STRANIMONDI

5 film sui cambiamenti climatici

Abbiamo cercato e rivisto per voi cinque film che affidano un ruolo centrale al cambiamento del clima, dagli anni Sessanta fino al 2009.

A fine 2018 l’IPCC ha diffuso un report speciale intitolato Global Warming of 1,5 °C, un documento richiesto dai firmatari degli accordi di Parigi sul clima per meglio approfondire che differenza c’è tra un aumento della temperatura di 1,5 o 2 °C. In altre parole per valutare l’importanza di mezzo grado di differenza. Il documento è importante perché, dopo che gli accordi del 2015 furono firmati in extremis, le parti si incontreranno a Katowice, in Polonia, all’inizio di dicembre per discutere il Libro Guida, una sorta di road map che dovrà indicare misure effettive per cercare di raggiungere l’obiettivo fissato tre anni fa.

Siamo andati a cercare, e rivedere, cinque film che affidano un ruolo centrale al cambiamento del clima. Li abbiamo scelti spaziando dagli anni Sessanta al 2009, cercando anche film poco noti al grande pubblico. Come sempre, i film apocalittici – i disaster movies – sono sintomo delle paure e delle preoccupazioni del proprio tempo e il discorso vale anche per il clima, come vedremo nel nostro excursus.

…e la Terra prese fuoco (1961)

Un film caldo, sempre più caldo, quello diretto da Val Guest, regista inglese che si era fatto le ossa anche alla mitica casa di produzione Hammer. La pellicola che gli è valsa il BAFTA (i premi del cinema inglese) per la migliore sceneggiatura originale racconta una storia collettiva attraverso la redazione di un giornale di Londra, il Daily Express, che indaga sulle motivazioni del cambiamento delle stagioni e il surriscaldamento. La causa non sono le emissioni di gas serra, ma – segno dei tempi – i test atomici che compromettono il sistema-Terra.

Non sveliamo come, per evitare spoiler, ma possiamo dire che molte delle preoccupazioni di oggi, al contrario, sono presenti: aumento della temperatura, difficoltà nel recuperare acqua potabile, sconvolgimenti delle stagioni, tropicalizzazione di alcune aree geografiche e aumento di eventi meteo estremi, come uragani e inondazioni. Il film, al netto di uno sense of humor forse un po’ datato, rimane ancora molto godibile.

Quintet (1979)

Quintet è un gioco pericoloso sia per i protagonisti della pellicola, sia per il suo regista, il celebre Robert Altman. Pericoloso nella narrazione, perché al centro di una spirale di morte, ma è stato un po’ pericoloso anche per chi era dietro la macchina da presa: all’epoca infatti si trattò di un mezzo fiasco, con Altman accusato di essersi troppo lasciato andare alla maniera senza badare alla sostanza. Sia come sia, Quintet, con Paul Newman come protagonista e la partecipazione anche di Vittorio Gassman, racconta di un Terra che si è quasi completamente ricoperta di nevi e ghiacci, senza che si sappia davvero bene per quale causa.

Pochi sono gli umani sopravvissuti alla trasformazione: vivono piuttosto isolati, lontano dai centri urbani. Un film che appartiene al cosiddetto filone occulto di Altman, e non uno dei suo migliori in generale, ma che vale ancora la pena di tornare a guardare per la bella ambientazione glaciale e l’atmosfera ispirata al Rinascimento.

Waterworld (1995)

E se la Terra (Dryland) fosse solo un miraggio? Se quella mappa sulla schiena della bambina fosse un’illusione? Kevin Costner si veste da eroe solitario in un mondo che è praticamente il negativo di quello di Mad Max: là un deserto solcato dalle auto, qui lo scioglimento dei ghiacci ha fatto scomparire completamente le terre emerse e si vive in atolli artificiali, desalinizzando l’acqua di mare e perennemente scorticati dal sole.

All’epoca un grande budget e un altrettanto grande flop, ma è un film che oggi regge meglio di quanto ci si poteva aspettare allora, specialmente in confronto alle derive prive di nerbo del filone catastrofico degli ultimi anni.

L’alba del giorno dopo (2004)

Tutto accurato, si disse allora, nella ricostruzione dei fatti che hanno portato la Terra a uno scombussolamento climatico: si sballano le correnti oceaniche, si sciolgono i ghiacci polari, New York viene inondata e una piccola era glaciale minaccia il mondo. Roland Emmerich, già famoso all’epoca per Indipendence Day, firma un film che ha fatto epoca, anche per l’ironia con cui si parla dei migranti climatici (con il presidente messicano che non fa entrare gli americani), rimane un film d’anticipazione dove l’unico elemento di vera e propria fantascienza è la velocità con cui il cambiamento climatico si verifica. Cionondimeno l’impatto è oggi forse ancora più forte.

The Age of Stupid (2009)

2055, un sopravvissuto (Pete Postlethwaite) alle trasformazioni indotte dal cambiamento climatico guarda una serie di filmati d’epoca che mostrano, in una sorta di serie di flashback, come si è arrivati al punto di non ritorno. La regista, la documentarista inglese Fanny Armstrong, sfrutta così il mokumentary per indurci a riflettere sulla stupidità di Homo sapiens, indicato come il cieco che non ha saputo trovare una soluzione ai problemi che egli stesso ha procurato al Pianeta.

La domanda che ci si pone alla fine del film è se questa sorta di arca dove è stato stipato uno specimen di tutto, a futura memoria, incontrerà mai qualcuno che sappia cosa farsene. Avvilente, ma molto in sintonia con il momento attuale, in cui le scelte ricadono fortemente sulle spalle della parte politica.


Leggi anche: I cambiamenti climatici sono già qui, ed è la chiave per comunicarli meglio

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it