SALUTE

L’arte marziale che allevia il dolore

Il tai chi, l'antica arte marziale cinese praticata in occidente come ginnastica per favorire il benessere di mente e corpo, potrebbe avere una nuova applicazione in ambito medico.

SALUTE – Secondo quanto afferma un gruppo di ricercatori della Tufts University di Boston, questa pratica avrebbe infatti degli effetti positivi sulla gestione del dolore cronico nei pazienti affetti da fibromialgia, con benefici superiori rispetto a quelli legati ad altre attività aerobiche. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista The BMJ.

La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da dolore cronico a muscoli, tendini e legamenti. Altri sintomi comprendono rigidità muscolare, astenia, insonnia o disturbi del sonno, sintomi cognitivi (calo della concentrazione e della memoria) e diminuzione dei livelli di serotonina, con possibili disturbi d’ansia e depressione. Per questa sindrome – che colpisce tra il 2 e il 4% della popolazione mondiale di età compresa tra i 18 e i 65 anni – non esiste una cura, ma il trattamento comprende un approccio multidisciplinare che include farmaci, esercizio fisico e terapia cognitivo-comportamentale.

Numerosi studi hanno documentato i benefici legati alla pratica di attività aerobica moderata, ma per molti pazienti i programmi di esercizi rimangono difficili da seguire, a causa della fluttuazione dei sintomi. Come spiega Chenchen Wang, prima autrice della ricerca pubblicata su The BMJ, non è raro che i pazienti non riescano a svolgere esercizi aerobici perché “il pavimento è troppo duro” o perché provano troppo dolore. A partire da questa considerazione, i ricercatori della Tufts University, guidati da Timothy McAlindon, hanno quindi deciso di indagare possibili effetti positivi dell’arte marziale. Lavori precedenti ne avevano dimostrato l’efficacia nel caso di osteoartrite o artrite reumatoide, ma i benefici di questa pratica orientale non erano mai stati confrontati con quelli dovuti ad altri esercizi di tipo aerobico, né era stata valutata la “dose” ideale, ovvero la frequenza e la durata.

Il trial clinico è stato condotto presso il Tufts Medical Center di Boston e ha visto la partecipazione di 226 adulti affetti da fibromialgia, che non avevano praticato tai chi e non avevano seguito nessun programma di medicina alternativa nei mesi precedenti. I pazienti sono quindi stati divisi in modo casuale un due gruppi: un gruppo ha svolto esercizi aerobici due volte a settimana per 24 settimane mentre il secondo gruppo ha preso parte a delle lezioni di tai chi (una o due volte a settimana, per 12 o 24 settimane). I sintomi sono stati valutati alla 12esima, 24esima e 52esima settimana. Durante tutta la durata della sperimentazione, i pazienti hanno continuato ad assumere regolarmente farmaci, sotto il controllo dei propri medici.

Per tutti i gruppi i sintomi sono migliorati nel corso del tempo, ma il risultato più significativo è stato osservato nei partecipanti che hanno praticato tai chi per 24 settimane. La durata nel tempo si è dimostrata essere un fattore importante (dopo 12 settimane i vantaggi non sono stati altrettanto evidenti), mentre non sono stati osservate differenze significative rispetto alla frequenza di una o due volte a settimana. Durante la sperimentazione i due gruppi hanno avuto un atteggiamento diverso nei confronti degli esercizi, spiega Chenchen Wang: i pazienti che hanno seguito lezioni di tai chi erano molto più soddisfatti e costanti nella partecipazione, e hanno dimostrato interesse a continuare le lezioni anche dopo la fine della ricerca. Al contrario, i membri del gruppo che ha svolto “normali” esercizi aerobici hanno spesso saltato le lezioni, lamentando la fatica eccessiva e il dolore, come osservato anche in precedenza. Secondo la ricercatrice, già autrice di diversi studi sul tema, è importante riflettere su quali esercizi siano più adatti a gestire il dolore cronico, anche tenendo conto della disponibilità dei pazienti ad impegnarsi  sul lungo periodo.

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.