ANIMALI

L’urticante bellezza della medusa

Gli incontri con le meduse sono sempre più frequenti e i rimedi variano in base alla specie che ci ha toccati. Vanno evitati quelli caserecci: no a urina e stick di ammoniaca.

Con i loro movimenti delicati e fluttuanti e la trasparenza unita a colori spesso vivaci, le meduse sono animali bellissimi a vedersi. Molto meno bello è l’incontro ravvicinato che può causare, a seconda della specie, eritemi e bolle dolorose, ma nei casi più gravi anche uno shock anafilattico che può avere esito fatale.

Poiché siamo proprio in stagione di bagni in mare, vale la pena conoscere un po’ meglio le meduse che popolano le nostre acque e capire cosa sia meglio fare se veniamo “colpiti”.

La medusa più comune in Italia è Pelagia noctiluca, la “medusa luminosa”. Fotografia di Emma Birdsey, CC BY-SA 4.0

Intanto, cosa sono le meduse?

Si tratta di un ampio gruppo di organismi planctonici che si trovano in tutti i mari, caldi o freddi, in superficie o in profondità. Esistono anche alcune meduse, come quelle del genere Craspedacusta, che vivono in acque dolci. Morfologia, sviluppo, capacità urticanti, organi di senso e dimensioni sono tutti fattori che variano enormemente da una specie all’altra.

Ad esempio, per quanto riguarda la riproduzione, le meduse rappresentano solitamente la fase sessuata di polipi (non polpi!) che vivono ancorati al fondale, ma per alcune la fase asessuata è molto breve o addirittura inesistente.

Si parla anche di meduse immortali, come la studiatissima Turritopsis, in grado di invertire il proprio ciclo vitale, ritornando periodicamente da uno stadio adulto sessuato ad uno stadio post-larvale asessuato. Per non parlare della variabilità in dimensioni, che vanno dai pochi millimetri a oltre un metro di diametro, e della potenza del veleno delle loro cellule urticanti: alcune specie sono innocue, mentre altre sono in grado di uccidere un essere umano.

È il caso della Chironex fleckeri, o “vespa di mare”, considerata l’organismo marino più velenoso al mondo, che può causare gravissime reazioni anafilattiche con esito fatale.

Mar Mediterraneo, specie autoctone e new entry

Fortunatamente, le meduse che abitano i nostri mari non sono così pericolose. Tra le specie autoctone urticanti più frequenti nel Mediterraneo vi sono Pelagia noctiluca, la più abbondante, mediamente larga una decina di centimetri e con un colore tendente al rosa-violetto; Rhizostoma pulmo, che può raggiungere il metro di lunghezza ed è caratterizzata dall’orlo dell’ombrello di un blu vivace; la piccola Carybdea marsupialis o “medusa a cubo”, con quattro lunghi tentacoli colorati.

Al gruppo delle meduse nostrane si sono aggiunte nel tempo diverse specie aliene. “Nel bacino orientale del Mediterraneo, una medusa molto comune è ora Rhopilema nomadica, entrata dal Canale di Suez poco più di quarant’anni fa e che ora forma enormi popolazioni lungo le coste del Mare di Levante.

“Oramai è comparsa anche a Malta e nel golfo di Tunisi e, più recentemente, nelle acque costiere italiane”, spiega a OggiScienza il professor Stefano Piraino, coordinatore del Corso di Laurea Magistrale Coastal and Marine Biology and Ecology presso l’Università del Salento e direttore dell’Unità di Ricerca di Lecce del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare.

“Un organismo gelatinoso non propriamente definito come medusa è lo ctenoforo Mnemiopsis leidyi, che non è urticante ma che è un vorace predatore di piccoli organismi planctonici, di uova e larve di pesci, per cui può potenzialmente determinare un grave impatto sulla rete trofica marina. È presente lungo le coste italiane dal 2009, ma negli ultimi due anni è avvenuta una vera esplosione demografica, soprattutto nell’Adriatico settentrionale”.

Un’altra nuova specie è Pelagia benovici, descritta per la prima volta nel 2014 proprio da Piraino e dai suoi colleghi, e portata nel Mediterraneo con le acque di zavorra delle navi.

Che siano specie aliene o indigene, comunque, le popolazioni di meduse sono in aumento, favorite da un insieme di fattori. I principali sono la pesca intensiva, che ha portato alla diminuzione di pesci che si nutrono di meduse o vi competono per le prede, nonché l’aumento delle temperature: il riscaldamento delle acque superficiali favorisce il periodo di riproduzione di alcune specie.

Il forte aumento di meduse non è solo un limite per i bagnanti, ma anche e soprattutto un rischio per gli ecosistemi. Ecco perché ora gli sforzi degli scienziati sono concentrati anche sull’individuazione di specie da destinare all’alimentazione umana – le meduse sono già da secoli utilizzate nella cucina asiatica – e nei mangimi animali, anche grazie all’entrata in vigore, a gennaio 2018, della normativa europea sui novel foods

Indice di mare inquinato?

A volte si sente dire che le presenza di meduse è legata a un’acqua pulita, altre volte l’esatto contrario. In realtà, spiega Piraino, ogni specie ha le proprie peculiari esigenze eco-fisiologiche, ma non esistono meduse che abbiano eletto come habitat preferenziale acque sporche o inquinate.

“Le correnti possono determinare temporanee aggregazioni di meduse anche in acque costiere inquinate, dove si possono accumulare plastiche e altro materiale di origine antropica. Ma la presenza di meduse che nuotano attivamente e in buona salute è a mio parere indice di acque non inquinate”.

Colpito!

È spettacolo frequente, in spiaggia, quello dei bambini (ma non solo) che raccolgono in un secchiello le meduse e le lasciano essiccare a riva. Comportamenti di questo tipo sono scorretti e crudeli come lo è lasciare sotto il Sole in angusti secchielli qualsiasi creatura marina.  Ricordate l’operazione “Secchiello stop”, pensata proprio per educare bambini e famiglie al rispetto verso gli animali, che non sono giocattoli?

Le meduse “sono organismi che vivono nel loro habitat da oltre 500 milioni di anni e che utilizzano le loro cellule urticanti per catturare il cibo”, spiega Piraino.

Mentre nuotano e si lasciano trasportare dalle correnti, le meduse si preoccupano unicamente del proprio benessere, ossia a mangiare, a crescere e a riprodursi, e non si curano della presenza dell’uomo. La probabilità di essere ‘toccati’ da una medusa è proporzionale alla densità con cui questi animali si trovano nell’acqua. Immaginiamo di entrare in un recinto di pecore: la probabilità di essere urtati dalle pecore, attraversando il recinto, è proporzionale al numero di pecore”.

Il dolore causato dalle meduse è dovuto alla presenza di veleno in piccoli organelli subcellulari urticanti, le cnidocisti.

“Le cellule urticanti delle meduse sono altamente specializzate: ciascuna di queste è dotata di un organello provvisto di un cilio sensoriale, una sorta di grilletto sporgente, che, non appena sfiorato, fa partire ad altissima velocità un sottilissimo filamento cavo. Quest’ultimo agisce al tempo stesso come arpione e come siringa, penetrando la cute del bagnante e iniettandovi una tossina di natura proteica”, prosegue Piraino.

“Alcune specie hanno un filamento che penetra più in profondità (0,2-0,3 mm), e riescono a iniettare le tossine in prossimità del circolo sanguigno, determinando un effetto citotossico e neurotossico più intenso di quelle specie il cui filamento è più corto”. Di fatto si tratta di un vero e proprio avvelenamento, con effetti molto variabili a seconda della specie incontrata, perché cambia sia la capacità di iniettare le tossine nel derma sia il tipo stesso di tossine.

Trattamenti, i miti da sfatare

Proprio perché le tossine sono specie-specifiche, i trattamenti migliori sono diversi a seconda dei casi. Nel caso si venisse colpiti dalla nostrana Pelagia noctiluca, l’ideale è applicare prima possibile un impacco freddo sulla zona interessata e tenervelo per 10-15 minuti, così da ridurre la diffusione della tossina nel circolo sanguigno e alleviare il dolore.

“Al contrario”, spiega Piraino, “alcune tossine, come quelle delle cubomeduse, sono termolabili, per cui un impacco caldo (40-45°C) applicato per 20-30 minuti elimina rapidamente il dolore”.

E per quanto riguarda l’urina, è utile davvero ad alleviare i sintomi? “Falso”, risponde deciso Piraino. “Rischia anzi di aggravare l’eritema; il temporaneo beneficio deriva solo dal fatto che l’urina appena prodotta è calda. Nel caso di puntura di cubomeduse, può essere invece utile l’aceto per bloccare la scarica di eventuali cellule di meduse rimaste ancora sulla parte colpita, prima di rimuovere i residui con risciacquo in acqua di mare”. Sciacqui in acqua marina, mai dolce: quest’ultima rischia infatti di far scaricare le cellule urticanti.

Per la stessa ragione, avverte il ricercatore, sono da evitare gli stick in commercio a base di ammoniaca, e preferire quelli a base di cloruro di alluminio.

“Può essere utile portare nella borsa da mare un paio delle buste monouso che si trovano solitamente nei kit di emergenza e che possono essere attivate, agitandole o schiacciandole, per produrre freddo o caldo. Dopo l’impacco, la zona colpita può essere trattata con creme a base di idrocortisone, che riduce l’infiammazione cutanea, o di lidocaina, che agisce da anestetico. In caso di disturbi diversi dal semplice eritema e dal bruciore localizzato, è indispensabile contattare subito un medico”, suggerisce Piraino.

Come faccio a proteggermi?

Per proteggersi dalle meduse, da alcuni anni sono in commercio creme repellenti. Si tratta di prodotti basati sulle proprietà chimiche del muco prodotto dal pesce pagliaccio, che abita anemoni di mare con proprietà urticanti simili a quelle delle meduse e il cui muco contiene sostanze in grado di inibire le tossine.

In realtà, spiega Piraino, l’effetto principale è dovuto alla barriera fisica che lo strato di crema, idrorepellente e ad alta densità, crea sulla pelle, come potrebbe fare anche una crema solare con le stesse caratteristiche (idrorepellenza e alta densità). Tuttavia, in generale, il miglior accorgimento personale per evitare di essere colpiti da una medusa è, semplicemente, evitarla. Quindi, niente bagno dove sono state avvistate meduse, e premunirsi di una maschera subacquea per esplorare la zona.

Invece, a livello di gestione delle spiagge, sono diverse le soluzioni che possono essere attuate per evitare problemi molto significativi alla balneazione. “In Grecia, la regione Peloponneso sta facendo fronte al calo di prenotazioni turistiche, conseguenti all’esplosione demografica di meduse nel golfo di Corinto negli ultimi due anni, finanziando l’acquisto di reti anti-meduse a protezione di piccoli specchi d’acqua lungo le spiagge, che saranno installate nelle principali località turistiche dell’area”. spiega Piraino.

“In caso di alta densità di meduse, servirebbero agevolazioni fiscali per l’acquisto di reti anti-meduse e i gestori di lidi balneari dovrebbero potersi attrezzare con piccole aree di balneazione sicura da mettere in uso nei momenti critici. Sono poi necessari bagnini in grado di riconoscere le meduse urticanti da quelle non urticanti e di applicare trattamenti di primo soccorso specie-specifici.

In aggiunta, poiché oltre il 60% delle richieste di assistenza medica nelle zone dove sono presenti meduse deriva proprio da contatti con questi animali, sarebbe opportuno allestire centri di primo soccorso proprio là dove la densità di meduse è notoriamente alta “.

Leggi anche: Immersioni, l’importanza di fare subacquea in sicurezza

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.