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Lo stato dell’arte dei vaccini contro il cancro

Uno studio su topi con melanoma ha mostrato che unendo una molecola all'immunoterapia la guarigione è totale e senza recidive. Ma la strada per l'impiego umano è ancora lunga.

In occasione delle feste abbiamo pensato di occuparci di alcune scoperte interessanti pubblicate nel 2018 delle quali non avevamo ancora parlato. Continua con l’immunoterapia la nostra rassegna con queste scoperte e innovazioni scientifiche che avevamo “dimenticato”: ne abbiamo scelte 10.

Gli studi sui vaccini anticancro condotti finora mostrano risultati promettenti sui topi, ma la strada verso un efficace impiego umano su larga scala è ancora lunga. Fotografia Pixabay

SALUTE – L’immunoterapia, che nel 2018 è valsa il Nobel a due suoi pionieri, è stata definita in più occasioni come il cavallo di Troia contro il cancro: la strategia capace di sconfiggere il propagarsi delle cellule tumorali “educando” dall’interno il sistema immunitario e riconoscerle e a distruggerle. Un approccio diverso rispetto alla chemioterapia o alla radioterapia, che farmacologicamente la prima e con radiazioni la seconda cercano di eliminare il tumore direttamente, bombardandolo dall’esterno.

L’immunoterapia oggi è già realtà per alcuni tipi di tumore, in primis per il melanoma, ma anche per alcuni tumori del sangue. I suoi primi successi sono dovuti a due tipi di terapie: la terapia CAR-T e gli Inibitori di Checkpoint. C’è però un’altra strada all’interno dell’immunoterapia che stiamo percorrendo, anche se più lentamente: quella dei vaccini anticancro.

I progressi 2018

Sebbene siamo ancora lontani da una possibile terapia umana, lo scorso settembre la rivista PNAS ha pubblicato i risultati di uno studio condotto sui topi che apre la porta a nuove speranze, nonostante il campione sia molto piccolo. Aggiungendo una molecola chiamata diprovocim alla terapia immunoterapica, le cellule del sistema immunitario si indirizzano con maggiore precisione verso il tumore.

Nelle sperimentazioni condotte sui topi si è osservato che tutti e otto i topi che avevano ricevuto il trattamento con diprovocim erano ancora vivi dopo 54 giorni (per i topi si tratta di un buon risultato), mentre nel gruppo che aveva ricevuto solo l’immunoterapia non ne era sopravvissuto nessuno. Ma c’è di più: questa combinazione di molecole sembra impedire eventuali recidive del tumore. Nessuno dei topi a cui era stato reimpiantato il melanoma dopo il vaccino lo aveva poi sviluppato.

Si tratta per ora solo di una prospettiva, per quanto interessante.

Più in generale, sono diversi i gruppi di ricerca che stanno lavorando su un vaccino anti-tumorale, in grado di fornire uno slancio al nostro sistema immunitario stimolandolo affinché riconosca con più facilità le cellule tumorali autonomamente. In particolare la frontiera è quella dei vaccini anti-cancro basati sui neo-antigeni, cioè proteine mutate e quindi non presenti nelle cellule normali, da usare come segni distintivi delle cellule tumorali.

Le difficoltà

L’ostacolo principale è che le mutazioni sono molto diversificate, non solo da persona a persona ma anche da metastasi a metastasi. La direzione è dunque quella della medicina personalizzata, dove ogni terapia viene calibrata sulla situazione genetica specifica del paziente. La strada verso una pratica clinica è ancora lunga, perché bisogna iniziare selezionando i neo-antigeni più “fecondi” da includere in un eventuale vaccino, in modo da massimizzare la copertura minimizzando i danni.

C’è poi la questione non secondaria dei costi: la medicina personalizzata si basa sul sequenziamento del genoma di ogni paziente, pratica che oggi costa ancora qualche migliaia di euro.

A oggi sono stati condotti soprattutto studi pre-clinici che hanno evidenziato una riduzione della crescita tumorale in seguito alla somministrazione del vaccino sul melanoma, sul tumore del colon, sul sarcoma. Nel 2017 tuttavia la rivista Nature ha pubblicato due studi (qui e qui) su piccoli gruppi di pazienti operati per un melanoma in uno stadio avanzato – dunque ad alto rischio di recidiva – evidenziando dei benefici. L’esiguo campione, però, non permette ancora di estrapolare risultati statistici significativi.

Al momento pare certo è che l’arma migliore che abbiamo contro il cancro è la combinazione di terapie. L’immunoterapia – come i vaccini anti cancro – è da intendersi ancora come terapia adiuvante e non alternativa alla chirurgia, alla chemioterapia e alla radioterapia.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.