CULTURA

IgNobel, ovvero l’elogio della ricerca inutile

Anche gli studi stravaganti hanno il loro premio: Luca Perri, nel suo “La pazza scienza”, ne racconta alcuni e spiega perché è importante che la ricerca segua le domande che ci poniamo, più che il bisogno di risultati.

LIBRI – Ogni volta che si sente parlare di una nuova scoperta, scienziati e uffici stampa si affannano a sottolinearne le molteplici applicazioni, presenti o future, o a evidenziare come rappresentino un passo essenziale per poterne svilupparne delle altre. Se questo non accade, sono i giornalisti a chiederlo nel corso delle interviste e a scriverlo nei loro articoli, perché chi legge trovi soddisfazione agli interrogativi “a cosa serve?” e “perché sono stati spesi dei soldi per questo?”.

In epoca di crisi è comprensibile farsi domande sulla destinazione del denaro che proviene dalle nostre tasse, ma è altrettanto vero che questa tendenza porta sempre più ad allontanarsi dal vero senso della ricerca, dal motore che la dirige. “È ciò che spinge un bambino a scoprire il mondo che lo circonda, alle volte anche facendosi male o venendo deriso: la curiosità. Unita al dono che permette a uno scrittore o a un musicista di comporre: la fantasia. E, infine, la stessa cosa che ha spinto gli esploratori del passato a rischiare la vita partendo per mari lontani: la voglia di conoscere e scoprire”. Così Luca Perri, nel suo libro “La pazza scienza”, descrive cosa porta uomini e donne a intraprendere la strada della ricerca, e lo fa per spiegare cosa spinga due enti prestigiosi come l’università di Harvard e il Massachusetts Institute of Technology (MIT) a spendere tempo e denaro per organizzare l’assegnazione dei premi IgNobel.

Per chi non ne avesse mai sentito parlare, il premio IgNobel viene assegnato ogni anno agli autori delle dieci ricerche più “strane, divertenti, e perfino assurde”, selezionate in base agli articoli pubblicati su riviste scientifiche autorevoli. Si va dalla scoperta che la presenza di esseri umani tende a eccitare sessualmente gli struzzi, all’affermazione che i buchi neri soddisfano tutte le caratteristiche tecniche che li renderebbero il luogo dove si trova l’Inferno; dal perché gli uomini anziani abbiano orecchie grandi, alla dimostrazione che suonare regolarmente un didgeridoo costituisca un trattamento efficace contro la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. Permetterebbe anche di russare meno: più premio IgNobel per la pace di così…

A chi vedesse tutta l’operazione come una maniera per ridicolizzare la scienza, gli organizzatori rispondono che si tratta di un modo per onorare risultati in grado di far ridere le persone, per poi farle riflettere. Non c’è nulla di più adatto, quindi, dello stile di Perri per raccontare queste bizzarre ricerche: per chi ha avuto modo di parlare con lui o di seguire una delle sue conferenze, leggere questo libro sarà come averlo di fronte (o, magari, sulla spalla – ma in formato ridotto) mentre racconta di deiezioni canine o di rane levitanti. Per chi non avesse ancora avuto questa fortuna, oltre a consigliare di rimediare al più presto, si aprirà una lettura estremamente scorrevole, guidata da un tono colloquiale e da un’ironia in grado di farvi ridere ovunque siate – quindi attenzione a dove leggete. Il viaggio inizia dal perché dovrebbe essere interessante trovare un metodo per calcolare la superficie di un elefante, per poi continuare con lo studio sul perché i cavalli bianchi attirino meno i tafani, mentre le lapidi nere risultano irresistibili per le libellule. E poi via, senza fermarsi, tra abilità magnetiche canine, scarabei stercorari e legge di Murphy.

Sono molte le ricerche citate da Perri, accompagnate dalle pregevoli vignette umoristiche di Angelo Adamo, che in appendice scrive dell’uso delle immagini nella comunicazione della scienza. Se anche voi, come me, al termine della lettura vi doveste ritrovare con la domanda “ma come ha scelto di quali premi parlare?” – a maggior ragione se fate un giro sul sito con tutti i vincitori – ecco cosa mi ha risposto l’autore:

“Mi occupo di IgNobel oramai da un paio di anni, e in questo tempo ho letto e approfondito moltissime delle ricerche che sono state premiate. Alcune mi sono rimaste impresse più di altre, sia per le ricadute che per il divertimento che riuscivano a suscitare in me e nelle persone con cui interagivo durante le conferenze che tenevo sul tema. Quando si è trattato di scegliere di quali premi scrivere sono semplicemente partito dai miei preferiti, cercando di tracciare un filo logico. In realtà erano molti di più di quelli che ho poi effettivamente descritto, ma purtroppo ho dovuto fare delle scelte. Gli altri li terrò da parte per il sequel!”

@giuliavnegri89

Leggi anche: Un altro italiano fra i premi IgNobel

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.