TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Nuovo principio attivo per ferite croniche e difficili

L'azienda SIGEA si occupa di ingegnerizzazione e sviluppo di nuovi materiali a base polisaccaridica.

“Una di queste derivatizzazioni è una molecola di acido ialuronico ingegnerizzato con un antiossidante, l’acido lipoico, al quale vengono combinati ioni argento.” Crediti immagine: Lisa Zillio

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – Non solo ricerca universitaria, in Area Science Park convivono decine di aziende e start up che fanno di ricerca e innovazione il loro punto forte. Una di questa è SIGEA, una società di ricerca applicata allo sviluppo di nuovi materiali che possono essere usati nel campo dei dispositivi medici e dei dermocosmetici.
Ne abbiamo parlato con Luca Stucchi, responsabile ricerca e sviluppo di SIGEA.

Quando è nata l’azienda e di cosa vi occupate?

SIGEA ha una lunga storia, nasce a metà degli anni novanta e ha sempre focalizzato la sua attività nell’ingegnerizzazione e nello sviluppo di nuovi materiali a base polisaccaridica. Dal 2004 è stata acquisita da una holding di proprietà di una famiglia di Milano, la Aquisitio, che aveva come interesse lo sviluppo di materiali utilizzabili nel campo dermocosmetico e dei dispositivi mediti topici, ovvero cutanei.

Per questo da una nostra ricerca a 360° nel campo dei polisaccaridi ci siamo specializzati sui glicosamminoglicani, in particolare sull’acido ialuronico, sviluppando e brevettando una serie di ingredienti funzionali utilizzati attualmente in prodotti in commercio.

Carta d’identità
Nome: Luca Stucchi
Nato a: Roma
Lavoro a: Sigea, Area Science Park
Formazione: chimico
Il mio gruppo di ricerca: siamo sei persone, cinque ricercatori laureati, chimici o chimici industriali e un amministrativo
Cosa amo di più del mio lavoro: la varietà.
La sfida principale del mio ambito di ricerca: riuscire a convincere che anche prodotti noti possono avere delle nuove applicazioni e dei nuovi sbocchi.

Com’è nata l’azienda

All’inizio abbiamo voluto provare le diverse combinazioni possibili tra funzionali e polisaccaridi, per trovare quelle che permettevano le sinergie ottimali. Fatta una matrice di possibili candidati, sono stati selezionati la molecola, il funzionale e la base polisaccaridica che riuscivano a dare un risultato molto superiore alla mera mescola fisica delle componenti e, a parità di classe, quelli che avevano le prestazioni migliori. Per esempio, tra gli acidi grassi a corta catena, partendo dall’acetico e finendo al butirrico si è visto che il butirrico è quello che otteneva i migliori risultati nelle prove dermocosmetiche. Il nostro obiettivo principale è proprio questo: prendere dei materiali biocompatibili che, combinati assieme, diano caratteristiche esponenziali rispetto all’attività della mescola delle componenti stesse.

Uno dei frutti delle vostre ricerche è il formulato SHLS WOUND per il trattamento delle ferite croniche difficili. Di cosa si tratta?

Negli ultimi dieci anni abbiamo ottenuto delle tipologie di derivatizzazioni via via più complesse che hanno portato all’individuazione di un funzionale che può avere delle applicazioni nell’ambito della gestione delle ferite difficili.
Una di queste derivatizzazioni è una molecola di acido ialuronico ingegnerizzato con un antiossidante, l’acido lipoico, al quale vengono combinati ioni argento. Questa combinazione di ingredienti, su una base polisaccaridica, permette l’ottenimento di una struttura tridimensionale, un biomateriale che, a seconda della combinazione delle componenti, in termini di peso molecolare, di composizione chimica e di concentrazione, può dare dei prodotti che possono avere diverse caratteristiche. Attualmente abbiamo utilizzato questa molecola in un gel per applicazione orale, per la gestione post operazione in caso di parodontiti per agevolare il ripristino dell’equilibrio delle gengive e, in un’altra tipologia di soluzione, l’abbiamo sviluppata come spray per pulire e lavare le ferite croniche. In quest’ultimo caso, il prodotto va utilizzato nelle prime fasi della gestione della ferita difficile, cioè quando la parte necrotica della ferita è stata rimossa o quando c’è la necessità di lavare la ferita.

Le ferite difficili riguardano aree anche piuttosto vaste, sono dolorose, profonde, croniche e il tempo di malattia del paziente può essere molto lungo: tutti i dispositivi usati in questo campo devono tener presente tali problematiche. La peculiarità del nostro prodotto sta proprio nel fatto che ha un’azione adiuvante nella terapia di gestione della ferita e ha anche un’attività collaterale di stimolo al ripristino dell’omeostasi cutanea.

A che punto è lo sviluppo di questo prodotto?

Lo abbiamo sviluppato all’interno di un progetto POR FESR, il progetto IGEA, che si è concluso a fine del 2015 ed era dedicato proprio allo studio della gestione delle ferite difficili. Il prodotto è ora in attesa di registrazione per l’ottenimento del CE Mark come dispositivo medico.

Per quanto riguarda i farmaci esistono i trial clinici, ma per i dispositivi medici? Che studi devono essere fatti?

I dispositivi medici non hanno un’azione farmacologica quindi l’approvazione non ha un iter clinico così ampio come nel caso di farmaci: non bisogna quindi studiare la farmacocinetica, la farmacodinamica e la tollerabilità nei confronti del paziente in un percorso ben articolato come nel caso del farmaco.

Nel nostro caso si tratta di dispositivi medici con una classe di rischio abbastanza elevata perché trattano tessuti lesi, è quindi auspicabile condurre uno studio clinico in cui viene analizzata principalmente la sicurezza del dispositivo.

Nel nostro caso abbiamo fatto uno studio clinico su ulcere di diabete: sono stati trattati una quindicina di casi presso l’ospedale di Padova e lo studio ha portato a dei risultati che vanno anche oltre la sicurezza. Siamo quindi alla fase finale di un percorso che, auspicabilmente, per la metà di quest’anno ci porterà all’ottenimento del CE Mark.

Dagli studi sulla sicurezza ad arrivare sul mercato quanto tempo passa?

Da quando si ottiene il CE Mark il prodotto è commerciabile ma la nostra azienda si occupa di ricerca e sviluppo: non abbiamo strutture e capacità, al momento, per intraprendere anche un’attività di commercializzazione.

Abbiamo una serie di contatti con alcune aziende che potrebbero essere interessate a questo prodotto e il nostro obiettivo, entro la fine dell’anno, è concludere il percorso per arrivare alla commercializzazione: i tempi tecnici tra la compatibilità con il mercato e il lancio del prodotto, quindi con in mezzo gli accordi contrattuali, lo sviluppo di marketing, tutto ciò che è a corollario di un prodotto a contenuto scientifico come il nostro, sono di circa sei mesi quindi diciamo per l’inizio del nuovo anno speriamo di poter avere il prodotto sul mercato italiano.

Altri prodotti sviluppati sono già in commercio?

Stiamo facendo lo stesso percorso per il gel orale. Andando a ritoso nelle linee di ricerca precedenti, che abbiamo sviluppato dal 2005/2006 quando siamo entrati nel campo dei dermocosmetici e dispositivi medici, troviamo prodotti nati delle combinazioni tra acido ialuronico e acidi grassi a corta catena, acido butirrico e acido formico in particolare. Due di queste combinazioni hanno avuto una loro applicazione sia come dispositivi medici che come ingredienti cosmetici. Questi sono prodotti già entrati in commercio mentre un altro, recentemente lanciato da una multinazionale italiana, è un prodotto in cui c’è la combinazione di sodio ialuronato, acido butirrico e acido formico per la gestione di eritemi in particolare per la dermatite atopica.

Nel laboratorio si parte dall’idea del prodotto o da un’esigenza del mercato?

Dieci anni fa, quando abbiamo iniziato, abbiamo cercato di scoprire le proprietà delle diverse derivatizzazioni. Adesso che abbiamo consolidato le tecnologie facciamo un ragionamento diverso: partiamo dalle proprietà dei nostri prodotti, compatibili con determinate problematiche, e le confrontiamo con le esigenze del mercato, dalla combinazione tra queste due cose si ottiene il prodotto.

È chiaro che, quando pensiamo al domani, teniamo presente l’esperienza maturata finora ma cerchiamo di ottenere nuovi prodotti che abbiano delle caratteristiche compatibili per risolvere ulteriori problemi, andando anche un po’ per tentativi ed errori!

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.