ANIMALI

Il lutto dei cetacei

La comprensione della morte e la sofferenza che ne deriva non è esclusiva dell'essere umano; ora un nuovo studio cerca di capire se anche cetacei la sperimentano

Comportamenti di “lutto” sono stati osservati in alcune specie di cetacei, soprattutto delfini. Crediti immagine: Pixabay

ANIMALI – Ci sono molti comportamenti e capacità cognitive che per lungo tempo sono state considerate prerogative umane, come il piacere per il gioco e il senso di disgusto. Nel corso degli anni, però, ci si è cominciati a chiedere se questi comportamenti ci appartengano in modo univoco e se possano essere riscontrati in altre specie. Vale anche per la capacità di comprendere la morte. Nell’uomo, il senso di lutto è la risposta alla perdita di un legame forte, sia familiare sia, più genericamente, sociale (un compagno, un amico…). Si tratta di un’emozione complessa che sembra essere condivisa con alcuni altri animali, che sospendono i comportamenti abituali alla morte di un conspecifico. Ad esempio, negli elefanti, nei gorilla e negli scimpanzé sono stati osservati comportamenti che ricordano dei veri e propri funerali, in cui l’individuo morto è coperto dai suoi compagni con fronde e rami; si tratta comunque di osservazioni raccolte nel tempo e per le quali sono necessari studi più completi. Ma c’è anche un altro gruppo di mammiferi che potrebbe provare il senso di lutto. (*) Diversi cetacei, soprattutto delfini e orche, sono stati osservati trasportare compagni morti sul dorso o sul rostro, cercare di tenerlo a galla, o fare tentativi per “resuscitare” un compagno che non si muove più. Una review recentemente pubblicata sulla rivista Zoology analizza questi comportamenti e le specie in cui avvengono.

I ricercatori hanno raccolto 78 osservazioni di comportamenti di cure post-mortem (postmortem-attentive behavior) riportate tra il 1970 e il 2016 per le 88 specie viventi di cetacei. Dalla loro analisi emerge che solo venti specie mostrano questi comportamenti. In un solo caso si trattava di una balena, più specificamente di una megattera, mentre gli altri comportamenti di “lutto” sono stati osservati in alcune specie di delfini. Ciò suggerisce che vi sia una correlazione tra le cure post-mortem e dimensioni e complessità del cervello della specie. “Fra i cetacei, ci sono specie che vivono un’esistenza largamente solitaria e specie super sociali, abituate a vivere in gruppi composti da decine, centinaia o addirittura migliaia di individui”, spiega via mail Giovanni Bearzi, primo autore dello studio e ricercatore e presidente dell’organizzazione no-profit Dolphin Biology and Conservation di Pordenone. “Al momento, pare che almeno alcune delle specie più socievoli siano inclini a prendersi cura di un compagno o di un piccolo morto. Nel nostro studio abbiamo rilevato una maggiore tendenza a questo tipo di comportamento in specie dotate di un cervello grande in rapporto alla taglia del corpo. In generale, verrebbe da dire che le specie socievoli che sviluppano legami interpersonali più forti e che sono dotate di un sistema nervoso più sofisticato siano anche quelle che nutrono maggiore interesse e attaccamento nei confronti di conspecifici morti. Si tratta comunque ancora di teorie, perché i dati disponibili sono molto pochi”.

Un altro aspetto interessante da capire è se il sesso influenza la sensibilità nei confronti della morte. “Il legame più forte e più doloroso da recidere è quello fra una madre e il proprio cucciolo. Nei cetacei, i padri di rado sanno di essere tali e le cure parentali sono quasi sempre affidate alle femmine, che hanno un legame fortissimo e spesso durevole con il proprio piccolo”, spiega ancora il ricercatore. “È quindi normale che la maggior parte dei casi osservati riguardino femmine che si prendono cura di un piccolo morto”.

Come per gli altri animali in cui sono stati osservati comportamenti che ricordano il nostro senso di lutto, dai “riti funebri” all’interesse per l’individuo morto, non è chiaro se vi sia una reale comprensione della morte oppure se, ad esempio, si tratti di attività di assistenza prolungate all’estremo. Queste ultime potrebbero essere interpretate, in termini di selezione naturale, come azioni che procurano vantaggi al gruppo sociale cui l’individuo appartiene. “La mia opinione personale è che, almeno nel caso di madri che hanno perso il loro piccolo, le emozioni coinvolte siano verosimilmente smarrimento, non-accettazione, dolore e un senso acuto di perdita. È comprensibile che una madre non voglia o non possa accettare la morte del suo unico piccolo e per un certo tempo sia incapace di separarsene”, commenta Bearzi. “Che lo si voglia o meno chiamare “cordoglio”, un termine che alcuni preferiscono usare solo per la nostra specie, non cambia la sostanza delle cose. Tuttavia, si possono verificare casi molto diversi, nei quali parlare di cordoglio potrebbe essere inappropriato. Ad esempio, in presenza di uno o più maschi adulti si potrebbe trattare di infanticidio competitivo, un comportamento abbastanza diffuso fra i mammiferi”.

La questione rimane insomma aperta, anche perché, come scrivono i ricercatori nel loro articolo, solo una piccola porzione delle osservazioni fatte sul campo è riportata in modo sistematico o pubblicata su riviste peer-reviewed. Ecco perché gli autori forniscono alcune raccomandazioni, come confermare sesso ed età dell’animale, seguirlo a lungo termine, utilizzare videocamere e fotocamere che operino da remoto in modo da registrare gli eventi in modo non invasivo. I ricercatori sconsigliano inoltre la rimozione della carcassa, che impedisce di stabilire durata e modello della cura post-mortem. “Al momento è difficile capire se e fino a che punto balene e delfini abbiamo una comprensione della morte simile a quella umana. Ci sono grandi differenze fra i cetacei, ed è verosimile che diverse specie o addirittura diverse popolazioni e individui percepiscano e reagiscano alla morte di un conspecifico in modo differente”, conclude Bearzi. “Del resto avviene lo stesso anche per la nostra specie, con enormi variazioni fra diverse popolazioni, culture, tradizioni spirituali, fasi della vita e così via”.

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(*) La frase è stata modificata il giorno 5 luglio 2018

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.