RICERCANDO ALL'ESTERO

Piccole molecole per il trattamento del diabete di tipo 2

Il diabete di tipo 2 è un'emergenza socio-economica e sanitaria che colpisce sempre più persone. Mentre la ricerca sui trattamenti prosegue, la priorità rimane la prevenzione.

RICERCANDO ALL’ESTERO – Il diabete di tipo 2 è una malattia cronica dovuta all’incapacità del nostro organismo di immagazzinare e usare correttamente il glucosio. È conosciuto come il diabete dell’età adulta perché si manifesta generalmente in soggetti con età superiore a 40 anni, sovrappeso e con una storia familiare compatibile. Purtroppo, oggi, è sempre più presente anche in bambini e adolescenti. 

Isole di Langerhans, cioè gruppi di cellule pancreatiche, trattate con la 5-iodotubercidina, una small molecule in grado di stimolare la proliferazione delle cellule. In rosso l’insulina, in blu i nuclei, in verde i nuclei delle cellule che hanno proliferato. Crediti: Amedeo Vetere

Amedeo Vetere è al Broad Institute di Cambridge, negli Stati Uniti, per studiare nuove molecole da usare nel trattamento di soggetti affetti da diabete di tipo 2. In particolare, Vetere è group leader nella sezione di chimica biologica e si occupa di individuare small molecule in grado di modificare il fenotipo di questa patologia.

Che tipo di small molecule analizzate?

Il diabete di tipo 2 si manifesta quando il pancreas, cioè l’organo deputato alla sintesi dell’insulina, non è in grado di soddisfare la richiesta dell’organismo: la minore produzione di questo ormone provoca un aumento degli zuccheri nel sangue, associato a una grande varietà di sintomi.

Le small molecule sono molecole di basso peso molecolare in grado di controllare diversi processi biologici. La mia ricerca si focalizza su due gruppi di composti: quelli capaci di aumentare il numero di cellule beta, le cellule pancreatiche responsabili della produzione di insulina, e quelli che aumentano la capacità delle cellule beta di produrre e secernere insulina.

Partiamo da una libreria di centinaia di migliaia di small molecule con effetto sconosciuto; le molecole sono state sintetizzate per via combinatoriale, attraverso pochi passaggi e hanno tra loro sia somiglianze sia variabilità, quindi in genere un nucleo simile e dei gruppi laterali diversi. In questo campo il lavoro dei chimici organici è fondamentale.

Successivamente, testiamo le varie molecole e valutiamo il loro effetto. Nei saggi, usiamo cellule pancreatiche umane provenienti da donatori: non siamo interessati a ciò che funziona nel topo o nel ratto, il nostro obiettivo è trovare potenziali nuovi farmaci per curare il diabete nell’uomo.

Abbiamo individuato due small molecule che sembrano funzionare per il diabete di tipo 2, una è in grado di aumentare la proliferazione delle cellule beta mentre l’altra favorisce la secrezione di insulina in condizioni di alti livelli di zucchero, quindi solo quando è necessario.

Qual è il meccanismo d’azione di queste molecole?

Per quanto riguarda la proliferazione, è stato un classico caso di serendipity. Siamo partiti dai dati presenti in letteratura su una particolare molecola, la 5-iodotubercidina (5-IT). Inizialmente identificata come inibitore di un’adenosin-chinasi, la 5-iodoturbercidina è in grado di aumentare la proliferazione delle cellule beta nei ratti e nei topi. Però, all’epoca, i nostri test su cellule umane non avevano avuto successo. Un paio di anni fa abbiamo deciso riprovarci, riducendo drasticamente la concentrazione di 5-IT usata negli esperimenti originari: è emerso che funzionava benissimo ed è stata una vera sorpresa.

Inoltre, i nostri risultati dimostrano che la 5-iodotubercidina è molto più specifica come inibitore di un’altra chinasi, la DYRK1A, coinvolta sempre nella proliferazione delle cellule. L’inibizione di DYRK1A porta all’attivazione di una serie di fattori di trascrizione e di fatto aumenta il numero di cellule beta funzionali.

Avete individuato un composto anche per la secrezione di insulina?

Qui innanzitutto abbiamo dovuto sviluppare un saggio ad hoc per valutare la quantità di insulina prodotta dalle cellule. Normalmente, l’insulina viene misurata tramite un test ELISA basato su anticorpi specifici. L’ELISA non è una tecnica high-throughput perché è lunga (può durare anche due ore), piuttosto complicata (ci sono vari passaggi) e permette di testare solo 96 campioni alla volta. Al contrario, in chimica biologica servono saggi molto semplici e con pochi passaggi: spesso si devono testare anche migliaia di composti contemporaneamente e non è pensabile farlo manualmente, deve essere tutto automatizzato.

Per superare questi problemi, abbiamo messo a punto un sistema molto ingegnoso basato sul taglio del peptide C dell’insulina. Il peptide C è una piccola molecola che viene appunto eliminata durante la maturazione della pro-insulina in insulina e la nostra idea era di riuscire a misurarne la quantità. Abbiamo perciò inserito nel gene dell’insulina, a livello della sequenza del peptide C, una luciferasi, cioè un enzima coinvolto nei processi di bioluminescenza. Così, quando l’aumento di glucosio nel sangue stimola le cellule beta a produrre pro-insulina e la pro-insulina viene attivata dall’eliminazione del peptide C, anche la luciferasi viene tagliata. A questo punto è possibile misurare la sua attività nell’ambiente. Questo tipo di saggio è high-throughput perché dura meno di 1 minuto, permette di dosare almeno 384 campioni contemporaneamente e si svolge in un solo passaggio.

Siamo riusciti a fare lo screening di 300 mila small molecule e, dopo vari passaggi iterativi per rimuovere i falsi positivi, falsi negativi e molecole già conosciute (il nostro obiettivo era cercare qualcosa di nuovo), abbiamo individuato una molecola capace di aumentare i livelli di insulina.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?

A breve termine, individuare il meccanismo d’azione della molecola coinvolta nella secrezione di insulina: ancora non sappiamo quali sono i suoi bersagli molecolari ma è sicuramente molto promettente, anche perché non è tossica.

Continuiamo a cercare nuove small molecule che possano diventare nuovi farmaci per il trattamento del diabete di tipo 2. Molti dei composti attualmente disponibili funzionano in maniera indipendente dai livelli di glucosio nel sangue e questo è un problema perché nella farmacologia del diabete il rischio maggiore è l’ipoglicemia, che può addirittura uccidere. Individuare nuove molecole che agiscano in maniera glucosio-dipendente, quindi solamente in risposta ad alti livelli di zucchero, sarebbe davvero la “pallottola magica” per i pazienti affetti da diabete di tipo 2.

Nome: Amedeo Vetere
Età: 54 anni
Nato a: Napoli
Vivo a: Cambridge (Massachusetts, Stati Uniti)
Dottorato: biochimica (Trieste)
Ricerca: nuovi approcci per la cura del diabete di tipo 2
Istituto: CBTS, Broad Institute of MIT and Harvard (Cambridge, USA)
Interessi: leggere, concerti di musica, suonare il piano, uscire con gli amici
Di Cambridge mi piace: è una vera città universitaria, è un hub di scienza
Di Cambridge non mi piace: il freddo d’inverno
Pensiero: Democracy dies in darkness (motto del Washington Post)

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Leggi anche: Trattamento del diabete di tipo 2: un possibile ruolo per il microbioma

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.