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Le scommesse sono gioco d’azzardo? La metà degli italiani dice no.

I numeri dell'ultimo rapporto dell'ISS mostrano che bisogna lavorare prima di tutto sulla consapevolezza delle persone, la metà delle quali ha dichiarato di avere giocato nell'ultimo anno.

Bisogna migliorare il livello di informazione sul fenomeno del gioco d’azzardo: meno di una persona su 5 è in grado di selezionare la corretta definizione di gioco d’azzardo. Crediti immagine: Pixabay

APPROFONDIMENTO – In questi giorni un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità mette in luce dei dati inquietanti circa la consapevolezza di che cos’è il gioco d’azzardo fra la popolazione. Su un campione di oltre 3000 italiani con più di 15 anni, la metà non ritiene che i giochi di carte a soldi, i gratta e vinci, Win For Life, il totocalcio, il lotto e il superenalotto siano giochi d’azzardo. 3 su 10 ritengono che non siano gioco d’azzardo le scommesse sportive a soldi, e 2 su 10 le corse dei cavalli o il casinò. Il 15% non annovera nei gioco d’azzardo nemmeno le slot machine presenti nei bar.

Siamo davanti a un problema importante, che fa emergere la necessità di migliorare il livello di informazione della popolazione generale sul fenomeno del gioco d’azzardo. Non è un caso se solo una piccola fetta – meno di una persona su 5 – è in grado di selezionare la corretta definizione di gioco d’azzardo su quattro proposte: “gioco in cui la puntata non può essere ritirata e la vincita o la perdita di denaro o altri valori non dipendono dall’abilità del giocatore ma sono prevalentemente casuali”. Un ulteriore 40% si avvicina alla risposta corretta, affermando che si tratta di un “gioco in cui la vincita o la perdita di denaro o altri valori non dipendono dall’abilità del giocatore ma sono prevalentemente casuali”. La differenza rispetto alla risposta precedente riguarda quindi la possibilità o meno di ritirare la puntata. Il 7,8% ritiene invece che si tratti di un “gioco in cui si può vincere o perdere denaro o altri valori grazie all’ abilità del giocatore”, mentre un intervistato su tre sceglie una definizione generica: “gioco in cui si può vincere o perdere denaro o altri valori”.

Il punto è che a giocare sono in molti. Su un campione casuale, una persona su 3 ha acquistato un gratta e vinci negli ultimi 12 mesi, una su 6 ha giocato a lotto o superenalotto, il 7% a giochi di carte che non siano poker, il 4,3% a totocalcio e simili o a Win for Life, il 4,2% ha fatto scommesse sportive, il 4,1% ha giocato a poker a soldi, il 3,2% a bingo, l’1,2% a videopoker, lo 0,8% ha giocato online a soldi e lo 0,7% ha puntato sui cavalli. Il 44% degli uomini e il 56% delle donne intervistate invece dichiara di non aver mai giocato. Dai dati emerge anche qualche piccola differenza di natura geografica: al nord sono più alte le percentuali di chi gioca a lotto, superenalotto, bingo, totocalcio, poker, VLT, frequenta il casinò e di chi compra gratta e vinci, mentre al sud sono leggermente maggiori le quote di chi gioca a carte e fa scommesse sportive.

Quanto al tipo di gioco scelto per classe di età, si osserva che i giovani entro i 24 anni preferiscono gratta e vinci, scommesse sportive e giochi di carte escluso il poker, mentre le fasce successive gratta e vinci e lotto/superenalotto. Fra i 25-44 enni un 6,4% gioca a poker e un ulteriore 7,5% gioca a carte a soldi: nel complesso si tratta di un intervistato su 6. Interessante anche che il 5% dei 25-64 enni giochi a Win for Life.
Certo, in questi numeri sono comprese anche persone che hanno comprato un gratta e vinci ogni tanto, così come i giocatori di videopoker incalliti, ma il panorama rimane comunque significativo per comprendere la diffusione del fenomeno, unitamente alla scarsa consapevolezza di che cosa è il gioco d’azzardo.

Il rapporto dell’ISS riporta anche i risultati dello studio condotto dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Centro Nazionale delle Ricerche (IFC-CNR), sulla base dei dati raccolti attraverso l’Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs (IPSAD 2013-2014), che valuta il rischio di gioco d’azzardo nella popolazione adulta tra i 15 e i 74 anni. Secondo questo studio, circa 17 milioni di individui hanno giocato somme di denaro almeno una volta negli ultimi 12 mesi precedenti l’intervista e di questi oltre 5,5 milioni sono giovani adulti tra i 15 e i 34 anni. I risultati mostrano che poco meno del 15% dei giocatori presenta un comportamento di gioco definibile a basso rischio, il 4% un comportamento a rischio moderato e l’1,6% un comportamento di gioco problematico. Sono gli uomini a mostrare una prevalenza maggiore di gioco a rischio moderato/problematico rispetto alle donne (6% vs 4%). La proporzione di giocatori con profilo di gioco problematico fa registrare un lieve incremento nell’ultima indagine rispetto alle precedenti.

Che si tratti di un problema più sociologico che antropologico si evince dal fatto che giocano di più le persone con problemi economici rispetto a quelle che hanno disponibilità economica. Il 36% degli uomini intervistati dichiara di giocare perché vive difficoltà economiche e il 32% (erano possibili risposte multiple) perché vive forme di disagio sociale, mentre solo il 16% lo fa perché ha soldi da spendere e l’8,5% perché ha voglia di divertirsi.

Dal punto di vista sanitario, sono dunque ancora una volta le persone socialmente più svantaggiate a pagare il prezzo più alto. Secondo i dati raccolti negli Stati Uniti dal National Epidemiological Survey on Alcohol and Related Conditions (NESARC), uno tra i più vasti studi di epidemiologia psichiatrica mai condotti, i giocatori patologici avevano un rischio 6 volte maggiore di ottenere una diagnosi per abuso di alcol nel corso della vita e di 4 volte e mezzo di soffrire di disturbi da uso di sostanze rispetto ai non giocatori. Le incidenze di depressione maggiore e di distimia erano entrambe 3 volte più elevate nei giocatori patologici rispetto ai non giocatori, mentre gli episodi maniacali erano fino a 8 volte più frequenti. Lo stesso rapporto ha indicato che anche il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo di panico e fobie specifiche erano 3 volte più frequenti nei giocatori, come anche di 2 volte superiore era il rischio di fobia sociale.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.