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I cacciatori di elettroni

Ovvero, come i ricercatori del MIT hanno approntato una tecnica per osservare il comportamento degli elettroni all'interno di un materiale, e come questa nuova capacità possa aprire una porta ad un utilizzo completamente nuovo della materia.

Il team, guidato da Raymond Ashoori, docente di fisica del noto istituto statunitense, ha sviluppato una tecnica innovativa per visualizzare il comportamento degli elettroni negli strati interni del materiale. Crediti immagine: MIT

RICERCA – Utilizzare i materiali in modo innovativo è una delle frontiere più affascinanti della scienza e della tecnologie contemporanee. Una delle idee di base, su questo complesso tema, è che l’approfondimento della conoscenza del comportamento dei componenti elementari dei materiali stessi, sia su scala atomica che subatomica, possa consentire di sfruttarli in modo molto più efficiente e in generale molto al di sopra delle attuali potenzialità (ne abbiamo già parlato qui).

Tuttavia, la caratterizzazione delle proprietà dei materiali richiede complesse attività di ricerca, sia pura che sperimentale. Ad esempio, fino a oggi è stato possibile effettuare, tramite tecniche di tipo spettroscopico, una misura consistente del momento e dell’energia degli elettroni solo in prossimità della superficie di un corpo.

In pratica, utilizzando una stimolazione luminosa degli elettroni superficiali, è possibile farli “saltare” fuori dalla superficie, e catturali mediante opportuni rilevatori: nota la quantità di energia e la geometria di emissione della luce utilizzata come stimolo, si possono desumere energia e momento di partenza degli elettroni stessi.

Perché è così importante misurare energia e momento? La risposta, di principio, è semplice, anche se è correlata con argomenti complessi di fisica dello stato solido e di meccanica quantistica: la misura di queste grandezze consente di identificare la cosiddetta ‘densità degli stati elettronici’, che di fatto descrive il comportamento delle particelle nel materiale.

Il punto è che questo tipo di tecnica spettroscopica è sostanzialmente non attuabile quando, anziché catturare degli elettroni sulla superficie di un materiale, si vogliano invece intercettare quelli immersi all’interno della struttura.
Inoltre, le tecniche spettroscopiche del tipo sopra descritto risultano inefficaci con i materiali isolanti, considerando che in essi non ci sono elettroni effettivamente liberi di muoversi in correnti; inoltre, all’interno dei materiali può determinarsi normalmente la presenza di campi magnetici che alterano il comportamento degli elettroni, visto che tali campi esercitano forze sulle particelle cariche in movimento.
Come superare questi ostacoli e dare letteralmente la caccia agli elettroni degli strati più interni e profondi di un materiale?

Una possibile risposta arriva grazie all’attività di ricerca di un team del MIT, descritta in un articolo oubblicato su Science.
Il team, guidato da Raymond Ashoori, docente di fisica del noto istituto statunitense, ha infatti sviluppato una tecnica innovativa per visualizzare il comportamento degli elettroni degli strati interni.

Tale tecnica è basata su un ben noto (almeno per gli addetti ai lavori) fenomeno quantistico, il cosiddetto effetto tunnel: si tratta di un processo per il quale gli elettroni possono attraversare barriere energetiche, che li terrebbero vincolati a stare in una certa regione di spazio, comparendo dall’altra parte del tunnel, ossia della barriera.

Si tratta di un fenomeno assolutamente controintuitivo, se si pensa alle dinamiche dei corpi macroscopici che siamo abituati a osservare nella vita di tutti i giorni. Consideriamo ad esempio una sfera che deve risalire un pendio, nessuno si aspetta che lo possa fare di colpo, ritrovandosi dal fondo direttamente sulla sommità, senza fornire un’adeguata quantità di energia (tramite una spinta, ad esempio) che le consenta di superare la barriera di potenziale, in questo caso associata alla forza peso.

In meccanica quantistica, invece, laddove gli enti sotto analisi sono particelle microscopiche, come gli elettroni, esiste una probabilità non nulla (sebbene generalmente non molto elevata) che la particella riesca a superare la barriera e si trovi di colpo dall’altra parte.
Questo, nel caso in esame, corrisponde alla possibilità di liberare gli elettroni teoricamente imprigionati negli strati più profondi, in modo che possano manifestarsi all’esterno del corpo ed essere catturati dal rilevatore per la misura delle sue proprietà.

Per ottenere l’effetto desiderato, i ricercatori del MIT hanno approntato un sistema di elettroni bidimensionale noto come pozzo quantico: si tratta, in estrema sintesi, di una struttura planare realizzata mediante semiconduttori (nella fattispecie, arseniuro di gallio) in cui le particelle cariche vengono confinate a restare in una certa regione a causa della insorgenza, appunto di una barriera di potenziale.

Quindi, se il comportamento ordinario delle cariche negative (gli elettroni) è di essere respinti dalla barriera, alcune di esse, per effetto tunnel, riescono invece ad attraversarla, consentendo in questo modo la loro rilevazione all’esterno del materiale e la conseguente misura di momento ed energia necessaria per la caratterizzazione del loro comportamento. In questo caso, come eccitazione esterna, è stato utilizzato un campo magnetico perpendicolare alla direzione del tunnel.

Secondo i ricercatori del MIT questa tecnica, di fatto, rende possibile esplorare una sorta di spazio ignoto, che è appunto quello delle proprietà elettriche all’interno dei materiali, in modo da identificare e misurare possibili comportamenti nuovi o non previsti.
Per esempio, la ricerca condotta ha consentito di identificare una interazione molto singolare tra gli elettroni e gli ioni del reticolo fisso del materiale, simile a una sorta di legame tra particelle composite, caratterizzate da una vibrazione intrinseca: qualcosa che, secondo gli scienziati, non è mai stato osservato precedentemente.

Di principio, questi nuovi comportamenti potrebbero essere sfruttati per un utilizzo completamente nuovo dei materiali nel futuro, oltre che per sviluppare una conoscenza più approfondita delle forze che legano intimamente i costituenti elementari della materia.

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Gianpiero Negri
Laureato in Ingegneria Elettronica, un master CNR in meccatronica e robotica e uno in sicurezza funzionale di macchine industriali. Si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione di funzioni meccatroniche di sicurezza presso una grande multinazionale del settore automotive. Membro di comitati scientifici (SPS Italia) e di commissioni tecniche ISO, è esperto scientifico del MIUR e della European Commission e revisore di riviste scientifiche internazionali (IEEE Computer society). Sta seguendo attualmente un corso dottorato in matematica e fisica applicata. Appassionato di scienza, tecnologia, in particolare meccatronica, robotica, intelligenza artificiale e matematica applicata, letteratura, cinema e divulgazione scientifica, scrive per Oggiscienza dal 2015.