STRANIMONDI

Piume, canti e tirannosauri rosa

Nel tratteggiare il personaggio di Alan Grant di Jurassic Park, Crichton prese ispirazione da un vero paleontologo, Jack Horner, il primo a fornire le prove che i dinosauri accudivano i loro cuccioli.

STRANIMONDI – Qui su Stranimondi abbiamo recentemente ricordato un classico della fantascienza come Jurassic Park, che 25 anni fa usciva nelle sale cinematografiche suscitando meraviglia per la migliore trasposizione su grande schermo di creature già di per sé dotate di un innegabile carisma. I dinosauri ci ricordano i draghi – e molto probabilmente i loro fossili ne hanno alimentato il mito – e ci fanno immaginare mondi perduti e terrificanti. Gli stessi mondi che Michael Crichton e Steven Spielberg, con mezzi diversi, hanno saputo rievocare in maniera efficace. Anche grazie alla scienza.

Nel tratteggiare il personaggio di Alan Grant, Crichton prese ispirazione da un vero paleontologo, Jack Horner, il primo a fornire le prove che i dinosauri accudivano i loro cuccioli. Il romanzo uscì nel 1990 e un anno dopo a Horner venne chiesto di diventare il consulente scientifico di Steven Spielberg. Ho avuto l’occasione di introdurre Jack Horner a BergamoScienza, in un incontro nel quale lo scienziato ha raccontato come probabilmente erano davvero i dinosauri.

Quello che si sapeva all’epoca del film

Il primo film di quello che sarebbe diventato un prolifico franchise uscì nel 1993 e, come ha rivelato Horner, i dinosauri erano abbastanza realistici date le conoscenze dell’epoca. Si sapeva già che erano più vicini agli uccelli che ai rettili, come emerge per esempio nella scena in cui i velociraptor si muovono in una cucina: l’idea originale era di mostrarli dotati di lingue biforcute come i serpenti, ma Horner s’impuntò e la scena venne cambiata, mostrando i raptor mentre sbuffavano sul vetro, appannandolo come farebbe un animale a sangue caldo. Non sempre il paleontologo l’ha spuntata ma lui stesso ha ammesso che andava bene così, viste le necessità narrative e l’idea che Spielberg aveva in mente.

Per esempio, allora si sapeva anche che alcuni piccoli dinosauri – inclusi anche i raptor – erano piumati e probabilmente piuttosto colorati, ma questo aspetto non venne considerato nel film per due motivi. Uno di natura pratica: la tecnologia disponibile non consentiva agli esperti di effetti speciali di rendere in maniera credibile un dinosauro anche solo in parte coperto da piume. L’altro motivo era che un dinosauro piumato e colorato non sembrava abbastanza spaventoso, forse perché troppo diverso dallo stereotipo del drago occidentale.

Errori cinematrografici

Spielberg voleva predatori feroci e su questo fu irremovibile; poco importava quindi se il Tyrannosaurus rex in realtà forse era più un saprofago che un superpredatore. Nel corso degli anni la paleontologia ha fatto molti progressi nel ricostruire l’aspetto di questi antichi animali ma la saga di Jurassic Park è rimasta ferma agli anni Novanta. Secondo i suoi autori evidentemente è tardi per cambiare; una volta stabilito l’aspetto dei protagonisti, non è più possibile stravolgerlo per non rischiare che gli spettatori rimangano disorientati nel trovarsi davanti un velociraptor che somiglia a un grosso pollo con le zanne. Ed ecco perché Jack Horner ha suscitato molta curiosità quando ha annunciato di star scrivendo un soggetto per un film dove i dinosauri saranno molto più realistici, e non per questo meno affascinanti, di quelli a cui ci siamo abituati.

Oggi sappiamo che i dinosauri erano molto variopinti e i carnivori, incluso il famoso T. rex, erano per la maggior parte piumati. Un altro probabile falso mito è quello di corna, creste e piastre ossee – come quelle di triceratopi e stegosauri – usate come strumenti difensivi, quando in realtà pare che servissero soprattutto per attirare possibili partner o per la termoregolazione, sebbene il dibattito scientifico a riguardo sia ancora in corso.

E poi c’è la questione del ruggito. Il temibile e spaventoso ruggito con cui il tirannosauro cinematografico raggiungeva il culmine della sua pericolosità. Un altro mito che crolla, secondo molti studiosi, poiché i suoni emessi dai dinosauri ricordavano più quelli di struzzi, emù e coccodrilli che il ruggito di un leone o di un orso. C’è addirittura chi, come la professoressa Julia Clarke, ha cercato di ricostruire il verso di un tirannosauro studiando le vocalizzazioni di uccelli e rettili moderni. Un suono meno potente ma altrettanto sinistro.

Insomma, la rappresentazione dei dinosauri che Jurassic Park ha contribuito a imprimere nell’immaginario collettivo non è corretta. E la realtà potrebbe essere molto più varia e caratteristica (e non per forza meno pericolosa) della finzione cui siamo abituati. “Immaginatevi”, ha detto Horner alla platea di BergamoScienza, “un tirannosauro rosa. Che canta. E balla”.

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.