SALUTE

Omeopatia: 4 italiani su 100 usano ancora il placebo che si paga

Non ci sono evidenze di una sua efficacia se non come effetto placebo ma molti scelgono l’omeopatia: il compratore tipo vive nel Nord-Est e ha uno status socio-economico elevato.

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Molte delle persone che ancora oggi scelgono l’omeopatia e non i farmaci lo fanno perché preferiscono curarsi con “rimedi naturali”. Foto Pixabay

SALUTE- Il vero problema dell’omeopatia oggi è che è ancora considerata da troppa opinione pubblica come una materia sulla quale sono concesse opinioni contrastanti. Questo nonostante la scienza abbia da tempo mostrato che gli effetti curativi ottenuti da alcune persone con i rimedi omeopatici – ben più costosi dei farmaci da banco – sono dovuti al massimo all’effetto placebo.

Non è un caso che chi paventa gli ottimi risultati dell’omeopatia avesse in genere un raffreddore, che come sappiamo se ne va da solo dopo qualche giorno stando al caldo e riposandosi. Nessuno è mai guarito dal cancro o da una malattia infettiva usando rimedi omeopatici, anzi. Nel 2017, in Spagna, un bambino trattato solo con l’omeopatia è morto d’asma a sette anni. Pochi mesi fa, a Treviso, una donna di 50 anni è morta per un cancro al seno che aveva voluto trattare solo con l’omeopatia. E ancora, sempre nel 2017, vicino a Pesaro un bimbo di sette anni è morto per una semplice otite.

Oggi è la Giornata Mondiale dell’Omeopatia, ma non c’è nulla da festeggiare: se è vero, come riporta Istat, che dal 2005 al 2013 (i dati più recenti per l’Italia) l’uso di rimedi omeopatici è sceso dal 7% al 4,1%, significa comunque che a quattro persone su 100 non siamo ancora riusciti a raccontare come stanno davvero le cose, e cioè che l’omeopatia è – per citare l’ottimo libro curato da Silvio Garattini – acqua fresca. Nonostante le evidenze, il 55% degli italiani che scelgono l’omeopatia si dice convinto del suo utilizzo perché pensa di averne avuto benefici, mentre nel 2013 oltre il 41% continuava a fare uso di trattamenti omeopatici perché preferisce i rimedi “naturali”.

Il primo paradosso dell’omeopatia è che proprio comprendendone la logica di funzionamento, per come è stata formulata, è evidente che non può funzionare. L’omeopatia è un metodo di preparazione di rimedi che si basa sulle teorie di Samuel Hahnemann, medico tedesco vissuto fra il 1755 e il 1843. Correva l’anno 1810 e Hahnemann, senza alcuna prova scientifica, era convinto che per curare una certa malattia bastasse somministrare al malato una minuscola dose dello stesso “male”. Una sorta di magia.

Era l’epoca di Jane Austen: non avevamo ancora scoperto i virus né i batteri, quindi gli antibiotici, non c’era il concetto di cellula, non avevamo scoperto nemmeno il fluoro, il cloro o il silicio. La stessa composizione dell’acqua era una conoscenza appena acquisita. Darwin non aveva ancora pubblicato l’Origine delle Specie, non era ancora nato Mendel, e soprattutto non esisteva il concetto di medicina sperimentale: le persone si curavano con i salassi, cioè non si curavano. La medicina al tempo di Hahnemann? Non esisteva. Ma a partire dalla convinzione che “il simile cura il simile” il medico tedesco iniziò a prendere un principio attivo e a diluirlo 1 a 10 per 12 volte (la diluizione più diffusa ancora oggi), arrivando a 1 parte di principio attivo ogni 10^12 parti di acqua: ovvero una su mille miliardi.

Che un preparato simile contenga ancora del principio attivo è impossibile proprio in virtù della legge di Avogadro, che rappresenta per la chimica quello che la gravità universale di Newton rappresenta per la fisica. Il numero di Avogadro, noto dal 1811, ci dice quanti atomi di una certa sostanza ci sono in una mole (che si misura in grammi) di quella sostanza: 6,022×10^-23. La scienza ha già dimostrato che le diluizioni omeopatiche sono troppe: non è matematicamente possibile che una sostanza così diluita contenga traccia del principio attivo.

Ecco perché oggi non siamo giustificati a pensarla come Hahnemann. Farlo equivale a sostenere che la Terra è piatta perché l’orizzonte rimane sempre piatto agli occhi di chi lo osserva. Eppure anche in età moderna ci sono scienziati che sostengono il contrario, segno che appartenere alla comunità scientifica non significa essere esenti da errori o cattiva fede, così come è accaduto con la bufala della correlazione fra vaccini e autismo. L’ultima parola è arrivata in realtà già nel 2005 sulla rivista medica più prestigiosa al mondo, The Lancet, con un articolo dal titolo “La fine dell’omeopatia”.

Eppure, più di 10 anni dopo, secondo gli ultimi dati Eurispes, oltre un italiano su cinque (il 21,2%) fa uso di medicinali non convenzionali (un +6,7% rispetto al 2012!) ed è ancora l’omeopatia la cura alternativa più diffusa: tre europei su 20. Secondo Istat i rimedi omeopatici in Italia sono molto più diffusi nel Nord-Est (7,1%) e in particolare nella provincia di Bolzano, dove vi ricorre il 17% della popolazione, mentre nel Mezzogiorno la quota di persone è circa la metà della media nazionale. In Puglia, Basilicata e Calabria non si raggiunge l’1%.

A ricorrere alle terapie non convenzionali sono soprattutto le persone con status socio-economico più elevato, mentre le multinazionali dell’omeopatia guadagnano vendendo qualcosa che non fa male, ma fa bene solamente per via di un effetto placebo.

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Nota: dopo segnalazione di un lettore il giorno 11 aprile è stato modificato il sottotitolo dell’articolo

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.