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RAM, il programma DARPA per “iniettare” la memoria (e non solo)

L'obiettivo è trovare una soluzione per il personale militare che ha subito perdite di memoria dopo un trauma. Ma le possibili applicazioni sono infinite e si aprono domande sul futuro della tecnologia.

RICERCA – Si chiama RAM, acronimo di Restoring Active Memory, ed è un progetto di ricerca della DARPA, l’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. L’obiettivo è individuare soluzioni per la perdita di memoria post trauma cranico (traumatic brain injury, TBI) nel personale militare impegnato in contesti di guerra. Per raggiungerlo, i ricercatori vogliono sviluppare nuove tecnologie neurali d’avanguardia in grado di richiamare i ricordi perduti e di facilitare il recupero e la formazione della memoria.

Il progetto RAM è stato avviato nel 2013 dal Biological Technologies Office dalla DARPA e nel corso di cinque anni i risultati non sono mancati. In parallelo si è avviato un forte dibattito in merito agli ambiti in cui verranno applicate queste nuove tecnologie e sulle ricadute che avranno sulla società.

Illustrazione U.S. Defense Department, Josiah Wilson

Le conseguenze dei traumi

Negli ultimi vent’anni, più di 270.000 militari americani hanno subito traumi tali da compromettere per sempre la memoria di eventi o di capacità acquisite in precedenza come, ad esempio, il modo corretto con cui svolgere una determinata azione. Nonostante la gravità della questione, a oggi esistono poche terapie mediche in grado di mitigare le conseguenze di un trauma cranico sulle nostre capacità mnemoniche.

Se la DARPA dovesse raggiungere l’obiettivo – un’interfaccia impiantabile in grado di ripristinare i ricordi perduti – si potrebbe affermare di essere andati ben oltre alla soluzione di un problema.

Già nel 2013 gli scienziati della Wake Forest University, della University of South California e della University of Kentucky avevano pubblicato i risultati di uno studio condotto tramite l’impianto nel cervello di 11 topi di un dispositivo elettronico formato da 16 microscopici cavi in acciaio inossidabile. I topolini erano stati divisi in due gruppi e, nelle successive settimane, erano stati educati a svolgere il compito di procurarsi l’acqua premendo a lungo un interruttore.

La differenza tra i due gruppi consisteva nel fatto che uno dei due era stato addestrato molto meno rispetto all’altro. Dopo un po’ di tempo, il gruppo di topi meglio addestrato svolgeva il compito in maniera impeccabile. A quel punto i ricercatori hanno esportato al computer la struttura d’impulso neurale registrata dall’impianto cerebrale mentre i topolini erano impegnati a procacciarsi l’acqua. In altre parole: la memoria di come si svolge correttamente quella determinata azione.

Subito dopo i ricercatori hanno trasferito questa “memoria” – sotto forma di impulsi elettrici – nel cervello dei topi del gruppo meno addestrato. Di punto in bianco anche i topolini meno abili erano in grado di eseguire l’azione per procurarsi l’acqua con la stessa abilità degli altri.

Si può “iniettare” un ricordo nel cervello?

Pare di sì. Convinti da questi risultati, i vertici della DARPA hanno immediatamente finanziato alcuni esperimenti condotti sugli esseri umani dai ricercatori del Wake Forest Baptist Medical Center e della University of Southern California. L’ultimo studio pubblicato a marzo sul Journal of Neural Engineering ha dimostrato che è possibile ristabilire le funzioni mnemoniche negli esseri umani.

I ricercatori coinvolti si sono concentrati sulla memoria episodica, che include anche i ricordi necessari nel breve periodo, come una password o il luogo dove abbiamo parcheggiato l’auto. I partecipanti allo studio erano tutti affetti da epilessia – una patologia che può causare anche la perdita di memoria – a cui sono stati impiantati alcuni elettrodi per registrare l’attività neuronale nelle regioni CA3 e CA1 che lavorano assieme per codificare e richiamare i ricordi. Ai volontari veniva mostrata un’immagine semplice (come un rettangolo colorato) e dopo poco tempo veniva chiesto loro di individuare questa immagine in mezzo ad altre quattro mai mostrate prima.

Una volta registrate le strutture d’impulso neurale associate alle risposte corrette, i ricercatori hanno ripetuto il test. Questa volta, però, i partecipanti ricevevano una stimolazione elettrica capace di attivare proprio quei meccanismi che portavano a formulare la risposta esatta. In questo modo, la percentuale di risposte corrette è aumentata del 37%: un netto miglioramento nella memoria episodica.

Poche settimane prima della pubblicazione di questo studio, erano stati i ricercatori della University of Pennsylvania (anche in questo caso finanziati dalla DARPA) a sviluppare un sistema di registrazione e stimolazione capace di infondere impulsi elettrici al cervello solo quando necessario, ovvero quando il sistema stesso prevede che il cervello non sia in grado di richiamare correttamente un ricordo. In questo caso gli scienziati hanno sottoposto alcuni volontari a un test in cui dovevano ricordare una specifica lista di parole. Grazie a questa stimolazione “controllata” le capacità mnemoniche dei partecipanti sono aumentate in maniera sostanziale, con il 15% in più di risposte corrette rispetto al gruppo di controllo.

DARPA chi?

La DARPA, famosa anche tra il grande pubblico soprattutto per i suoi robot come BigDog, si occupa di sviluppo di nuove tecnologie per uso militare dal 1957. I risultati finora ottenuti con il progetto RAM sono stati monitorati da un comitato etico, denominato ELSI (Ethical, legal and social implications) guidato da Steven Hyman, neuroscienziato del MIT di Boston.

Il dibattito interno riguarda le potenziali applicazioni future di queste tecnologie. Una possibile interfaccia uomo-macchina capace non solo di leggere ma anche di scrivere nel cervello dell’essere umano pone davanti a grandi dubbi, soprattutto morali. Secondo Hyman, infatti, questo meccanismo di lettura e scrittura, potrebbe attivare uno scambio di impulsi anche con quei circuiti neurali coinvolti in quelli che chiama “sentimenti morali e sociali”.

Per il momento, sempre secondo Hyman, intervistato da Michael Joseph Gross su The Atlantic, è impossibile prevedere quali effetti scaturiranno da questo meccanismo sia nella vita di ogni giorno che nei “metodi con cui condurre una guerra”. Le domande che sorgono su un tema così delicato sono numerose.

Chi deciderà gli ambiti di utilizzo? Sarà possibile “inettarci” memorie su ogni cosa? A che prezzo? Chi potrà averne accesso? Eventuali test sulle capacità neurali diventeranno una discriminante in ambiti specifici, come l’ammissione all’università? Cosa potrebbe succedere se, effettivamente, questa tecnologia sarà in grado di influenzare in qualche modo il nostro giudizio morale? Quanto manca alla realizzazione di un impianto cerebrale di questo tipo in grado di durare per tutta la vita? Un essere umano dalle capacità mnemoniche potenziate potrà ancora definirsi umano?

La DARPA per il momento ha preferito non fornire alcuna risposta.

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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.