TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Tumori e proteina p53

Esiste un legame tra le anomalie meccaniche dei tessuti malati e l’alterazione genetica più frequentemente riscontrata nei tumori, quella che porta alla produzione della proteina p53 mutata.

Immunofluorescenza di cellule di tumore alla mammella triplo negativo. Crediti immagine: Laboratorio Nazionale CIB

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – I tumori nascono da un accumulo di mutazioni, cioè di alterazioni dei geni che regolano la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule. Una delle mutazioni più frequenti è quella della proteina p53, un oncosoppressore. In che modo questa proteina condiziona il comportamento dei tumori? Di questo si è occupato il gruppo di ricerca di Giannino Del Sal, professore di Biologia Applicata dell’Università di Trieste e capo dell’Unità di Oncologia Molecolare del Laboratorio Nazionale CIB all’Area Science Park di Trieste.

Rebecca Bertolio, dottoranda presso il laboratorio del professor Del Sal ci ha raccontato lo studio, pubblicato lo scorso dicembre su Nature Cell Biology, che ha permesso di svelare un aspetto cruciale e inedito di p53 e dei tumori: particolari condizioni fisiche del tessuto tumorale, come la durezza, la rigidità e la forte tensione che spesso caratterizzano i tumori più aggressivi, stabilizzano e stimolano l’attività della p53 mutata all’interno delle cellule maligne.

Di cosa si occupa l’unità di oncologia molecolare?

Esistono diversi tipi di cancro al seno a seconda del comportamento biologico del tumore e della risposta alle terapie; una delle tipologie di cancro più aggressive è il cancro al seno triplo negativo.
Nell’unità di oncologia molecolare studiamo proprio questo tipo di cancro e, in particolar modo, ci concentriamo su tutto ciò che riguarda la proteina p53 mutata: c’è chi studia le cellule staminali tumorali, chi il metabolismo, chi la migrazione delle cellule tumorali, ma tutti questi aspetti sono sempre centrati su p53.
Nello specifico andiamo a studiare, all’interno della cellula, la base molecolare su cui si sviluppa un tumore: quale proteina funziona e quale no? Quali danni subisce una cellula tumorale che porta poi al fenomeno invasivo aggressivo?

Cos’è esattamente la proteina P53?

P53 è un oncosoppressore che normalmente è presente in tutti i tessuti e che ha una funzione benefica, prevenire i danni al DNA. Cerca infatti di riparare tutto ciò che è estraneo alla cellula.
Circa quarant’anni fa ci si è accorti che, nel caso di tumori, si ha un’alta frequenza di mutazione su questa proteina che la rende pro tumorale, più aggressiva, e che porta a fenomeni di proliferazione incontrollata. Noi stiamo cercando di capire proprio la biologia di questa proteina: come funziona p53 mutata, come destabilizzarla e come agire per bloccare la sua azione.

Qual era l’obiettivo dello studio pubblicato a dicembre su Nature Cell Biology?

Siamo partiti dall’idea di trovare qualche composto che potesse ostacolare o inattivare p53 mutata: abbiamo quindi deciso di fare uno screening di molecole di farmaci già in commercio, in uso e approvati dalla comunità europea e da vari istituti internazionali. Abbiamo via via provato circa 600 farmaci in vitro, su cellule tumorali di tumori triplo negativo, e abbiamo osservato quale via di segnalazione colpissero all’interno della cellula.

Che risultati avete ottenuto?

Dei circa seicento farmaci provati, solo una decina avevano degli effetti positivi, ma i migliori sono risultati le statine, dei farmaci contro l’ipercolesterolemia.
Le statine colpiscono le vie della biosintesi del colesterolo e abbiamo notato che, somministrando questi farmaci che bloccano la formazione del colesterolo, si ha una modulazione nell’attività di p53 e, in particolar modo, sulla sua stabilità.

Perché è importante la stabilità della proteina p53 mutata?

Un fenomeno ricorrente nei tumori solidi è la rigidità del tessuto attorno al tumore. Con vari esperimenti di misurazione della rigidità del tessuto tumorale, comparando tessuti non trattati con tessuti trattati con le statine, siamo arrivati alla conclusione che la rigidità del tessuto porta alla stabilità di p53 e ne favorisce quindi l’aggressività e la proliferazione incontrollata.
Utilizzando questi farmaci si ha una sorta di stop: si ottiene una destabilizzazione di p53, una sua degradazione e quindi uno stop della proliferazione dei tumori.

Abbiamo poi osservato che questi farmaci portano alla sensibilizzazione del microambiente delle cellule tumorali su cui vivono, si appoggiano e crescono: utilizzando le statine, si riducono la durezza e la rigidità del tumore e si può quindi pensare di andare ad attaccare l’interno del tumore.

A che punto siete con i test?

Per ora la ricerca, possibile grazie al sostegno dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), si è svolta con test in vitro e bisogna capire se i risultati che abbiamo ottenuto siano utilizzabili per i futuri trial clinici. Per ora stiamo lavorando a un possibile protocollo per i futuri studi.

SCHEDA DELLA RICERCATRICE

Nome: Rebecca Bertolio
Nata a: Arona
Lavoro a: Laboratorio Nazionale CIB, Area Science Park, Trieste
Formazione: Biotecnologie mediche con la specializzazione in medicina molecolare
Il mio gruppo di ricerca: è il gruppo di ricerca del professor Del Sal, unità di oncologia molecolare.
Cosa amo di più del mio lavoro: non sapere quello che andrò a scoprire. È un tuffo nel buio, cerchiamo le cose che ancora non si conoscono.
La sfida principale nel mio ambito di ricerca: cercare di capire come un tumore funziona, visto che è un sistema molto complesso, eterogeneo e imprevedibile. Riuscire a comprendere una minima parte di esso è già un grande passo in avanti.

 

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.