SPAZIO

Un supercomputer per svelare l’alba cosmica

Cosa è successo dopo il Big Bang? Un nuovo modello svela la nascita delle prime stelle e galassie nell’universo.

SCOPERTE – Un’esplosione gigantesca e violenta, così è nato il nostro universo. Ma cosa è accaduto subito dopo il Big Bang? Gli astronomi cercano da tempo di ricostruire cosa sia accaduto nei 100 milioni di anni di oscurità fino a quando le prime stelle e galassie si sono improvvisamente accese.

In loro aiuto arriva una nuova generazione di supercomputer e modelli che permettono di trovare le prime risposte. Tra questi ci sono gli studi di Michael Norman, direttore del San Diego Supercomputer Center, che sulla rivista Frontiers descrive il modello elaborato per descrivere l’alba cosmica, la fase del nostro universo in cui l’oscurità è stata diradata dalle prime stelle fino alla completa reionizzazione cosmica.

La galassia GN-108036, una delle più antiche mai osservate dai telescopi spaziali Hubble e Spitzer della NASA, nata appena 750 milioni di anni dopo il Big Bang. Crediti immagine: NASA/JPL-Caltech/STScI/University of Tokyo

Le prime stelle erano molto più grandi e brillanti di qualsiasi altro oggetto celeste mai osservato e splendevano di una luce ultravioletta cos intensa da essere in grado di ionizzare gli atomi. Un’alba cosmica, iniziata 100 milioni di anni dopo il Big Bang e proseguita per circa un miliardo di anni, in cui la materia è stata completamente ionizzata. Un periodo oscuro del nostro universo di cui sappiamo ancora poco, come ha sottolineato Norman: “Da dove sono venute fuori queste stelle? E come sono diventate le galassie che vediamo oggi, in un universo brulicante di radiazione e plasma? Queste sono le domande che ci guidano”.

Un supercomputer e un modello matematico

Domande a cui il team guidato dallo scienziato ha cercato di rispondere utilizzando un supercomputer e un modello matematico complesso, elaborando un universo virtuale cubico. Un piccolo cosmo in una scatola che viene osservato ormai da oltre 20 anni. I ricercatori hanno prima di tutto creato un codice chiamato Enzo, frutto del The Enzo Project, progettato proprio per lo studio di sistemi idrodinamici astrofisici complessi. Partendo da questo codice, gli scienziati hanno creato il codice Enzo P/Cello che ha permesso di modellizzare la formazione delle prime stelle.

Le equazioni così ottenute descrivono i movimenti e le reazioni chimiche che si sono susseguite all’interno delle nubi di gas nell’universo pervaso dalle prime luci stellari, ma anche la forte spinta gravitazionale di una massa invisibile quanto misteriosa, la materia oscura. Norman ha spiegato che “queste nuvole di puro idrogeno ed elio collassano sotto la gravità per accendere singole e massive stelle che sono centinaia di volte più pesanti del nostro Sole”.

I primi elementi dell’Universo

Nelle profondità di questi incandescenti nuclei stellari e i loro altissimi livelli di pressione si sono formati così i primi elementi più pesanti: litio e berillio. Stelle giganti e dalla vita breve, che collassando ed esplodendo in abbaglianti supernova hanno liberato i metalli pesanti nello spazio interstellare e ne hanno creati di nuovi in abbondanza, come il ferro.

Queste equazioni sono state poi aggiunte a quelle dell’universo virtuale e hanno permesso di determinare un modello per l’arricchimento delle nubi di gas con i nuovi metalli appena formati. Proprio la presenza di questi altri e più pesanti elementi ha guidato la formazione di nuovi tipi di stelle. Un processo rapido, rispetto ai termini astronomici: nel modello, in appena 30 milioni di anni tutte le stelle erano state virtualmente arricchite di metalli.

Un arricchimento chimico che però è stato lento e locale, sottolinea Norman, lasciando oltre l’80 percento dell’universo virtuale libero dai metalli alla fine della simulazione eseguita dai ricercatori.

“La formazione di stelle giganti senza metalli però non si è fermata interamente, anzi piccole galassie composte da questo tipo di stelle dovrebbero esistere dove c’è abbastanza materia oscura da riuscire a raffreddare nubi incontaminate di idrogeno ed elio”, spiegano gli autori. “Senza queste imponenti spinte gravitazionali, le intense radiazioni emesse dalle stelle esistenti avrebbero riscaldato le nubi di gas e separato le loro molecole. Nella maggior parte degli scenari, il gas privo di metalli tende a collassare formando infine un solo e supermassivo buco nero”.

La linea di raffreddamento metallica

Questo ha portato nel cosmo virtuale ad un aumento delle reazioni chimiche nelle nubi di gas, con la conseguente frammentazione della nube stessa e la formazione di stelle multiple attraverso la quella che i ricercatori chiamano “linea di raffreddamento metallica”, cioè dei tratti di densità ridotta del gas dove gli elementi combinati irradiano la loro energia nello spazio, piuttosto che tra di loro.

Un processo che ha portato alla formazione di nuove generazioni di stelle più piccole e molto più numerose di quelle precedenti. È così, spiega Norman, che nel modello sono iniziati ad apparire i primi oggetti nell’universo che potevano essere chiamate galassie: una combinazione di stelle, gas ricco di metalli e materia oscura:

“Per via delle intense radiazioni emesse dalle giovani e massive stelle, che spingevano il gas lontano dalla regione di formazione stellare, le prime galassie si sono rivelate più piccole del previsto. A loro volta, le radiazioni emesse da queste galassie hanno contribuito in modo significativo alla reionizzazione cosmica”.

La stima della fine dell’alba cosmica

Le galassie sono dunque difficili da osservare, ma così numerose da permettere la stima della fine dell’alba cosmica, cioè il momento in cui la reionizzazione del cosmo è stata completata. Per poter arrivare a questo risultato, Norman e i suoi colleghi hanno dovuto pensare fuori dagli schemi e superare le limitazioni imposte dalle simulazioni numeriche. Limiti che sono stati superati elaborando delle semplificazioni di parte dei modelli, quelle parti meno rilevanti ai fini del risultato finale.

“Questi metodi semi-analitici sono stati utilizzati per determinera più accuratamente per quanto tempo le stelle massive prive di metalli sono state create, quante di loro siano ancora oggi osservabili e il contributo che hanno dato alla reionizzazione cosmica, insieme a quello delle stelle di metalli e dei buchi neri”.

Gli autori dello studio hanno inoltre sottolineato che nelle nuove simulazioni oggi in atto ci sono delle aree di incertezza che potranno essere superate con l’impiego non solo di nuovi codici, ma anche di nuovi supercomputer con prestazioni di calcolo più potenti. Proprio i futuri modelli permetteranno di comprendere il ruolo di campi magnetici, dei raggi X o ancora della polvere spaziale nel gas in via di raffreddamento e infine della natura della materia oscura, tutti fattori che guidano la formazione stellare.

Segui Veronica Nicosia su Twitter

Leggi anche: Una “ventata” di ossigeno per svelare l’alba cosmica e la galassia a distanza record

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.