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Lise Meitner, la scienziata innamorata della fisica che avrebbe dovuto vincere il Nobel

Decenni di sessismo ma anche due guerre mondiali, il feroce antisemitismo dei nazisti e un premio Nobel negatole ingiustamente non sono riusciti a intaccare il suo spirito. Nè a scalfire la sua vocazione per la fisica, una disciplina che lei considerava “una battaglia per la verità ultima”.

IPAZIA – “Una fisica che non ha mai perso la sua umanità.” Queste parole campeggiano, per volere del nipote Otto Robert Frisch, sulla lapide di Lise Meitner. Conosciuta come “la madre della bomba atomica” per la scoperta della fissione nucleare, che aprì la strada al Progetto Manhattan e alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, Lise Meitner fu in realtà una fervida sostenitrice dell’uso pacifico dell’energia nucleare.

Scienziata eccezionale, ha portato avanti le sue ricerche a dispetto di tutto e di tutti, senza cedere mai di un passo. Una donna innamorata della fisica, sono forse queste le parole migliori per descriverla. “Amo la fisica con tutto il cuore”, ha scritto una volta, “per me è una specie di amore personale, come quello che si prova nei confronti di una persona verso cui si è grati”.

L’infanzia e gli “anni perduti”

Lise Meitner nasce a Vienna nel 1878. Terza di otto figli, cresce in una famiglia della media borghesia austriaca; la madre è una musicista di talento, il padre un importante avvocato della capitale. Entrambi di religione ebraica, educano i figli in modo liberale e progressista, senza imporre loro alcuna fede e lasciandoli liberi di pensare con la propria testa.

Anni dopo, nel 1908, due sorelle di Lise si faranno battezzare e diverranno cattoliche, mentre lei si convertirà al protestantesimo. Lise trascorre un’infanzia serena e, oltre a una grande passione per la musica, mostra da subito di avere una predisposizione per le discipline scientifiche. A otto anni, racconta la scrittrice Ruth Lewin Sime nella biografia della scienziata, tiene un libro di matematica sotto il cuscino e si chiede quali siano le ragioni fisiche dietro i riflessi colorati di una chiazza di olio in una pozzanghera.

Il suo rendimento scolastico è eccellente, ma nel 1892 – non ancora quattordicenne – deve scontrarsi con le leggi restrittive dell’Impero austro-ungarico: alle donne è vietato l’accesso all’università, sicché non esistono neppure scuole superiori che diano alle ragazze una formazione pre-universitaria. Gli “anni perduti”, così chiamerà Lise Meitner questo periodo, segnato dall’impossibilità di seguire la sua vocazione per la scienza.

Nel 1896, su consiglio del padre e pur non avendo un particolare interesse per le lingue, la giovane si iscrive a una scuola triennale per diventare insegnante di francese. Si diploma nel 1899, lo stesso anno in cui viene varata la legge che consente alle donne di accedere all’università. In lei si riaccendono le speranze; con l’aiuto di un istitutore privato, recupera in poco tempo otto anni di studi liceali e nel luglio del 1901 consegue il diploma di maturità presso l’Akademisches Gymnasium di Vienna.

Tre mesi dopo, poco prima del suo ventitreesimo compleanno, supera il test di ammissione all’università. Gli “anni perduti” sono finalmente finiti.

Boltzmann e la vocazione per la fisica

Durante il primo periodo all’Università di Vienna, Lise Meitner non sa ancora se diventerà una fisica o una matematica. Felice di poter finalmente dedicare il suo tempo alla scienza, segue i corsi di entrambe le discipline. A farle scegliere la fisica è il periodo che trascorre nel laboratorio diretto dal giovane Anton Lampa; le strumentazioni sono rudimentali e gli studenti devono procurarsi da soli il materiale con cui condurre gli esperimenti, ma per la giovane viennese – che non aveva avuto la possibilità di studiare scienza a scuola – quel posto è un piccolo paradiso.

Termodinamica, ottica, acustica, teoria cinetica dei gas, elettricità e magnetismo, meccanica analitica; durante il suo secondo anno all’università non perde una sola lezione. Tutti gli argomenti, è questa la cosa singolare, fanno parte del corso tenuto da un solo professore, Ludwig Boltzmann. Grande fisico teorico, osteggiato a lungo per le sue idee innovative, Boltzmann è un insegnante appassionato e brillante. Lise, come tanti altri studenti, resta letteralmente folgorata. È lui ad avvicinarla allo studio della struttura atomica, ma soprattutto è lui a farle capire che la fisica è molto di più che una semplice disciplina scientifica. Anni dopo, Otto Robert Frisch scriverà che Boltzmann “le diede la visione della fisica come di una battaglia per la verità ultima, una visione che Lise non perse mai”.

Meitner completa i suoi studi nel 1905 e nei mesi successivi si dedica alla stesura della tesi, che discute nel febbraio del 1906; è la seconda donna a ottenere un dottorato in fisica all’Università di Vienna. Le possibilità di restare nell’ambito della ricerca sono però molto limitate. Al corrente delle ricerche di Marie Curie, premio Nobel per la fisica nel 1903, la giovane fa domanda per ottenere un incarico nel suo laboratorio di Parigi, ma non ci sono posizioni disponibili. Così, su consiglio del padre, inizia a insegnare in una scuola per ragazze di Vienna.

Nel settembre del 1906 Boltzmann, che soffriva di depressione, si suicida durante una vacanza con la famiglia a Duino, vicino Trieste. Questo evento segnerà profondamente la giovane scienziata e rafforzerà la sua determinazione nel continuare a fare ricerca. Stefan Meyer, pioniere nella ricerca sulla radioattività che sostituisce Boltzmann all’Istituto di fisica teorica, decide di coinvolgerla nei suoi studi sul modo in cui i raggi alfa e beta, emessi dagli atomi durante il decadimento radioattivo, vengono assorbiti o dispersi quando entrano in contatto con la materia.

Per un anno Lise Meitner vive due vite: la mattina insegna in una scuola per ragazze, il pomeriggio lavora con Meyer. In breve tempo si appassiona alla radioattività e compie importanti ricerche sulla diffusione dei raggi alfa, che pubblica nel giugno del 1907. Pochi mesi dopo, grazie al supporto economico dei genitori, si trasferisce a Berlino per poter seguire le lezioni del celebre fisico Max Planck.

La collaborazione con Otto Hahn

Alla Friedrich-Wilhelm-Universität di Berlino le donne non hanno vita facile. Lise Meitner, pur essendo già laureata, deve chiedere direttamente a Max Planck il permesso di seguire le sue lezioni. Nel settembre del 1907 la scienziata incontra Otto Hahn, un giovane chimico che sta cercando qualcuno con cui portare avanti i suoi esperimenti sulla radioattività. I due avviano una collaborazione che si trasformerà in una profonda amicizia e andrà avanti per oltre trent’anni.

Fino al 1909 l’istituto di chimica consente l’accesso ai laboratori solo agli uomini e Meitner deve effettuare i suoi esperimenti nei locali di un ex capanno degli attrezzi. Per il suo lavoro, ovviamente, non riceve alcun compenso. Pur operando in condizioni difficili e con strumentazioni rudimentali, la donna riesce a portare avanti i suoi esperimenti.

Durante i primi anni insieme, lei e Hahn concentrano le loro ricerche sull’assorbimento dei raggi beta da parte degli elementi chimici; tra le altre cose, scoprono un isotopo dell’attinio – ovvero un atomo con lo stesso numero atomico, dato dalla somma di protoni e elettroni, ma un diverso numero di neutroni –  e riescono a provare il cosiddetto “rinculo radioattivo” che subisce un atomo quando emette una particella alfa ad alta energia.

I due pubblicano insieme le loro ricerche, ma per molti Lise Meitner continua a restare invisibile. Quando, nel dicembre del 1908, il fisico e chimico Ernest Rutherford – poco dopo aver ottenuto il Nobel – si reca in visita a Berlino, resta stupito nel vedere una donna accanto a Otto Hahn e le chiede di accompagnare la moglie in città per lo shopping natalizio.

A partire dal 1912, Hahn e Meitner hanno la possibilità di condurre i loro esperimenti sulla radioattività nel nuovo Kaiser-Wilhelm-Institut di Berlino. L’anno successivo la scienziata austriaca, ormai quasi trentacinquenne, ottiene per la prima volta un incarico ufficiale e retribuito in un vero laboratorio, ma poco tempo dopo – quando scoppia la prima guerra mondiale – deve interrompere le sue ricerche per prestare servizio come infermiera di radiologia sul fronte orientale. Profondamente scossa da questa esperienza, torna a Berlino nel 1916 e si immerge nel lavoro.

L’anno successivo scopre un isotopo stabile – ovvero con un tempo di decadimento radioattivo molto lungo – del protoattinio. Grazie a questa ricerca ottiene i primi importanti riconoscimenti professionali: l’Accademia delle Scienze di Berlino la premia con la medaglia Leibniz e lo stesso anno diventa direttrice della sezione di fisica di radiazioni dell’istituto.

Nel 1919 sarà la prima donna in Germania a ottenere il titolo di professore e nel 1926 la prima a ricevere un incarico come professore ordinario di fisica nucleare sperimentale all’Università di Berlino. Negli anni successivi, lei e Hahn otterranno ben dieci candidature al Nobel per le scoperte sugli elementi radioattivi.

La fissione nucleare e il Nobel mancato

Con la salita al potere di Hitler, nel 1933, le cose si complicano. Meitner, pur essendosi convertita al protestantesimo, è costretta a rinunciare al suo incarico all’università a causa delle sue origini ebraiche. Avendo la nazionalità austriaca, per qualche anno ha comunque la possibilità di continuare a lavorare al Kaiser-Wilhelm-Institut; assieme a Otto Hahn e a un altro chimico, Fritz Strassmann, concentra i suoi esperimenti sull’uranio, l’elemento con il maggior peso atomico presente in natura.

Nel 1934, il fisico italiano Enrico Fermi aveva annunciato di essere riuscito a produrre i cosiddetti elementi transuranici, più pesanti dell’uranio, bombardando un atomo di uranio con neutroni. A commento dell’esperimento di Fermi, la scienziata tedesca Ida Noddack aveva teorizzato che il risultato del bombardamento dell’uranio con neutroni fosse invece la scissione del nucleo atomico in elementi più leggeri. È lei la prima persona a elaborare questa ipotesi, ma la sua idea non viene presa seriamente in considerazione.

Meitner, Hahn e Strassmann ritengono che abbia ragione Fermi e, convinti di poter scoprire nuovi elementi transuranici, conducono più volte l’esperimento di bombardamento con neutroni. Nel frattempo, nel marzo del 1938, avviene l’Anschluss, l’annessione dellAustria alla Germania nazista. Meitner non può più godere di alcuna protezione ed è costretta a una fuga rocambolesca. Nel luglio del 1938 attraversa il Paese in treno e – con l’aiuto del fisico olandese Dirk Coster, che convince i funzionari al confine a lasciarla passare – riesce a raggiungere i Paesi Bassi. Si sposta poi a Copenaghen e infine si trasferisce a Stoccolma.

Trova lavoro presso l’Istituto Nobel e lì riprende le sue ricerche. Nel frattempo a Berlino, nel dicembre del 1938, Hahn e Strassmann conducono l’esperimento decisivo: tra i prodotti del bombardamento dell’uranio con neutroni lenti sono presenti nuclei di bario, un elemento molto più leggero. Hahn, sconcertato, comunica il risultato dell’esperimento solo a Meitner, con cui era rimasto in contatto epistolare. “Sappiamo che [l’uranio] non può scomporsi nel bario”, scrive in una lettera inviatale il 19 dicembre, “forse tu potresti suggerire una spiegazione completamente diversa per questo fenomeno”.

Meitner fa leggere la lettera di Hahn a suo nipote, figlio di sua sorella Auguste, il fisico Otto Robert Frisch. Durante una passeggiata tra i boschi innevati della Svezia meridionale, riflettendo sul modello di nucleo atomico elaborato da Niels Bohr, zia e nipote elaborano per la prima volta la spiegazione teorica del fenomeno sperimentato da Hahn e Strassmann: se si colpisce il nucleo di un atomo di uranio con neutroni, questo si dividerà in nuclei di atomi più leggeri e rilascerà una grande quantità di energia.

Frisch ha l’idea di chiamare “fissione” questa divisione. Nel febbraio del 1939, Meitner e Frisch pubblicano su Nature un breve articolo intitolato “Disintegration of Uranium by Neutrons: a New Type of Nuclear Reaction”. Pochi giorni prima, anche Hahn e Strassmann avevano pubblicato la descrizione del loro esperimento.

Nel 1944 il premio Nobel per la chimica sarà assegnato solo a Otto Hahn, che durante la cerimonia non ringrazierà la collega di una vita; riconoscere di aver ottenuto i suoi risultati con l’aiuto di una donna di origini ebraiche sarebbe stato controproducente. Quello che colpisce, però, è che anche negli anni successivi Hahn affermerà di essere stato l’unico autore della scoperta.

Hahn “ha rimosso completamente il passato”, scriverà Meitner a un collega nel 1947, “e io faccio parte del passato”.

Gli ultimi anni

Pur non avendo ottenuto il Nobel, dopo Hiroshima e Nagasaki Lise Meitner diviene famosa e – a causa di una ricostruzione fantasiosa e romanzata della sua storia pubblicata sulla rivista americana Saturday Evening Post – negli Stati Uniti viene acclamata come “la madre della bomba atomica”. Pacifista convinta, la donna aveva invece rifiutato più volte di prendere parte al Progetto Manhattan.

Nel 1947, Meitner ottiene un incarico all’Università di Stoccolma e due anni dopo diventa cittadina svedese. Continua a lavorare fino al 1960, anno in cui si ritira a Cambridge, città in cui vive anche il nipote Otto Frisch. Nell’ultima parte della sua vita riceve numerosi riconoscimenti. Nel 1966 il presidente americano Lyndon B. Johnson consegna a lei, Hahn e Strassmann l’Enrico Fermi Award, forse il premio più prestigioso dopo il Nobel.

Muore due anni dopo, nel 1968, pochi giorni prima di compiere il suo novantesimo compleanno.

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.