RICERCANDO ALL'ESTERO

Sempre meno DNA spazzatura: il successo evolutivo dei retrotrasposoni

Chiara De Luca, ricercatrice italiana oggi al Carnegie Institution di Baltimora ci racconta la sua ricerca su un particolare tipo di trasposoni

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Immagine in immunofluorescenza di spermatociti di topo knockout per la proteina Maelstrom. In rosso la proteina ORF1 codificata dal retrotrasposone LINE-1. Immagine: Chiara De Luca

RICERCANDO ALL’ESTERO – Qualche settimana fa Filippo Ciabrelli ha raccontato a Ricercando all’Estero come avviene la regolazione dei trasposoni, quelle sequenze di DNA in grado di muoversi all’interno del genoma e altamente conservate negli organismi, dal lievito fino all’uomo. Oggi ritorniamo sull’argomento con Chiara De Luca che, al Carnegie Institution di Baltimora (Stati Uniti), si occupa di un particolare tipo di trasposoni, i retrotrasposoni: il nome deriva dal fatto che tali sequenze si integrano nel genoma solo dopo essere passate per un intermedio a RNA. Il loro ciclo biologico, quindi, prevede che il DNA originale venga prima trascritto in RNA e poi retrotrascritto in cDNA (DNA complementare).

Le sequenze trasponibili sono potenzialmente dannose per la cellula che le contiene perché, muovendosi all’interno del DNA, potrebbero inserirsi in un gene e portare a mutazioni. Tuttavia, non sono state eliminate nel corso dell’evoluzione e hanno proliferato fino a occupare quasi la metà del genoma umano.

Quale vantaggio portano i retrotrasposoni a una cellula?

Il rapporto tra cellula e retrotrasposoni è molto curioso: l’evoluzione di solito tende a eliminare caratteristiche o tratti sfavorevoli alla sopravvivenza di un organismo, mentre i retrotrasposoni non solo sono stati mantenuti ma sono ancora attivi. Nel corso del tempo, infatti, il DNA può subire mutazioni che possono portare alla sua inattivazione. Con i trasposoni è avvenuto proprio questo, tanto che a oggi non se ne conoscono di attivi nel genoma dei mammiferi. Invece i retrotrasposoni hanno avuto più successo dal punto di vista evolutivo. Il fatto che siano disseminati nel genoma significa che sono stati originariamente trascritti e quindi che il loro promotore, così come le proteine che codificano, sono potenzialmente attivi.

Oggi è generalmente accettato che queste sequenze non sono DNA spazzatura, che il loro movimento ha contribuito a modellare la forma e funzione di molti geni e che rappresentano di fatto una vera e propria forza guida per l’evoluzione dei genomi. Le cellule si sono adattate alla loro presenza e hanno sviluppato vari meccanismi di controllo per sopravvivere; molti si chiedono se non abbiano anche cercato di sfruttare la presenza dei retrotrasposoni.

Un organismo che sa adattarsi ai cambiamenti ha maggiore possibilità di sopravvivere e se queste sequenze trasponibili facilitano in qualche modo l’evoluzione, allora si spiegherebbe perché siano state mantenute e non eliminate nel corso degli anni.

Che tipo di retrotrasposoni studi?

La mia ricerca è focalizzata sulle cellule germinali. Nei topi, durante la maturazione dei gameti, esiste un momento di riorganizzazione del genoma caratterizzato da un’estesa demetilazione del DNA. La metilazione è una modificazione epigenetica associata alla repressione dell’espressione dei geni, in questo caso è una specie di difesa della cellula nei confronti dei retrotrasposoni. Se la metilazione è bassa, i retrotrasposoni sono attivi e cominciano a muoversi e integrarsi in modo casuale nel DNA. Questo è potenzialmente molto pericoloso soprattutto nel caso dello sviluppo dei gameti, cioè di quelle cellule critiche per la sopravvivenza della specie.

Nei testicoli di topo c’è un meccanismo di regolazione dei retrotrasposoni molto attivo che coinvolge i piRNA (ndr piwi-interacting RNA, ne abbiamo parlato qui). Nello specifico, studio una particolare proteina coinvolta nella pathway piRNA, chiamata Maelstrom. Una mutazione knockout, cioè l’eliminazione del gene maelstrom, provoca sterilità nei topi maschi a causa di una massiccia attivazione dei retrotrasposoni nella linea germinale. Il retrotrasposone maggiormente attivato si chiama LINE-1 e l’accumulo di RNA e proteine di LINE nel citoplasma degli spermatociti di questi topi provoca il blocco della meiosi, quindi una mancata produzione di spermatozoi funzionali.

Nello studio della biologia dei retrotrasposoni è la prima volta che vengono usati topi knockout di Maelstrom come modello; di solito si usano linee cellulari tumorali transgeniche spinte in vitro a overesprimere LINE anche 100 volte in più rispetto alle cellule wild type, livello che va molto oltre al contesto fisiologico.

Quali sono le proteine codificate da LINE?

Ce ne sono due, ORF1 e ORF2, che una volta tradotte hanno una preferenza in cis per lo stesso RNA che le ha prodotte e sono necessarie alla sua trasposizione. Si dice che LINE è un retrotrasposone autonomo.

I complessi ribonucleoproteici così formati (RNA di LINE, ORF1 e ORF2) non rimangono nudi nel citoplasma della cellula, ma si associano ad altre proteine cellulari. Da qui il loro destino può seguire tre strade: essere immagazzinati nel citoplasma in uno stato inerme; dissociarsi, e le proteine di LINE scalzate dall’RNA si associano ad altri RNA endogeni non autonomi; oppure seguire la via canonica del ciclo biologico e quindi rientrare nel nucleo per l’inserimento nel DNA genomico.

Non si conoscono bene le caratteristiche di questi complessi di LINE né è stato chiarito il ruolo di Maelstrom o la causa della sterilità a livello funzionale (per esempio potrebbe essere un fenomeno di tossicità cellulare). La mia ricerca mira a isolare i complessi proteine-RNA di LINE per capire quali sono gli interattori e come questi influenzano il destino dei complessi di LINE.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?

Mi piacerebbe riuscire a caratterizzare la struttura 3D di questi complessi. Un obiettivo molto a lungo termine è sottoporre i complessi ribonucleoproteici di LINE a microscopia elettronica, cosa a oggi ancora non fatta. Una tecnica in espansione è la microscopia crioelettronica (di cui abbiamo parlato qui) e mi piacerebbe fare dei test con i nostri complessi.

Nome: Chiara De Luca
Età: 
31 anni
Nata a: 
Roma
Vivo a: 
Baltimora (Stati Uniti)
Dottorato: 
biologia (Roma)
Ricerca: Studio della biologia dei retrotrasposoni LINE 1 nella linea germinale di topi maschi.
Istituto: 
 Department of Embryology, Carnegie Institution, Johns Hopkins University (Baltimora)
Interessi: 
andare in bici, leggere
Di Baltimora mi piace: 
l’efficienza americana, la libertà di espressione
Di Baltimora non mi piace:
non c’è la metropolitana, c’è molta frammentazione tra i quartieri
Pensiero: I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo. (Sandro Pertini)

Leggi anche: Coccole di mamma, cervello ed epigenetica

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.