WHAAAT?

Risolto il mistero degli spaghetti

Anche celebri fisici si sono dilettati a cercare di risolvere il problema: perché gli spaghetti si rompono sempre tre pezzi o più? Ora si è scoperto come spezzarli esattamente in due.

WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Da questa rubrica già sapete di dovervi aspettare ricerche curiose: però, insomma, gli scienziati che rompono spaghetti le battono tutte. Non scienziati qualsiasi, poi, ma fisici del Massachusetts Institute of Technology (MIT). Eppure quello di spezzare futuri piatti di pasta allo scoglio non è un esperimento nuovo: anche il celebre fisico Richard Feynman avrebbe trascorso alcune ore rompendo spaghetti, anche in condizioni particolari – per esempio in acqua -, per provare a elaborare una teoria che spiegasse questo curioso fenomeno. Ovvero: prendete uno spaghetto per le estremità e provate a spezzarlo a metà. In quante parti si è rotto? Spoiler: non sono due.

Non solo Feynman non riuscì a spiegare perché gli spaghetti si rompano sempre in almeno tre o quattro parti: ci vollero ben altri 17 anni dopo la sua morte perché qualcuno trovasse una risposta. Alcuni fisici francesi formularono una teoria per descrivere le forze coinvolte quando gli spaghetti – o qualsiasi altra barra lunga e sottile – vengono piegati. Se a entrambe le estremità del bastoncino si applica la stessa forza, si romperà vicino al centro, dove è più ricurvo. La rottura iniziale innesca un meccanismo “di ritorno”, per il quale la flessione, la vibrazione causata dalla rottura, provoca ulteriori fratture nello spaghetto. L’articolo, che spiegava perché si rompessero in più pezzi, venne pubblicato sulla prestigiosa rivista Physical Review Letters e valse loro un IgNobel nel 2006. Rimaneva, però, ancora una domanda: è possibile forzare uno spaghetto a spezzarsi esattamente in due?

Secondo il nuovo studio dell’MIT, sì: la ricerca, uscita su Proceedings of the National Academy of Sciences, sostiene che combinando piegamento e torsione è possibile. Hanno realizzato l’esperimento con centinaia di spaghetti, piegandoli e torcendoli con un macchinario speciale, realizzato appositamente per questo compito. Il gruppo di ricercatori ha scoperto che, se ruotato oltre un certo angolo critico e poi lentamente piegato a metà, per quanto contro ogni previsione, lo spaghetto si spezzerà esattamente – e solo – in due parti.

Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, eppure c’è un motivo se tanti scienziati si sono concentrati su questo problema: risolverlo aumenterebbe la nostra comprensione nella formazione di crepe e nel controllo di fratture in materiali simili a sbarre, come le strutture multifibre, i nanotubi, o i microtubuli nelle cellule. “Sarà interessante vedere se e come la torsione potrebbe essere utilizzata in maniera simile per controllare le dinamiche di frattura nei materiali bi e tridimensionali”, spiega Jörn Dunkel, professore associato di matematica applicata alla fisica all’MIT e coautore dello studio. “In ogni caso, questo è stato un divertente progetto interdisciplinare iniziato e portato avanti da due brillanti e tenaci studenti – che probabilmente non vorranno vedere, rompere o mangiare spaghetti per un po’.”

Dopo alcuni test manuali, in cui hanno provato varie soluzioni, i due studenti – Ronald Heisser e Vishal Patil – ebbero l’idea di torcere e poi piegare la pasta, soluzione che diede i suoi frutti. Ma serviva molta forza, e volevano investigare la questione più a fondo, così costruirono un dispositivo per controllare in maniera meccanica le fratture. Una videocamera riprendeva l’intero processo, con un milione di fotogrammi al secondo. Il risultato ottenuto fu che, torcendo gli spaghetti di quasi 360° e piegandoli lentamente, si raggiunge l’obiettivo voluto. C’è anche una piccola parte di Italia in questa ricerca, dal momento che sono stati utilizzati spaghetti Barilla n. 5 e n. 7.

In parallelo, Patil iniziò a sviluppare un modello matematico in grado di spiegare la cosa, generalizzando il lavoro degli scienziati francesi Basile Audoly e Sebastien Neukirch, per i quali l’onda secondaria generata dalla prima rottura dello spaghetto crea fratture aggiuntive, provocando la rottura in tre o più frammenti. Aggiungendo la torsione, quello che accade è che, per uno spaghetto lungo 10 pollici (25.4 centimetri), l’effetto di ritorno dovuto alla rottura viene attenuato dalla presenza della torsione. Anche quest’ultima, infatti, produce un’onda di ritorno, che viaggia più velocemente rispetto a quella trasversale generata dalla rottura legata al piegamento, e che contribuisce a dissipare l’energia scongiurando ulteriori fratture.

Per questo motivo si ottengono solo due pezzi, se si applica una rotazione sufficiente: le previsioni teoriche sono risultate in accordo con i risultati sperimentali. Questo funziona con gli spaghetti, ma cosa succede con altri tipi di pasta? Le linguine sono diverse, perché assomigliano di più a un nastro, mentre il modello si applica alle sbarre perfettamente cilindriche: anche se gli spaghetti sono un’approssimazione, per loro funziona abbastanza bene. Ecco spiegato, quindi, perché spezzando la pasta si proiettano in giro tanti piccoli pezzettini. Anche se nessuno di noi ha mai spezzato gli spaghetti per cucinarli. Ovviamente…

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.