SCOPERTE

Dieta e microbioma: l’importanza delle fibre

Uno studio condotto su un modello animale ha spiegato alcuni dei meccanismi per cui una dieta povera di fibre può portare a disturbi metabolici e ad alterazioni della salute dell'intestino.

Una dieta ricca di fibre migliora lo stato di salute dell’intestino, agendo sui microrganismi che lo abitano. Crediti immagine: Olearys, Flickr

SCOPERTE – La quantità di fibre che assumiamo tramite la dieta influenza il nostro peso, il livello di zucchero presente nel sangue e, in generale, lo stato di salute dell’intestino. Una dieta con alto contenuto di grassi e zuccheri e un basso contenuto di fibre, per esempio, è stata associata a un elevato rischio di sviluppare malattie infiammatorie croniche intestinali (in inglese inflammatory bowel disease, IBD) e diabete. Due studi pubblicati sulla rivista Cell Host & Microbe aiutano a capire perché questa componente alimentare sia così importante per l’organismo.

In entrambi i lavori, i gruppi di ricerca hanno nutrito un gruppo di topi con una dieta particolarmente povera di fibre. Gli effetti di questa alimentazione sono stati l’aumento di peso, l’aumento della concentrazione di zucchero nel sangue e lo sviluppo della resistenza all’insulina. Nello studio condotto da Fredrik Bäckhed dell’Università di Gothenburg, dopo solamente 3-7 giorni sono stati osservati problemi nello strato di muco che riveste la parete del colon e che svolge una funzione protettiva. Nel secondo studio, guidato da Andrew Gewirtz della Georgia State University, è stata invece riscontrata una variazione dei ceppi batterici che componevano il microbioma.

Secondo i ricercatori, i due lavori dimostrano l’importanza rivestita dal muco intestinale e spiegano come questo strato risponda rapidamente ai cambiamenti che avvengono nella dieta e nella composizione batterica. In base ai risultati di questi studi, in assenza di fibre i microorganismi “invadono” lo strato di muco e stimolano un’infiammazione di basso grado (low-grade), contribuendo allo sviluppo della sindrome metabolica. Comprendere questi meccanismi è fondamentale per identificare metodi che permettano di promuovere la salute attraverso l’alimentazione, spiega in un comunicato Andrew Gewritz. Nelle due ricerche, infatti, entrambi i gruppi hanno modificato la dieta dei topi per valutare la possibilità di usare probiotici e integratori a base di fibra.

Bäckhed e colleghi hanno osservato come il trapianto di batteri intestinali da un topo sano potesse annullare alcuni dei cambiamenti dannosi causati da un’alimentazione povera di fibre. La somministrazione di bifidobatteri e l’assunzione di inulina, una fibra solubile, ha avuto degli effetti su alcune delle alterazioni del muco intestinale. Nel secondo studio, Gewirtz e colleghi hanno sottoposto i topi a una dieta composta al 20% da inulina e hanno osservato una riduzione di alcuni sintomi della sindrome metabolica (hanno osservato una perdita di peso e un miglior controllo della quantità di zucchero nel sangue), ma non sono state riscontrate variazioni, ad esempio, nel livello di trigliceridi.  Altri effetti positivi sono stati l’aumento della massa del colon, l’aumento del numero di enterociti (le cellule dell’intestino deputate all’assorbimento) e il ripristino del numero e della varietà dei batteri. La diversità di microorganismi non è però tornata ai livelli iniziali: secondo i ricercatori, è quindi necessaria molta cautela quando si utilizza questo tipo di integratori. In altre parole, se la composizione del microbioma intestinale non è sana, gli integratori potrebbero addirittura indurre complicazioni.

Come riassume Hansson, co-autore dello studio svolto presso l’Università di Gothenburg, una dieta povera di fibre altera la composizione e il metabolismo dei microorganismi intestinali, i quali, a loro volta, possono causare difetti nel muco, stimolando l’infiammazione e inducendo, infine, malattie metaboliche.  L’equilibrio dipende, quindi, sia dalla presenza di fibre sia dalla composizione del microbioma: l’aggiunta di integratori potrebbe offrire dei benefici – concordano Gewirtz, Hansson e Bäckhed – ma sono necessari ulteriori studi sulle interazioni tra cibo, batteri e ospite.

Leggi anche: Trattamento del diabete di tipo 2: un possibile ruolo per il microbioma

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.