CULTURAIN EVIDENZA

Smog e umidità, nemici invisibili dell’arte

Nel biennio 2018-2020 con Horizon verranno investiti 250 milioni di euro per ricerca e innovazione nel patrimonio culturale. Una ricchezza minacciata anche dall'inquinamento

Le sostanze inquinanti che finiscono in atmosfera come lo zolfo, l’anidride carbonica e il particolato non risparmiano i monumenti europei. Crediti immagine: Pixabay

ANNO DEL PATRIMONIO CULTURALE – Secondo i dati dell’ultima edizione dell’Eurobarometro – il servizio della Comunità Europea che dal 1974 fornisce annualmente un quadro delle opinioni dei cittadini europei – in un momento storico in cui vacilla la fiducia nelle istituzioni comunitarie l’85-90% dei cittadini europei considera il patrimonio culturale un solido riferimento. Un simbolo forte di riconoscimento identitario.

Anche se gli europei non sono sempre soddisfatti della gestione delle nostre ricchezze colturali, gli sforzi per valorizzare o rilanciare il patrimonio non mancano. Tra questi ci sono gli Heritage Days, iniziativa nata nel 1991 a cui fa eco l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Per essere valorizzato adeguatamente, il patrimonio, sia esso tangibile o intangibile, va protetto da diversi fattori che ne minacciano l’integrità.

Alcuni di questi “nemici” stanno diventando particolarmente aggressivi, insidiando soprattutto i beni materiali. Sono le sostanze inquinanti nascoste nell’atmosfera che attaccano i monumenti in pietra, le statue, le decorazioni o i manufatti in legno a cui si aggiungono anomali sbalzi di temperatura e variazioni di umidità che hanno già stravolto gli ambienti di diversi monumenti in tutto il mondo.

Per capire quali e quanti sono i danni provocati finora dall’esposizione agli agenti atmosferici ci viene incontro una letteratura scientifica ricca, oltre a progetti di ricerca tutt’ora in corso, soprattutto in ambito europeo.

Particolato atmosferico e vapor d’acqua, i temibili mangia-pietre

Nel giro di cento anni o anche meno, iscrizioni e decorazioni di diversi monumenti millenari delle antiche civiltà Maya potrebbero sparire a causa delle piogge acide. L’allarme è arrivato lo scorso marzo da un report redatto dal Centre of Atmospheric Studies dell’Università del Messico , che si aggiunge ai tanti siti in tutto il globo su cui grava il rischio di erosione dei monumenti per l’inquinamento atmosferico, come il mausoleo Taj Mahal o doversi altri edifici a Dehli e in tutta l’India, l’Acropoli di Atene, il Leshan Giant Buddha nella provincia di Sichuan in Cina.

Le sostanze inquinanti che finiscono in atmosfera come lo zolfo e i suo composti (SOx), la anidride carbonica (CO2), gli ossidi di azoto (NOx) e il particolato (PM2,5 e PM10 ) attaccano ovunque e non risparmiano i monumenti relativamente più protetti delle rovine Maya e in ambienti con tassi di inquinamento più bassi delle città indiane, compresi i beni artistici europei.

Ci sono sette siti culturali in particolare, individuati dall’associazione Europa Nostra e dall’European Investment Bank Institute nell’ambito dell’Anno Europeo del Patrimonio, che rischiano parecchio in termini di degrado, come il centro storico di Vienna o il Monastero di David Gareia in Georgia. Se si considera la presenza di smog in generale (PM2,5 e PM10 in particolare) e di alti tassi di umidità, la lista diventa in realtà ben più lunga.

Secondo un report pubblicato nel 2015 dall’ISPRA e dall’ISCR in collaborazione con Arpa Lazio, nella sola città di Roma si contano 3600 monumenti in pietra calcarea e 60 manufatti in bronzo esposti a continuo deterioramento di origine atmosferica, stimato in una perdita annuale che si aggira tra i 5 e i 6 micron (milionesimo di metro) di superficie in pietra e circa 0,35 micron per le superfici metalliche. Nonostante i numeri apparentemente ridotti, si tratta di un danno enorme in tempi così brevi, che inficia pesantemente il valore delle opere e del beneficio culturale che ne deriva a causa di un attacco chimico profondo. Se, come prevedibile, cominciasse ad aumentare il tasso di umidità – per esempio in casi estremi di allagamenti – il rapporto ISPRA prevedere che nella città eterna si andrebbero ad aggiungere altri 2000 monumenti esposti a questo rischio.

Le cause specifiche di questa perdita materiale sono ormai note nel dettaglio. Possono essere oltre che antropiche, come appunto l’inquinamento, anche naturali, come il gelo, la cristallizzazione salina, gli sbalzi termici e il microclima. Nessuno di questi effetti agisce in realtà singolarmente, e chi si occupa di proteggere i beni culturali non tiene d’occhio solo l’erosione di materia, ma anche fenomeni come lo stress fisico e l’annerimento con la formazione delle temibili croste nere – a cui si aggiungono le contaminazioni biologiche da funghi e muschi di vario tipo, comunque generati spesso da squilibri atmosferici in cui l’umidità provoca danni devastanti.

Quello dell’annerimento della pietra è un problema noto fin da tempi antichissimi. Danni agli edifici per l’uso del carbone si ritrovano già nell’Inghilterra del tredicesimo secolo, e naturalmente l’uso dei combustibili fossili nel ‘900, con le fabbriche e nuovi mezzi di trasporto, ha accelerato questi effetti. La conoscenza su questa particolare malattia della pietra si è molto approfondita negli ultimi anni.

Un attacco acido

Uno studio condotto dal Politecnico di Milano pubblicato su Materials and Methods, per esempio, definisce tre tipi possibili di croste nere, partendo dall’analisi di campioni di marmo di Candoglia del Duomo di Milano. Le analisi dello studio guidato da Lucia Toniolo del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingengneria Chimica di PoliMi, rivelano che il degrado del marmo – principalmente dovuto a solfatazione, la trasformazione di carbonato di calcio in gesso – avviene a causa di un attacco acido, soprattutto da agenti inquinanti esterni, in modo non dissimile all’azione delle piogge acide in Messico o in India, a cui segue il deposito di particelle atmosferiche intrappolate nella pietra tramutata in gesso che anneriscono così la superficie.

Soluzione? Proteggere la pietra (come fatto di recente per esempio con alcune importanti cattedrali europee) e continuare a studiare più a fondo la cinetica di questi fenomeni, su un ampio spettro di monumenti differenti e con diverso clima e ambiente di conservazione.

Intanto, il programma di finanziamento Horizon2020 prevede di stanziare per il biennio 2018-2020 risorse mirate per ricerca e innovazione dedicata al patrimonio culturale pari a circa 250 milioni di euro. Mentre ci sono già progetti in corso per capire comprendere meglio l’impatto dei fattori ambientali sul patrimonio artistico (come i progetti Prothego  e CLIMA condotto dall’Università degli Studi della Tuscia) altri stanno puntando a un altro temibile rischio, naturale ma fortemente antropico, che ha già mietuto parecchie vittime: il cambiamento climatico.

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.