TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Alianti robot che imitano gli uccelli

Una ricerca sviluppata all'ICTP di Trieste è riuscita a riprodurre attraverso un aliante robot le tecniche di volo con cui gli uccelli risparmiano energia sfruttando le correnti ascensionali

TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – Alianti robot capaci di imparare a sfruttare le tecniche di volo a risparmio energetico degli uccelli. È questo il risultato di uno studio realizzato dal ricercatore dell’ICTP (International Centre for Theoretical Physics) Antonio Celani in collaborazione con scienziati dell’Università della California San Diego e del Salk Institute for Biological Studies. La ricerca pubblicata online sulla rivista Nature, attraverso la riproduzione del volo con alianti a guida autonoma, fa luce su come gli uccelli siano in grado di spostarsi su lunghe distanze minimizzando il dispendio di energia. Gli uccelli sono infatti in grado di sfruttare delle correnti d’aria calda che si formano a causa del riscaldamento al di sopra del suolo o del mare per guadagnare quota senza sbattere le ali. Queste correnti sono però in rapida evoluzione e difficili da localizzare e non è ancora chiaro come gli uccelli riescano a sfruttarle. Essere riusciti perciò a realizzare alianti capaci di imparare a utilizzarle pur con informazioni molto limitate a disposizione da un lato è un grande successo, dall’altro contribuisce a chiarire come gli uccelli sviluppino le loro tecniche di volo.

Abbiamo intervistato Antonio Celani per farci spiegare cosa hanno di particolare le tecniche di volo che ha cercato di riprodurre e come si è sviluppata la sua ricerca.


Nome: Antonio Celani
Nato a: Latina
Formazione: Fisico teorico
Gruppo di ricerca: Quantitative Life Sciences, ICTP
Cosa amo di più del mio lavoro: lavorare con studenti curiosi e motivati
La sfida principale del mio ambito di ricerca: È la stessa di qualsiasi ambito di ricerca: non stancarsi mai di spingersi al di fuori del confortevole territorio di ciò che già conosciamo bene


In questo suo ultimo lavoro si è occupato di qualcosa piuttosto particolare come il tentativo di imitare il volo degli uccelli con alianti robot. Ci spiega però più in generale qual è il suo campo di ricerca?

Ho una formazione da fisico statistico e da quando sono all’ICTP mi occupo di problemi che sono a metà strada tra la biologia, la teoria delle decisioni e l’intelligenza artificiale. In particolare studiamo dei particolari comportamenti animali che riguardano in buona parte problemi di navigazione e cioè come gli animali decidono di dirigersi in certe direzioni. Magari si tratta di insetti che devono localizzare un partner per l’accoppiamento o di microrganismi che devono localizzare sorgenti di cibo, oppure, come abbiamo fatto di recente, si tratta di uccelli che devono sfruttare le correnti atmosferiche per potersi innalzare nell’aria limitando la spesa energetica.

A cosa punta una ricerca di questo tipo?

La funzione di ogni ricerca è innanzitutto di soddisfare la curiosità. In questo caso poi ci sono anche delle implicazioni pratiche. Capire quali sono i meccanismi fondamentali con cui gli animali prendono decisioni – anche piuttosto notevoli – può servire anche da ispirazione per applicazioni tecnologiche come robot che annusano esplosivi o fughe di gas oppure alianti che si auto guidano per raggiungere determinati posti con il minimo di spesa energetica. Sono tutte situazioni a cavallo tra biologia e intelligenza artificiale dove c’è sempre un lato di robotica applicata. Si parte da un approccio più fisico matematico però c’è sempre un versante applicativo .

Crediti immagine: Pixabay

La sua ultima ricerca pubblicata su Nature si concentra sul modo con cui gli uccelli sfruttano le correnti per prendere quota. Può spiegare cosa ha di particolare e su cosa si basa questo meccanismo di volo che avete tentato di riprodurre?

Il punto di partenza è che gli uccelli manovrano in maniera relativamente semplice controllando l’angolo che formano le ali con l’orizzontale. Questo tipo di controllo è sufficiente a volare se viene esercitato in maniera intelligente, cioè se ad ogni decisione di ruotare in una certa direzione viene associata una particolare misura delle accelerazioni dell’aria circostante. Si nota che l’uccello è in grado di apprendere questa corrispondenza tra percezione delle accelerazioni e del movimento angolare e a questo punto è in grado di sfruttare delle correnti ascensionali al meglio sebbene queste correnti siano estremamente variabili e impredicibili. Infatti la presenza di correnti ascensionali, dette anche termiche è legata solitamente a situazioni convettive, ossia situazioni in cui c’è una grande instabilità dell’atmosfera. Si formano quando l’aria si scalda al di sopra del suolo o del mare e comincia a salire verso l’alto.

Bisogna tener conto che queste correnti ascensionali hanno una vita dell’ordine del quarto d’ora. Sono come delle bolle di aria calda estremamente turbolente e bisogna sfruttarle sul momento. Si deve cogliere l’attimo in cui si formano per poi abbandonarle al momento giusto quando stanno per dissiparsi e poi decidere dove dirigersi per intercettarne un’altra. Questo ciclo può essere ripetuto tantissime volte durante il giorno e consente di percorrere grandissime distanze. Per fare un esempio gli alianti pilotati da essere umani, che hanno un’apertura alare di 10-20 metri, possono percorrere facilmente un migliaio di chilometri in un pomeriggio in una gara di cross country utilizzando proprio questo meccanismo e senza alcun uso di propulsione.

Come avete sviluppato la ricerca?

La prima fase del progetto, fatta nel 2016, era di tipo computazionale. Abbiamo fatto lo studio completamente al computer in una situazione quindi estremamente idealizzata e astratta: c’erano uccelli virtuali che si muovevano in un’atmosfera virtuale. Lo scopo era più che altro di esplorare i possibili meccanismi con cui questi uccelli possono convertire le limitate informazioni che possono avere sullo stato dell’atmosfera e sulla direzione dei venti in azioni per guadagnare energia potenziale e sollevarsi più in alto possibile. Una volta che abbiamo dimostrato che una certa combinazione di osservazioni e di algoritmi di apprendimento è capace di fornire delle strategie relativamente semplici, comprensibili ed efficaci per questo scopo, allora ci siamo posti la domanda se potessero essere trasferibili a una situazione reale. L’abbiamo fatto partendo da una situazione di controllo mediante alianti giocattolo con un’apertura alare di circa 2 metri. L’abbiamo fatto per mettere alla prova soprattutto il principio alla base più che il dettaglio dell’algoritmo.

Quindi la pubblicazione uscita nel mese scorso cercava di provare dal punto di vista pratico I risultati computazionali?

Sì perché, se in principio qualche teoria può funzionare al computer, quando poi si va sul campo ci sono tanti altri problemi da affrontare. Alcuni sono scontati come il fatto che l’atmosfera vera ha tutte le peculiarità tipiche del posto in cui si va a sperimentare, ma ci sono anche problemi più sostanziali. Per esempio in una simulazione sta al programmatore stabilire che tipo di informazioni fornire all’aliante per fargli prendere le decisioni. Sul campo invece si è limitati dal tipo di sensori che sono installati. Dopotutto non si può montare un supercomputer su un aliante di 2 kg per fare calcoli estremamente complicati, si deve fare affidamento su misure estremamente semplici come quelle degli accelerometri, strumenti che possono stare anche su uno smartphone. E queste misure devono essere utilizzate a loro volta da un algoritmo che sia semplice da utilizzare in modo da essere gestito da un piccolo chip montabile su un aliante. Oltre a questo c’è anche la questione dell’apprendimento cioè il problema di imparare a fare la cosa giusta in un determinato contesto. Questo va a sua volta implementato attraverso un programma di apprendimento che è ciò che permette a robot di imparare sul campo qual è la scelta giusta da fare. Si tratta di un programma generico che leggendo quello che succede nell’ambiente è in grado di fornire la risposta su quale sia la strategia migliore.

A proposito, dove avete fatto gli esperimenti?

In California del Sud Nei pressi di San Diego. Questo lavoro è stato fatto in stretta collaborazione Con Università di California-San Diego.

E che risultati hanno portato?

I risultati sono che questo tipo di approccio – che combina una scelta semplice di grandezze da misurare con delle capacità di controllo a loro volta molto semplici e naturali come inclinarsi da un lato o dall’altro e con un algoritmo di apprendimento standard – risulta efficace.

La cosa più interessante dal punto di vista concettuale è che quando poi si va a verificare come si comporta questo aliante. In fin dei conti il risultato dell’algoritmo di apprendimento è una serie di regole che sostanzialmente dicono cose del tipo “se stai cadendo e stai ruotando verso destra contro ruota di 10 gradi”. La serie di regole che emergono dall’algoritmo sono in realtà molto simili a delle regole che erano state codificate negli anni ‘70 e ’80 dai piloti di alianti. Sono le cosiddette regole di Reichmann. L’algoritmo le ha effettivamente riscoperte sul campo cercando di non schiantarsi.

Il prossimo obiettivo?

Dal punto di vista tecnologico sarebbe utile integrare questi algoritmi su oggetti tipo droni, magari strutture ibride che possono essere sia propulsive che semplici ali. Dal punto di vista più teorico -che quello che mi interessa – una delle domande che rimangono aperte è se il tipo di informazioni che raccogliamo per stabilire la strategia di volo è effettivamente quello migliore. Magari tra i possibili osservabili che vengono misurati di routine ce ne sono alcuni che danno informazioni ancora più accurate e utili per localizzare e sfruttare le termiche. C’è molto da migliorare su come questo aliante può leggere l’ambiente intorno a sé e può tradurre queste informazioni in strategie più efficienti.

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale