CULTURA

Visita al museo: qual è la situazione in Italia?

Quanti visitatori hanno i nostri musei? Le domeniche gratuite hanno avuto successo? Ci sarebbe motivo per eliminarle? Un’analisi della situazione italiana

ANNO DEL PATRIMONIO CULTURALE – In Italia sono presenti circa 5000 tra istituti museali e similari: 282 aree o parchi archeologici, 536 monumenti o complessi monumentali e 4158 musei, gallerie non a scopo di lucro e/o raccolta (banca dati Istat aggiornata al 2015). Si tratta di un patrimonio culturale diffuso quantificabile in 1,7 musei o istituti similari ogni 100km², circa uno ogni 12 mila abitanti. Quanto sono visitati, quali sono stati i risultati delle “domeniche al museo” e quali le criticità?

Quanti visitatori per i musei italiani? In foto, la Galleria degli Uffizi a Firenze (Cortesia immagine: Chris Wee, Wikimedia Commons)

Con il decreto del 27 giugno 2014 n. 94, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBact), allora guidato da Dario Franceschini, aveva stabilito che, a partire dal primo luglio di quello stesso anno, la prima domenica di ogni mese tutti i luoghi della cultura statali sarebbero stati visitabili gratuitamente. Il loro elenco completo ne comprende 486, anche se a questi vanno aggiunti alcuni musei civici e privati che hanno liberamente scelto di aderire all’iniziativa.

I visitatori sono aumentati in quattro anni di circa 12 milioni (+31%) e gli incassi di circa 70 milioni di euro (+53%). Sul podio delle regioni con il maggior numero di visitatori il Lazio (23 047 225), la Campania (8 782 715), la Toscana (7 042 018); i tassi di crescita dei visitatori più elevati sono stati registrati in Liguria (+26%), Puglia  (+19,5%) e Friuli Venezia Giulia (15,4%).

Anche considerato questi aumenti, però, non bisogna fare l’errore di stabilire un nesso di causalità con le domeniche gratuite: correlation doesn’t imply causation. Potrebbe esserci un legame con l’aumento di flussi turistici interni e stranieri, con un calo del turismo in altri Paesi, o altro. Altri studi dovranno verificare se l’iniziativa di Franceschini abbia fatto da traino per gli ingressi a pagamento. Quello che è certo è che questa crescita si inserisce in un treno già positivo: se si guarda ai dati del quinquennio precedente – 2008-2012 -, i visitatori complessivi sono stati 33,1 milioni nel 2008, 32,4 milioni nel 2009, 37,3 milioni nel 2010, 41,2 milioni nel 2011 e 37,2 milioni nel 2012. Si tratta di una crescita del 12,4% circa, positiva ma inferiore rispetto a quella dell’ultimo periodo.

Come interpretare i dati

Una critica mossa ad alcuni dei dati presentati dal Ministero per i beni e le attività culturali è che sia presente una certa mancanza di uniformità nella loro raccolta, o che le cifre finali non rendano conto di alcune modifiche che si sono verificate nel corso degli anni. Per molti musei l’aumento degli introiti è parzialmente da associare anche all’incremento dei costi dei biglietti, specie se differisce di molto rispetto alla crescita nel numero di visitatori. E anche conteggiare questi ultimi non sempre si rivela semplicissimo: in molti casi il numero non si riferisce alle “teste”, ma ai biglietti staccati e dichiarati in Siae. Questo significa che, per ogni singola mostra temporanea o proposta all’interno della singola istituzione culturale, viene emesso un singolo biglietto, quindi il visitatore viene contato più volte. Se nei circuiti museali e archeologici questo tipo di situazione è normale – e dal 2016 si possono vendere solo biglietti cumulativi – è altrettanto vero che non lo è negli istituti che non rappresentano un circuito.

Visitatori o biglietti? Non sempre i dati ottenuti sono chiari e uniformi (Cortesia immagine: Pixabay)

Emblematico è il caso della Reggia di Venaria, che ha primeggiato tra i 28 siti censiti dal Mibact per incremento del numero di visitatori tra il 2015 e il 2016 (+71,3%), dove per vedere la Reggia o le Scuderie, i Giardini o le quattro o cinque mostre temporanee allestite nei vari periodi esistono biglietti diversi. Le entrate sono salite solo di poco più della metà (+36,44%). Essendo gestita dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, si tratta di una realtà autonoma, che può scegliere come far pagare gli ingressi, ma questo si scontra con il sistema con cui vengono raccolti i dati: se il tentativo è quello di fornire statistiche attendibili, bisogna fare attenzione all’omogeneità e a cosa si intende per biglietti e visitatori.

Gratuità sì, gratuità no

Ha fatto molto discutere l’annuncio di Alberto Bonisoli, attuale ministro dei Beni culturali: “Dopo l’estate elimineremo le domeniche gratuite nei musei”. “Le domeniche gratis – sottolinea il ministro – andavano bene come lancio pubblicitario. Sono stati gli stessi direttori a chiedermene il superamento. Lascerò loro più libertà: se vogliono fare una domenica gratuita niente di male, ma l’obbligo no. Magari le gratuità aumenteranno, però in modo intelligente”. L’obbligo, che era la parte davvero innovativa, verrebbe quindi abolito, mentre la libertà di organizzare giornate e orari di visita – cosa che naturalmente compete già ai direttori – rimarrebbe. Eppure, i direttori di alcuni musei si dicono d’accordo con questa decisione (Eike Schmidt, a capo degli Uffizi, e Mauro Felicori, che dirige la Reggia di Caserta, per citarne un paio).

Esistono, a onor del vero, alcune criticità: la principale, senza dubbio, è quella dell’affollamento – nel solo 2017 più di 3,5 milioni di persone hanno partecipato alle domeniche al museo. Se, da un lato, non è giusto vedere la cultura come qualcosa di elitario per cui troppi visitatori sarebbero una cosa negativa, dall’altro è necessario salvaguardare le opere d’arte – cambiamenti di temperatura e umidità possono danneggiarle, e più persone significano anche maggiori rischi per la sicurezza delle opere stesse. In più, sarebbe auspicabile consentire a chi si reca in un museo una visita qualitativamente significativa, cosa che in una gincana di teste non sempre è possibile.

Rimuovere l’obbligo, però, presenta anche alcuni rischi: i direttori potrebbero decidere di non replicare l’iniziativa, in ogni caso per chi desiderasse fruire della gratuità diventerebbe più complicato orientarsi, senza una calendarizzazione certa e valida per tutti. Verrebbe a mancare anche l’identificazione in un progetto culturale diffuso, dove milioni di persone avrebbero fatto parte della medesima iniziativa in tutta la penisola. Prima di esprimersi pro o contro questa decisione, però, è opportuno che ne vengano chiariti tutti i dettagli.

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.