IPAZIA

Le ricerche pionieristiche di Katsuko Saruhashi

Dall'acidificazione degli oceani al fallout radioattivo

“Sono molte le donne che hanno la capacità di diventare grandi scienziate. Mi piacerebbe vedere il giorno in cui potranno contribuire alla scienza e alla tecnologia su un piano di piena parità con gli uomini”. Crediti immagine: Wikimedia Commons

IPAZIA – Il 1° marzo 1954 gli Stati Uniti condussero un test nucleare a Bikini, atollo delle isole Marshall, nel Pacifico occidentale. Venne fatta esplodere una bomba a idrogeno, mille volte più potente di quelle sganciate nel 1945 a Hiroshima e Nagasaki. Gli effetti dell’ordigno furono devastanti. La ricaduta radioattiva dell’esplosione, alimentata da venti sfavorevoli, raggiunse anche un peschereccio giapponese, il Daigo Fukuryu Maru. I ventitré occupanti della nave si ammalarono e uno di loro, radiotelegrafista capo dell’imbarcazione, morì pochi mesi dopo a causa dell’esposizione acuta alle radiazioni. A seguito della tragedia, il governo giapponese chiese al laboratorio geochimico dell’osservatorio meteorologico nazionale di analizzare la radioattività nelle precipitazioni e nelle acque oceaniche. Grazie alle ricerche portate avanti dal team di ricerca giapponese venne appurata per la prima volta la portata globale del cosiddetto fallout radioattivo, in grado di contaminare in pochi anni ampie porzioni del pianeta. A condurre il lavoro fu Katsuko Saruhashi, scienziata molto apprezzata in patria ma poco conosciuta in occidente. Oltre alle analisi sul fallout, a lei si devono anche studi pionieristici sui livelli di CO2 nelle acque, fondamentali per comprendere il meccanismo di acidificazione degli oceani, uno degli effetti principali del riscaldamento globale prodotto dall’uomo.

Katsuko Saruhashi nasce a Tokyo nel 1920. A dispetto del nome, che in giapponese significa “forte”, è una bambina di salute cagionevole e di indole malinconica. Un giorno, durante un temporale, resta incantata osservando le gocce d’acqua che si poggiano sui vetri di una finestra e inizia a chiedersi quale sia l’origine della pioggia. È in quel momento, racconta, che nasce il suo amore per la scienza. Durante gli anni del liceo sogna di diventare una ricercatrice, ma dopo il diploma i genitori la spingono ad accettare un lavoro presso una compagnia di assicurazioni. Pur motivata a proseguire gli studi, la giovane Katsuko decide di non tradire le loro aspettative. Per quattro anni lavora come impiegata assicurativa, ma nella primavera del 1941 il richiamo della scienza diventa troppo forte. Lascia il lavoro e si iscrive all’Imperial Women’s College of Science di Tokyo.

Durante gli studi universitari conosce il chimico Yasuo Miyake, che ben presto diventa il suo mentore. Miyake è a capo del gruppo di ricerca del laboratorio geochimico dell’osservatorio meteorologico centrale del Giappone. La giovane scienziata entra a far parte del laboratorio subito dopo la sua prima laurea, nel 1943; lo lascerà, da direttrice, quasi quarant’anni dopo. Sotto la guida di Miyake inizia a studiare i livelli di CO2 nell’acqua di mare. Il concetto di “riscaldamento  globale” è ancora di là da venire e la concentrazione di CO2 nelle acque e nell’atmosfera non è considerata un parametro degno di nota. Saruhashi deve quindi sviluppare da zero una tecnica di misurazione. Nel 1955, dopo anni di analisi, pubblica un articolo in cui è descritto un metodo grazie al quale è possibile determinare in modo accurato le variazioni del diossido di carbonio in acqua. Tale metodo, che prevede l’utilizzo di una griglia in cui sono riportati i dati su temperatura, pH e clorinità, sarà utilizzato dagli oceanografi di tutto il mondo per oltre tre decenni, prima di essere sostituito da software informatici. Dopo il test nucleare di Bikini, oltre a portare avanti questo lavoro, Saruhashi si concentra sullo studio del decadimento radioattivo dei radionuclidi negli oceani. Nel frattempo, tra una ricerca e l’altra, consegue il dottorato in chimica presso l’Università di Tokyo, prima donna giapponese a raggiungere questo traguardo. È il 1957.

A seguito della pubblicazione delle ricerche sul fallout, nel 1962 la Scripps Institution of Oceanography di San Diego invita Saruhashi a mettere a confronto le sue tecniche di misurazione degli elementi radioattivi con quelle elaborate contemporaneamente dai ricercatori americani. In California, la scienziata giapponese riceve un trattamento che ricorda da vicino quello a cui era stata sottoposta, nella Berlino di inizio Novecento, la fisica austriaca Lise Meitner, costretta a lavorare in un capanno degli attrezzi perché alle donne non era concesso l’utilizzo dei laboratori dell’università. Theodore Folsom, oceanografo a capo della ricerca della Scripps, non le consente infatti di lavorare nei laboratori dell’istituto. Katsuko Saruhashi, quasi sessant’anni dopo Lise Meitner, deve condurre le sue ricerche in un capanno di legno. Il confronto fra le tecniche, inoltre, è impostato in modo svantaggioso per la donna. Nonostante tutte le difficoltà, la ricercatrice riesce egualmente a dimostrare che la tecnica di rilevazione giapponese è più accurata di quella americana.

Questa esperienza segna profondamente Saruhashi, da quel momento in prima linea nella lotta per l’uguaglianza di genere nella scienza. Nel 1980 è la prima donna a divenire membro del Science Council of Japan e nel 1981, dopo aver ottenuto l’Avon Special Prize for Women, istituisce il Saruhashi Prize, premio annuale assegnato alle scienziate che, grazie al loro lavoro, rappresentano un modello e una fonte d’ispirazione per tutte le ragazze che vogliono intraprendere la carriera scientifica. “Sono molte le donne che hanno la capacità di diventare grandi scienziate. Mi piacerebbe vedere il giorno in cui potranno contribuire alla scienza e alla tecnologia su un piano di piena parità con gli uomini”. Morta nel 2007, Katsuko Saruhashi non è riuscita a realizzare il suo desiderio. Grazie a lei, però, quel giorno è forse un po’ più vicino.

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.