SALUTE

Tubercolosi multiresistente e migranti

L'ECDC ha lanciato un progetto pilota per sequenziare il genoma di tutti i ceppi di micobatteri tubercolari resistenti. Per l'Italia coinvolto il San Raffaele.

La ricerca ha individuato in tutta Europa, dal febbraio 2016 all’aprile 2017, 29 casi di tubercolosi multiresistente in persone provenienti dal Corno d’Africa. Tutti i ceppi sono stati analizzati mediante sequenziamento del genoma. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – Di migranti e sanità parlano in molti, spesso citando il pericolo di epidemie di tubercolosi, che alla prova dei fatti – è sufficiente consultare i dati del bollettino epidemiologico dell’Istituto Superiore di Sanità – non si sono mai verificate. Pochissimi però sanno che sei mesi fa l’ECDC, il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, ha lanciato un progetto pilota per sequenziare il genoma di tutti i ceppi di micobatteri tubercolari resistenti ai farmaci isolati in Europa.

Lo scopo di questo progetto è arrivare a riconoscere i casi di trasmissione della tubercolosi multiresistente in modo da poter mettere in atto azioni di prevenzione adeguate attraverso un metodo per riconoscere e controllare le trasmissioni più rapido e preciso rispetto a come vanno le cose oggi, che l’ECDC spera possa diventare presto una prassi in tutta Europa. Il progetto pilota è stato vinto da un consorzio internazionale, coordinato dall’IRCCS Ospedale San Raffaele.

A dare il via a questo progetto è stata una segnalazione all’ECDC da parte della Svizzera (che tuttavia non facendo parte della Comunità Europea non ha l’obbligo di notificare i propri dati all’ECDC) di 4-5 casi di tubercolosi multiresistente fra i migranti che vivono nel paese, condividendo la sequenza genetica dei genomi di queste forme di tubercolosi. Immediatamente l’ECDC ha richiesto a tutti i centri nazionali, deputati a laboratori per la sorveglianza per la MDR-TB (il San Raffaele è il laboratorio responsabile per l’Italia), di notificare eventuali casi simili, condividendo a loro volta il genoma di questi ceppi, in modo da confrontarli e cercare correlazioni fra il paese di provenienza di queste persone e un eventuale specifica mutazione.

Il risultato di questa operazione è contenuto in un articolo pubblicato nientemeno che su The Lancet Infectious Diseases nei giorni scorsi, che ha individuato in tutta Europa, dal febbraio 2016 all’aprile 2017, 29 casi di tubercolosi multiresistente in persone provenienti dal Corno d’Africa. Tutti i ceppi sono stati analizzati mediante sequenziamento del genoma. Il confronto fra i dati provenienti dai diversi paesi ha dimostrato che i casi sono dovuti a un ceppo di tubercolosi resistente che circola nei paesi del corno d’Africa (tra cui nord della Somalia e nel Gibuti), e che la trasmissione probabilmente si è verificata durante il viaggio prima dell’arrivo in Europa. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che sono state detenute per mesi nei campi libici prima di sbarcare in Italia. Il motivo per cui non sono state diagnosticate in Italia è probabilmente che la malattia, che ha tempi di incubazione molto lunghi rispetto ad altre malattie infettive, non era ancora manifesta o in fase iniziale, e i sintomi hanno iniziato a manifestarsi una volta arrivati nei nuovi paesi. Non a caso non abbiamo per ora avuto casi secondari.

“Questo studio importantissimo, che rappresenta uno splendido esempio di condivisione di dati e di cooperazione europea, ci dice diverse cose molto importanti, prima di tutto che sebbene 29 casi siano un numero superiore rispetto all’atteso, in nessun paese queste persone hanno creato problemi in termini di contagio o epidemie, e questo perché i sistemi sanitari in Europa sono pienamente in grado di riconoscere rapidamente e curare i casi di tubercolosi – spiega a OggiScienza Daniela Maria Cirillo, capo Unità Patogeni batterici emergenti dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e coautrice dello studio. “La tubercolosi multiresistente è una malattia grave ed è importante fare il possibile per diagnosticare rapidamente e con precisione di che tipo di resistenza si tratta, in modo da offrire la miglior cura possibile evitando potenziali contagi di forme resistenti.”

“Quello su cui è importante insistere è che non dobbiamo avere paura delle persone che arrivano in Europa, I casi di tubercolosi o di forme resistenti non rappresentano una minaccia per la popolazione italiana , se i casi vengono prontamente riconosciuti e trattati. L’importante è non abbassare la guardia. Quest’esperienza – conclude Cirillo – ci ha dato modo di mettere in moto un processo per dotare nel minor tempo possibile tutti i paesi della comunità Europea di uno strumento formidabile quale l’analisi dei genomi dei micobatteri tubercolari per capire ed intervenire sulle modalità di trasmissione per per effettuare la diagnosi rapida delle forme resistenti.

Proprio qualche giorno fa raccontavamo di uno studio condotto da un team internazionale a cui ha collaborato appunto l’Ospedale San Raffaele, che è riuscito a individuare le 300 mutazioni genetiche che sono marcatori indiscussi della resistenza ai principali farmaci antitubercolari esaminando 1700 data set provenienti da tutto il mondo. L’idea di fondo era quella di capire quali fossero le modificazioni genetiche del batterio della tubercolosi che inducono la resistenza ai farmaci e utilizzarle per una diagnosi rapida. L’importante è che la diagnosi della tubercolosi e in particolare della tubercolosi multiresistente venga fatta rapidamente ed in modo corretto per offrire la migliore cura possibile ai malati.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.