SCOPERTE

Antimateria in eccesso nei raggi cosmici: è possibile un’origine esotica?

Negli ultimi anni erano state proposte le pulsar come possibile origine dell'antimateria in eccesso nei raggi cosmici. L'osservazione nei raggi gammi di due pulsar relativamente vicine porta ad escludere questa possibilità lasciando in piedi l'ipotesi che l'eccesso sia legato alla materia oscura

Llo HAWC è un innovativo telescopio per raggi gamma che permette di avere una visione molto più dettagliata dei dintorni delle pulsar. Crediti immagine: HAWC

SCOPERTE – Troppa antimateria nello spazio che circonda la Terra, nella fattispecie troppi positroni, le antiparticelle degli elettroni. Da dove provengono? La scoperta è del 2008 e ha immediatamente chiamato in causa la materia oscura come possibile origine dell’anomalia. Da allora la domanda è rimasta però senza risposta e lo rimane anche dopo la pubblicazione, uscita su Science il 16 novembre, dello studio fatto su una coppia di pulsar relativamente vicine alla Terra. I due oggetti, resto  dell’esplosione di due supernove, potevano costituire una fonte meno esotica dell’eccesso di positroni, ma la loro osservazione nei raggi gamma ha portato a escludere questa possibilità.

Tale risultato è stato ottenuto grazie allo HAWC (High-Altitude Water Cherenkov), un innovativo telescopio per raggi gamma situato ad alta quota in Messico, che a differenza dei telescopi gamma classici permette di avere una visione molto più dettagliata dei dintorni delle pulsar. Resta quindi in piedi l’ipotesi più affascinante, quella legata alla materia oscura, un’ipotesi che rimane però del tutto speculativa visto che la fisica dei fenomeni coinvolti è tuttora sconosciuta.

La presenza di un eccesso di antimateria nello spazio non è uno di quei fenomeni che possono rimanere inspiegati e passare sottotraccia in attesa di futuri sviluppi. Un’anomalia così evidente, se non spiegabile con fenomeni fisici conosciuti, potrebbe essere una traccia tangibile di nuove leggi fisiche a oggi solo ipotizzate. Proprio questa considerazione ha orientato il team di scienziati che fece la scoperta nel 2008 a rivolgersi a uno dei maggiori misteri fisici e astronomici, la materia oscura. Ma cosa rende la presenza di antimateria così anomala da suggerire l’esistenza di una nuova fisica per spiegarla?

Il primo a ipotizzare l’esistenza di antielettroni, particelle di antimateria del tutto identiche agli elettroni, ma di carica positiva, fu Dirac nel 1928. Appena quattro anni più tardi queste particelle, battezzate come positroni, furono effettivamente osservate in un esperimento. Fu la prima prova sperimentale dell’esistenza dell’antimateria, una forma di materia composta da particelle del tutto uguali in massa a quelle normali, ma aventi caratteristiche che le definiscono dal punto di vista quantistico determinate da valori di segno opposto. Ad esempio mentre l’elettrone ha carica negativa, il positrone ha carica esattamente uguale, ma positiva.

Quando una particella e un’antiparticella si incontrano avviene il fenomeno dell’annichilazione: le due particelle si trasformano completamente in energia che viene liberata sotto forma di fotoni o sotto forma di una nuova coppia particella-antiparticella. I fotoni che si liberano dall’annichilazione sono molto energetici poiché l’intera massa delle particelle viene convertita in energia secondo la nota formula E=mc^2.

Dopo l’osservazione dei positroni, nel corso degli anni sono state osservati molte altre antiparticelle come antiprotoni e antineutroni composti a loro volta da antiquark e, addirittura, nel 1997 è stato prodotto un intero atomo di anti-idrogeno. Fin da quando è stata appurata l’esistenza dell’antimateria gli scienziati si domandarono se e quanta ce ne fosse nell’universo. Man mano che si accumularono i dati divenne evidente che l’universo è formato solo da materia normale e che l’antimateria è presente solo in pochissime tracce. D’altra parte se fosse presente molta antimateria questa si annichilerebbe non appena entrerebbe in contatto con la materia normale dando origine a forti emissioni di energia facilmente osservabili.

Date queste premesse gli scienziati non si aspettavano l’esistenza di grandi quantità di antiparticelle nello spazio, ma questo non significa che debbano essere del tutto assenti. Ci sono infatti processi in natura che sono in grado di produrre esigue quantità di antimateria, così come l’uomo è capace di produrla in laboratorio: tutto ciò che occorre sono grandi quantità di energia. In natura la fonte principale di antimateria sono i raggi cosmici. Questi non sono altro che particelle ad altissima energia presenti nello spazio che si muovono a velocità prossime a quelle della luce. Vengono prodotti da fenomeni astrofisici molto violenti come le esplosioni stellari o la caduta di materia nei buchi neri o sulle stelle di neutroni.

Negli anni 70 si scoprì che anche una piccola frazione di raggi cosmici è composta da antiparticelle, circa un antiprotone ogni 100.000 protoni e un positrone ogni 10 elettroni. Questa presenza è spiegata dall’interazione dei raggi cosmici col materiale interstellare che porta alla produzione di coppie particella-antiparticella che dopo la creazione si diffondono nello spazio. La percentuale di antiparticelle rispetto alle rispettive particelle varia se si considerano raggi cosmici di determinata energia. In particolare andando ad energie molto alte secondo il modello dell’interazione col materiale interstellare la frazione di antiparticelle dovrebbe diminuire.

Con grande sorpresa degli scienziati questo però è esattamente quello che non è stato osservato nel 2008 con PAMELA (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light-nuclei Astrophysics). Lo strumento italiano frutto di una collaborazione internazionale guidata dall’INAF e montato su un satellite russo era stato progettato per quantificare la frazione di positroni e antiprotoni dei raggi cosmici ad alta energia. Contrariamente alle aspettative era stato osservato che, al di sopra dei 10 GeV di energia, la frazione di positroni saliva al 16% per poi stabilizzarsi.

Il risultato, annunciato nel 2008, è stato poi confermato, pubblicato su Nature l’anno seguente e ha ricevuto ulteriori conferme nel 2011 dalla missione Fermi e infine nel 2013 grazie ai risultati di un rivelatore più preciso, l’AMS (Alpha Magnetic Spectrometer), montato sulla Stazione Spaziale Internazionale. Spiegare un simile risultato è difficile. Una possibilità è che il modello di produzione di antimateria nello spazio non funzioni del tutto, ma rimarrebbe comunque difficile spiegare un risultato così particolare. Una possibilità più concreta è che invece l’anomalia sia determinata da fenomeni astrofisici locali capaci di arricchire i raggi cosmici di positroni.

In alternativa rimane la possibilità che i positroni in eccesso siano prodotti da una classe di fenomeni fisici di natura ancora sconosciuta. Può sembrare eccessiva un’ipotesi di questo tipo per un esperimento i cui risultati non sono univoci, ma l’esistenza di una fisica al di là del cosiddetto Modello Standard (il modello che descrive tutte le particelle elementari e tutte le loro interazioni a parte la gravità) è ormai richiesta per spiegare diversi problemi della fisica. Uno su tutti è la questione stridente della materia oscura, una forma di materia cinque volte più abbondante della materia normale, ma che finora non siamo mai stati in grado di osservare. Si sa che c’è perché se ne osservano gli effetti gravitazionali a livello cosmologico, ma a quanto pare interagisce poco o per nulla con la materia normale rendendo estremamente difficoltoso il suo rilevamento.

Il problema è che il modello standard non descrive la materia oscura e quindi non è in grado di dare nessuna indicazione su di essa. A fornire indizi sull’esistenza di nuove classi di particelle e di fenomeni fisici sono teorie che si basano su estensioni del Modello Standard, ma al momento nessuna di queste teorie ha trovato prove sperimentali a sostegno. Tra queste in particolare una classe di teorie, dette di Supersimmetria, prevede l’esistenza di particelle, le WIMP (Weakly Interacting Massive Particle), particelle massive debolmente interagenti), che sarebbero buone candidate per la materia oscura. I fisici teorici speravano che una volta raggiunta la massima potenza con LHC, oltre al bosone di Higgs sarebbero emersi anche fenomeni o particelle che avrebbero fornito indicazioni sulla validità di queste teorie, ma questo al momento non è successo. Perciò, se davvero l’eccesso di positroni fosse legato alla materia oscura, costituirebbe il primo segnale direttamente rilevabile della sua esistenza e il primo indizio sperimentale di nuovi fenomeni fisici. Quando hanno osservato per la prima volta l’eccesso di positroni gli scienziati hanno effettivamente ipotizzato che potesse essere il segnale prodotto da fenomeni di annichilazione delle WIMP e questa ipotesi ha suscitato una certa speranza nella comunità scientifica.

Prima però andava presa in considerazione la possibilità che ci fosse qualche fenomeno nello spazio locale a generare grandi quantità di positroni. Per giustificare l’anomalia sarebbe occorso un fenomeno estremamente energetico e relativamente vicino, richiesta che permette di restringere molto il campo di indagine. Gli occhi sono stati così puntati su una coppia di stelle di neutroni relativamente vicine (circa 800 anni luce). Questi oggetti non sono altro che il nucleo collassato di stelle di grande massa esplose come supernove. Hanno la caratteristica di essere estremamente compatte avendo una massa che va da 1,4 a 3 masse solari, ma un raggio di qualche decina di chilometri. Sono composte principalmente da neutroni, hanno una velocità di rotazione molto alta (fino a una rotazione ogni millisecondo) e un campo magnetico molto forte. Proprio questo campo magnetico è responsabile di intense emissioni energetiche che possono portare alla produzione di coppie di elettroni-positroni che vengono lanciati ad altissima energia “inquinando” lo spazio circostante di positroni. Proprio questo sarebbe il meccanismo che spiegherebbe l’anomalia osservata. Le due pulsar, infatti, hanno le caratteristiche che possono favorire la produzione di una grande quantità di positroni ed esistono da abbastanza tempo da far si che le loro emissioni ci abbiano raggiunto.

Per mettere alla prova questa ipotesi un team internazionale di astronomi ha analizzato le osservazione delle due pulsar nei raggi gamma ottenute con l’HAWC, un tipo di telescopio molto diverso dai normali telescopi. L’impianto, infatti, è costituito da grossi contenitori d’acqua che servono a individuare gli effetti dell’arrivo di raggi gamma nell’atmosfera. Quando questo avviene si produce una cascata di particelle verso la superficie terrestre che viene rilevata attraverso gli effetti che produce sui contenitori d’acqua. E’ così possibile ricostruire immagini precise ed estese delle sorgenti gamma, con un livello di dettaglio impossibile con i normali telescopi gamma.

Questa è una caratteristica fondamentale visto che la radiazione gamma nelle pulsar non proviene dalla stella in sé, ma dall’interazione delle particelle accelerate dal campo magnetico con fotoni a bassa energia che avviene nelle zone circostanti alla stella. Riuscire a osservare in dettaglio le pulsar nei raggi gamma ha permesso quindi di capire quanto velocemente si muovono le particelle accelerate, cosa che fino ad oggi non era stata possibile.

I risultati hanno posto seri dubbi sulla possibilità che le pulsar siano l’origine dell’eccesso di positroni. “Le misure gamma dell’HAWC dimostrano la presenza di positroni ad alta energia che fuoriescono da queste sorgenti” ha commentato Rubén López-Coto del Max Planck Institute in Heidelberg e coautore della ricerca. “Ma secondo le nostre misure, non possono contribuire all’eccesso di protoni osservato dalla Terra”. Questo perché i positroni prodotti non sono sufficientemente energetici da riuscire a sfuggire in gran numero oltre il gas che circonda le pulsar. Il problema dell’eccesso di positroni dunque rimane, ma ora una delle spiegazioni più concrete sembra essere stata messa fuori gioco, lasciando in piedi quella più esotica. “Questa nuova misura è stuzzicante poiché sfavorisce decisamente l’idea che i positroni in eccesso arrivino alla Terra da due pulsar vicine, almeno se si assume un modello relativamente semplice su come i positroni si diffondono da queste stelle rotanti” ha affermato Jordan Goodman, guida del progetto e professore di fisica alla University of Maryland. “Le nostre misure non decidono la questione in favore della materia oscura, ma ogni nuova teoria che tenterà di spiegare l’eccesso usando le pulsar dovrà tenere conto di quanto abbiamo trovato”.

Leggi anche: A caccia della materia oscura con la nuova e più precisa mappa

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale