cancellando almeno in parte gli effetti nefasti accumulati prima della redenzione.

Leggi anche: Il livello di istruzione influisce sulle performance cognitive

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.