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Il problema di Zanna Bianca

L'ibridazione tra cane e lupo pone problemi importanti per la conservazione della specie e la gestione degli incroci.

ANIMALI – Da quando il lupo ha ricominciato a popolare in modo significativo il territorio italiano, c’è stato molto dibattito riguardo alla sua gestione. Da una parte il problema di salvaguardare il lavoro degli allevatori, occasionalmente colpiti dalla predazione, dall’altra la tutela del lupo stesso.

Le leggi emanate a protezione della specie – le prime all’inizio degli anni Settanta, quando se ne contava meno di un centinaio di esemplari – unite alla creazione di parchi e aree protette hanno rappresentato una vittoria ecologica, ma le minacce alle conservazione del lupo non mancano. Un bracconaggio a volte feroce, incidenti stradali, scarsa qualità dell’habitat. E, spesso citata ma di rado approfondita, l’ibridazione con il cane.

Se “Zanna Bianca” è un ibrido (più lupo che cane) che ha fatto sognare milioni di lettori, l’incrocio tra le due sottospecie(*) sta in realtà ponendo rischi e problemi per la gestione del Canis lupus italicus.

Crediti immagine: pixabay

Restare lupi

La domesticazione del cane è avvenuta migliaia di anni fa e ha creato quello che oggi riconosciamo subito come cane. Se a seconda delle razze può essere più o meno simile al lupo, è ormai difficile confonderli. Tuttavia, le due sottospecie(*) hanno mantenuto una certa affinità genetica, e sono in grado di incrociarsi e generare una prole fertile.

L’incrocio può facilmente avvenire se sullo stesso territorio convivono lupi e cani liberamente vaganti: non solo randagi, ma anche cani da pastore – che possono svolgere il loro lavoro di sorvegliante delle greggi a una certa distanza dall’abitazione – o cani da caccia. Un cane male addestrato, o non seguito durante il periodo di calore, può farsi attrarre dal suo cugino selvatico. E anche il lupo, da parte sua, può essere attratto dal cugino domestico.

«Il lupo è una specie sociale il cui branco ha una struttura ben definita, con un maschio e una femmina alfa. I giovani restano con i genitori per circa due anni e poi, quando sono sessualmente maturi, sono incoraggiati ad andarsene», spiega a OggiScienza la biologa Valeria Salvatori, che ha partecipato come coordinatrice al progetto LIFE IBRIWolf ed è oggi project manager di un altro progetto LIFE, M.I.R.C.O-Lupo, entrambi mirati alla conservazione del lupo attraverso la gestione dell’ibridazione.

I rischi per la specie

«In giro, i giovani lupi cercano occasioni per riprodursi; è un processo naturale e in una situazione in cui ci sono molti cani vaganti può avvenire un incrocio. Un’altra situazione che è stata documentata è quella in cui il nucleo familiare è destabilizzato da un evento traumatico come l’uccisione del maschio alfa. La femmina, che ha bisogno di riprodursi, può farlo col cane se questo è presente sul territorio».

In termini di conservazione della specie, il rischio per il lupo è di perdere la sua identità genetica, anche acquisendo varianti di origine domestica che possono modificare gli adattamenti avvenuti nel corso dell’evoluzione e che ne permettono l’esistenza allo stato selvatico.

Gli ibridi nati dagli incroci restano con il branco. A livello fenotipico, sono tre le caratteristiche associati agli ibridi: il manto nero, lo sperone vestigiale (quella specie di dito aggiuntivo che si osserva a volte sulle zampe posteriori dei cani) e le unghie bianche, depigmentate. A livello etologico, invece, le differenze non sono mai state studiate.

«La cosa più ovvia che viene in mente è “beh, ma quello ha i geni del cane, che è abituato a stare con l’uomo, magari anche gli ibridi sono meno diffidenti rispetto ai lupi puri”. In realtà, in questi casi bisogna pensare più che altro a cani altamente re-inselvatichiti che, pur abituati alla presenza dell’uomo, non sono docili», spiega Salvatori.

«Dalle fototrappole usate durante il progetto LIFE IBRIWOLF, noi abbiamo visto branchi misti: gli ibridi crescono nella struttura familiare dei lupi e si comportano come tali. È stato notato che i lupi tendono ad avvicinarsi sempre di più alle aziende e ai centri abitati, ma questo è dovuto piuttosto ad altri fattori, quali la grande espansione e disponibilità di fonti trofiche, oltre al fatto che i lupi si possono essere disabituati ad associare l’uomo a un pericolo. In fondo, sono più di quarant’anni che non li abbattiamo in modo sistematico».

Il dibattito scientifico

«A livello di comunità scientifica, in realtà, c’è un dibattito in corso: non tutti sono d’accordo nel considerare l’ibridazione come un aspetto negativo. Potrebbe anche essere interpretata come un processo evolutivo che in situazioni particolari permetterebbe al lupo di adattarsi meglio a condizioni mutate», specifica la biologa.

«L’incontro tra il cane e il lupo non è nuovo né recente ed è sicuramente avvenuto più volte nel corso del processo di domesticazione. Il problema, dal punto di vista etico, è che il cane è un animale domestico e la sua sopravvivenza è strettamente dipendente dalla presenza dell’uomo, mentre il lupo è un animale selvatico che si è evoluto per migliaia di anni al proprio ambiente naturale. E sono le sue caratteristiche di adattabilità, resistenza e plasticità che gli hanno permesso di adattarsi ai cambiamenti».

Inoltre, l’incrocio tra le due specie può determinare la trasmissione di malattie, come ad esempio il cimurro, soprattutto da parte dei cani randagi o comunque non vaccinati. Un altro elemento che va a minare la salute della popolazione di Canis lupus italicus.

Ibridi, quanti e dove?

Capire quanto diffuso sia questo fenomeno non è semplice. Il lupo è un animale elusivo che si muove su areali ampi e spesso di difficile accesso; in Italia non è mai stato condotto un monitoraggio su scala nazionale, anche se si stima che siano presenti tra i 1.200 e i 1.800 individui, concentrati principalmente sugli Appennini e in misura minore sulle Alpi.

«Dal monitoraggio genetico sulle Alpi sappiamo che non sono presenti esemplari ibridi», spiega Salvatori. «Negli Appennini invece la popolazione del lupo è molto più abbondante, per cui fare uno screening genetico sistematico è troppo costoso; è però vero che vengono segnalati casi di ibridazione, in numero crescente, da diversi siti. In provincia di Grosseto, dove abbiamo lavorato al progetto LIFE IBRIWOLF, mi sentirei di parlare di un focolaio.

Il primo branco di ibridi è stato individuato nel Parco della Maremma negli anni Duemila e si è riprodotto più volte; il DNA di uno di questi individui è stato poi a quaranta chilometri di distanza. Questa è la chiara prova che si tratta di un fenomeno che si è espanso. La teoria basata su analisi genetiche propone il susseguirsi di eventi d’ibridazione fin dagli anni Ottanta; le analisi condotte da ISPRA su campioni provenienti da più parti d’Italia rivelano che non è localizzata ma piuttosto presente in diversi siti sulla dorsale appenninica e i dati ottenuti dal progetto LIFE IBRIWOLF rivelano una percentuale d’ibridazione superiore al 50%, addirittura fino al 70% nel 2012-13».

“Non è cane, non è lupo”

Il sistema per prevenire l’ibridazione tra lupo e cane è abbastanza intuibile: non lasciare i cani liberi (anche per evitare eventuali attacchi, perché cane e lupo possono amarsi, ma non mancano i casi di cani aggrediti dal lupo, e con esito infausto!) e contrastare il randagismo attraverso sanzioni e campagne di sensibilizzazione, oltre che le azioni di sterilizzazione.

«L’uomo gioca un ruolo fondamentale nell’ibridazione, che definiamo antropogenica: non sono incroci che avvengono tra due specie selvatiche che si incontrano perché, ad esempio, sono in corso processi di espansione, no: questo è un processo di ibridazione che avviene, nella stragrande maggioranza dei casi, per incuria da parte dell’uomo nel gestire i propri cani», commenta Salvatori.

D’altra parte, è più problematico trovare una soluzione per gli ibridi già presenti nel territorio. LIFE IBRIWOLF e M.I.R.C.O-Lupo sono gli unici due progetti italiani dedicati all’ibridazione tra lupo e cane e, racconta Salvatori, che ha partecipato a entrambi, capire cosa fare quando s’identifica un lupo ibrido non è affatto semplice.

Una difficile gestione

Nel corso dei due progetti LIFE, la ricercatrice si è trovata di fronte a contesti diversi, che hanno influenzato la gestione del problema: «Con il progetto M.I.R.C.O-Lupo lavoriamo in due parchi nazionali (tra i partner del progetto vi sono Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano e il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga) in cui la presenza di cani è più o meno sotto controllo e non si pratica la caccia, per cui le attività di cattura degli ibridi possono avere successo. A Grosseto invece, fuori dalle aree protette, abbiamo dovuto confrontarci con le attività umane, che disturbavano l’intrappolamento degli ibridi».

E di questi ultimi, poi, cosa farne? Per citare il classico d’animazione Balto, gli ibridi “non sono cane, non sono lupo”: non essendo del tutto lupi, non sono protetti dalle leggi a tutela della specie; non essendo del tutto cani, non possono essere gestiti come randagi. La presenza di aree protette nel caso del progetto LIFE M.I.R.C.O-Lupo permette di rilasciare gli ibridi catturati dopo averli sterilizzati e dotati di radiocollare; nel caso di IBRIWOLF, invece, gli esemplari erano stati accolti in grandi recinti per tutelare gli allevatori, un’operazione che ha richiesto la collaborazione con i centri di recupero della fauna selvatica.

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Leggi anche: Il lungo viaggio di un lupo di Chernobyl

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(*) 2 novembre 2018: a seguito di alcune segnalazioni abbiamo corretto la parola “specie” con “sottospecie” in quanto la letteratura più recente definisce il cane come sottospecie del lupo (Canis lupus familiaris).

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.