AMBIENTE

Studiare il DNA ambientale nel Mediterraneo

Una collaborazione tra Univerisità Bicocca, Acquario di Genova e ISPRA. È il primo progetto italiano che sfrutta le tracce di DNA rilasciate dagli organismi nell’ambiente marino per stimare l’abbondanza delle specie del Mediterraneo.

AMBIENTE – Da sempre l’essere umano osserva le tracce per scoprire quanti e quali organismi popolano un ambiente. Per indagare il passato guarda ai fossili, per il presente osserva orme, ciuffi di peli, tane, graffi sugli alberi, tuttavia negli ultimi anni la biologia molecolare ha permesso di andare oltre le forme, oltre l’osservazione macroscopica, per seguire piste microscopiche, “leggendo” le molecole biologiche rilasciate nell’ambiente: studiando quello che viene definito il DNA ambientale, dall’inglese environmental DNA (eDNA).

Lo studio dell’eDNA in Italia

Il battesimo per l’Italia per lo studio del DNA ambientale marino arriva con un progetto pilota dell’Università Bicocca di Milano: “Con eDNA si intende l’insieme delle tracce di molecole di DNA rilasciate dagli organismi viventi in un determinato campione ambientale, la cui provenienza può essere, per esempio, il suolo, l’aria, i fiumi o il mare – spiega a OggiScienza Elena Valsecchi, biologa dell’Università Bicocca, ideatrice e coordinatrice del progetto – si parla di tracce perché le molecole di DNA ambientale che derivano per lo più da cellule morte – attraverso secrezioni, escrementi, frammenti di pelle, gameti – vengono degradate molto velocemente dagli agenti chimici, biotici ed atmosferici”.

Tuttavia, anche se in mano agli scienziati non arriva un DNA completo ma solo una traccia, non è affatto un problema: “Le parti del DNA informative che servono per identificare l’organismo da cui esso proviene sono molto brevi, 100-200  paia di basi, quindi si hanno buone probabilità di trovare frammenti che includano la sequenza diagnostica intatta,  dato che la degradazione è un processo casuale e riguarda una molecola enorme, pensiamo solo al genoma umano che non è il più grosso dei genomi ed è costituito da circa 3 miliardi di basi”.

Inoltre, il fatto che l’eDNA si degradi in fretta ha il suo lato positivo. “Ci assicura che siano eliminate le tracce vecchie, quelle lasciate da organismi che non si trovano più da tempo in quell’ambiente”.

Un laboratorio gigante

Trattandosi di un approccio nuovo l’Università Bicocca ha scelto l’Acquario di Genova, per sviluppare modelli da utilizzare in natura, per mettere a punto e standardizzare la migliore strategia di campionamento,  d’altronde la struttura genovese con le sue vasche espositive rappresenta un laboratorio gigante per simulare a scala ridotta il mare. “Il campionamento che effettueremo consiste nella raccolta di un cospicuo quantitativo di acqua – circa 15 litri – da vasche di varia tipologia, sia per dimensioni che per composizione della fauna ospitata al loro interno”.

La scelta dell’Acquario di Genova è motivata dalla ricchezza di fauna, in particolare perché la struttura offre sia vasche monospecifiche come quella dei delfini, delle foche, ma anche multispecifiche come quella degli squali, dei pinguini e dei lamantini. Inoltre i grandi vertebrati marini costituiscono il target principale del campionamento che verrà effettuato in mare aperto: trovandosi ai vertici della catena alimentare, sono ottimi bioindicatori dello stato di salute del mare.

“Quanto spesso e in quali quantità viene rilasciato l’eDNA dagli organismi marini? Quanto persiste la molecola prima di andare incontro a degradazione? Con quale sensibilità l’analisi molecolare riuscirà a identificare la presenza di una specie che sappiamo con certezza assoluta essere stata a contatto con il nostro campione d’acqua? Sono tutte domande che una struttura di ambiente controllato ci permetterà di rispondere”.

Una sfida per la ricerca

Guido Gnone, coordinatore della ricerca scientifica dell’Acquario di Genova raccoglie con orgoglio la sfida dichiarando che “uno degli scopi dell’Acquario è la ricerca finalizzata alla conservazione delle specie, come struttura rappresentiamo un osservatorio privilegiato, la collaborazione con la Bicocca e altri enti è per noi uno sbocco naturale, che ci consente di dare un contributo fattivo alla scienza”.

Il campo di ricerca con l’eDNA si è sviluppato negli ultimi anni grazie allo sviluppo di sofisticate tecniche di indagine molecolare che si basano sulla Next Generation Sequencing (NGS) e che permettono di sequenziare contemporaneamente DNA diversi all’interno di un singolo campione ambientale.

Per quanto riguarda l’ambiente terrestre i primi lavori di eDNA, volti a definire la composizione di comunità naturali (metabarcoding), risalgono a 5-8 anni fa, ma se prendiamo in esame l’ambiente marino dobbiamo aspettare il 2015 per una vera e propria fioritura degli articoli che impiegano questo approccio innovativo (sebbene la sua potenzialità anche in ambito marino fosse già stata descritta su Nature Communications nel 2010 da ricercatori del Regno Unito).

In mare ci sono tante complicazioni.”C’è il problema della raccolta, con ambienti vasti in cui l’eDNA è diluito, occorrono campioni di grossi volumi d’acqua, ma poi  c’è il problema dell’interpretazione dei risultati perché fattori abiotici, come la salinità, le maree e le correnti sono responsabili del trasporto e della degradazione di molecole”.

Traghetti di linea come piattaforme

La letteratura ad oggi riporta ricerche condotte nel nord Europa in particolare nell’area scandinava, in Nord America (USA e Canada), in Giappone e in Australia, ma nel progetto Bicocca c’è un aspetto assolutamente innovativo a livello mondiale, che rende l’Italia prima della classe ed è l’uso di traghetti di linea come piattaforme.

È una novità che offre molteplici vantaggi: “Innanzitutto dato che molte di queste rotte sono già utilizzate a scopo scientifico per altri progetti coordinati da ISPRA – come il Fixed Line Transect Mediterranean Monitoring Network, MEDSEALITTER – i nostri dati potranno essere reciprocamente integrati. Secondo aspetto, le rotte dei traghetti sono costanti nel tempo e si prestano a un monitoraggio comparativo negli anni, ad esempio per l’ingresso e diffusione di specie aliene come conseguenza dei cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo. Terzo, i traghetti consentono un notevole risparmio di risorse economiche in fase di campionamento, aspetto particolarmente apprezzato considerando il costo oneroso dell’analisi molecolare”.

C’è infine un quarto vantaggio ed è quello di incentivare la citizen science: “Crediamo che sia bello che cittadini ed imprese, come appunto le compagnie di navigazione, possano partecipare a progetti scientifici per la salvaguardia dell’ambiente”.

Il punto di partenza

La tratta per cominciare è la Livorno-Golfo Aranci operata dalla Corsica and Sardinia Ferries ed è stata scelta perché “breve ma nota per l’abbondanza di macrofauna, basti pensare che siamo nel cuore del santuario Pelagos dei mammiferi marini“.

Ma è solo la rotta dell’inizio: “In collaborazione con ISPRA e con la Dr.ssa Antonella Arcangeli vogliamo estendere lo screening a tutte le maggiori tratte mediterranee, specie quelle già coinvolte nella raccolta di dati scientifici, al fine di redigere una mappa della biodiversità mediterranea e monitorare come questa possa cambiare quantitativamente e qualitativamente nel tempo”.

In mare è già cominciata la fase di prelievo da tre a cinque litri d’acqua da ciascuna stazione e il filtraggio immediato utilizzando delle pompe a vuoto che forzano il campione a passare attraverso una membrana in grado di trattenere le tracce di DNA. Tale membrana viene immediatamente congelata e portata nei laboratori dell’ateneo dove si procede all’estrazione dell’eDNA.

“Amplifichiamo le porzioni informative del DNA, le sequenziamo e infine paragoniamo il DNA ambientale trovato con le sequenze depositate nelle banche dati molecolari internazionali, GenBank – conclude Valsecchi – lavorando in collaborazione con l’Università britannica di Leeds abbiamo “disegnato”, come si dice in gergo, dei marcatori ad ampio spettro, capaci di intercettare le porzioni di DNA relative ai vertebrati marini. L’obiettivo è identificare le singole specie.

Non è facile, in ambiente marino si ha un forte “rumore di fondo” dato dalla stragrande abbondanza di eDNA di origine batterica, che conta per oltre il 90% del DNA recuperato dai nostri filtri”.

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Gabriele Vallarino
Giornalista e laureato in Biologia (Biodiversità ed Evoluzione biologica) all'Università di Milano. Su OggiScienza ha modo di unire le sue due grandi passioni: scrivere per trasmettere la bellezza della natura!