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Chi si affida alle medicine alternative?

Persone che cercano un approccio "naturale" privo di dolore o di effetti collaterali, e che danno maggior peso all'esperienza personale che a concetti astratti. L'identikit di chi sceglie rimedi alternativi come l'omeopatia

Chi opta per rimedi e terapie “alternativi” vuole scoprire come prendersi cura di sé, favorendo il benessere e mettendo in pratica misure preventive. Foto: Pixabay

APPROFONDIMENTO – Nel 2013 sono stati quasi cinque milioni gli italiani che hanno scelto di ricorrere ad almeno un rimedio o terapia di tipo non tradizionale. Una percentuale in calo rispetto a quella registrata nel 2005 (pari al 13,7% della popolazione, per un totale di otto milioni di persone) ma ancora significativa. Secondo l’ISTAT tra le terapie non convenzionali la più diffusa resta l’omeopatia, seguita da più del 4% degli italiani nonostante non esistano prove scientifiche a favore della sua efficacia, se non come effetto placebo. Notevoli le differenze regionali: nella provincia di Bolzano vi ricorre il 17% della popolazione, nel Nord-Est la percentuale si aggira intorno al 7% mentre in Puglia, Basilicata e Calabria non raggiunge neppure l’1%. Il 55,4% di coloro che hanno fatto ricorso all’omeopatia si è dichiarato convinto a utilizzarla ancora perché “ne ha ricevuto dei benefici”. Oltre il 41% ha dichiarato di continuare a farne uso perché “preferisce i rimedi naturali”.

Negli ultimi decenni sociologi e psicologi si sono interrogati sui fattori che hanno favorito il diffondersi di queste pratiche e credenze di medicina alternativa, che in alcune regioni  occidentali hanno raggiunto percentuali pari al 50% della popolazione. Adrian Furnham, professore di psicologia presso lo University College London, in un articolo del 2002 analizzava le motivazioni alla base di questa tendenza: perché seguire pratiche alternative, oltretutto a proprie spese? Che cosa ricevono i pazienti in cambio dal trattamento? Perché persistono nella loro scelta?

Secondo il ricercatore, quando si parla di salute, le persone vogliono provare tutte le opzioni possibili. Non sentono di dover essere fedeli al “brand” della medicina classica o a ogni altra forma di terapia. Le pratiche alternative sono considerate come un altro prodotto o servizio: il “brand” ha successo quando propone qualcosa di diverso, che non viene offerto da nessun altro. Le persone inoltre cercano una cura senza effetti collaterali o dolore, e questo è un grande punto a favore dell’omeopatia, in particolare rispetto ad altre pratiche come la fitoterapia e l’agopuntura. Se la prima spaventa per il rischio di avvelenamento, la seconda può preoccupare per il dolore e la possibilità di generare infezione. In questo senso, la “gentilezza” dell’omeopatia e delle diluizioni risulta particolarmente allettante e priva di rischi.

Una grande differenza tra la medicina “classica” e le terapie alternative è poi legata all’approccio generale: le persone sono più interessate a scoprire pratiche che possano aiutare a prendersi cura di sé, favorendo il benessere e mettendo in pratica misure preventive, piuttosto che a “combattere” una malattia, “distruggendo le forze” che la causano attraverso sostanze chimiche e chirurgia. L’enfasi viene quindi posta su due aspetti diversi: benessere contro malattia. Dal punto di vista psicologico è stata infatti riconosciuta l’efficacia dell’approccio usato dalla “medicina non tradizionale”, un approccio che viene visto come rigenerante, bilanciato, naturale e preventivo.

Lo psicologo Bruce M. Hood in “Supersenso. Perché crediamo nell’incredibile” si chiede “Qual è l’aspetto della medicina moderna che fa sì che le persone preferiscano affidare la cura del proprio corpo ai rimedi soprannaturali?”. Secondo il ricercatore, oltre all’effetto placebo, “devono esistere altre ragioni”. Una delle spiegazioni date dall’autore è che i terapeuti alternativi dedichino più tempo ad ascoltare il paziente e i suoi problemi: questo tempo è direttamente collegato alla soddisfazione e ai miglioramenti della salute. Come spiega anche Furnham, i pazienti sono spesso insoddisfatti degli incontri con i medici tradizionali, durante i quali hanno l’impressione di non essere ascoltati a sufficienza e di non essere trattati come dei consumatori adulti, un aspetto approfondito di recente nel libro “Cosa dice il malato, cosa sente il medico” di Danielle Ofri.

In questo senso le pratiche alternative prevedono dei colloqui molto più approfonditi, e tengono conto del bisogno delle persone di essere ascoltate. Sono in molti, infatti, i pazienti che credono in un approccio olistico alla salute, secondo il quale lo stile di vita, le relazioni personali e il lavoro agiscono simultaneamente nel determinare lo stato di una persona. I segni del benessere si riconoscono nella digestione, nel sonno, nell’aspetto fisico e in altri segnali non verbali, come l’andatura, l’equilibrio, l’odore del corpo e così via. Da questo punto di vista, un metodo diagnostico che tenga conto di tutti questi aspetti viene considerato più valido.

Studi citati da Furnham e lavori successivi confermano l’esistenza di persone più favorevoli a tali pratiche: alcune caratteristiche comuni sembrano essere una maggiore consapevolezza nell’ambito della salute, la convinzione che ciascuno possa influenzare il proprio benessere (mantenendo un corretto stile di vita e un buon equilibrio psicologico) e una minore fiducia nella capacità della medicina classica. Credenze e valori comuni sono legati all’ambientalismo, all’anti-materialismo e allo spiritualismo, ma anche all’attenzione verso le disuguaglianze, l’alienazione e l’esclusione sociale. In termini demografici si tratta più spesso di donne, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, con un’educazione sopra la media e uno status socio-economico elevato. La loro storia medica registra di frequente problemi cronici, piuttosto che acuti, non specifici e spesso accompagnati da un pesante carico psicologico. In molti casi si tratta di pazienti che hanno un forte interesse nelle questioni di salute, interesse che li spinge a cercare soluzioni da fonti di tipi diversi.

Marieke Saher e Marjaana Lindeman del dipartimento di Psicologia dell’Università di Helsinki hanno esaminato i fattori psicologici legati alle credenze di “medicina alternativa”. Secondo le ricercatrici, l’attrattiva di queste pratiche è legata alla capacità di comunicare direttamente con il pensiero intuitivo. Le terapie alternative si basano su concetti familiari (come la “naturalezza”) e danno importanza all’esperienza personale piuttosto che a concetti astratti, come i principi generali e la probabilità, facendo appello al ragionamento intuitivo. È probabile che queste pratiche facciano maggiore presa su chi usa in modo preferenziale il pensiero intuitivo per processare le informazioni. Le credenze alternative, inoltre, non vengono spiegate né influenzate dal ragionamento razionale. Le informazioni scientifiche – alla base della distinzione tra medicina classica e terapie alternative – coinvolgono dati numerici e statistiche, che possono essere analizzati tramite il ragionamento razionale. Ma è il pensiero intuitivo, non quello razionale, che interviene nel caso delle pratiche alternative. Ricevere informazioni scientifiche può contribuire ad accrescere la conoscenza razionale, ma è probabile che questa finisca per convivere con il pensiero intuitivo, piuttosto che sostituirlo.

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.