TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA

Un DNA a forma di scaffale per lotta contro il cancro

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Perugia e dello IOM-CNR attraverso una collaborazione internazionale ha esplorato una tecnica innovativa per la lotta contro il cancro che punta a far invecchiare le cellule tumorali

Le cellule tumorali hanno due caratteristiche che le rendono molto difficili da sconfiggere: sono in grado di moltiplicarsi molto velocemente e allo stesso tempo sono virtualmente immortali. Questo avviene perché di fatto non risentono quanto le cellule normali dei sintomi di invecchiamento che portano alla morte cellulare. Uno studio di un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Perugia e dell’Istituto Officina dei Materiali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IOM-CNR), coordinato da Alessandro Paciaroni e Lucia Comez e svolto nell’ambito di una collaborazione internazionale, ha esplorato una strategia contro il cancro che è orientata proprio a cercare di far invecchiare le cellule tumorali e renderle mortali.

Crediti immagine: Pixabay

L’arma su cui sono poste le speranze è una particolare struttura instabile di DNA a forma di scaffale chiamata G-quadruplex. La ricerca pubblicata su Nucleic Acid Research ha puntato proprio a caratterizzare questa particolare struttura di DNA con un livello di dettaglio inedito e allo stesso tempo a studiare un particolare meccanismo capace di stabilizzarla attraverso l’interazione con una molecola. I risultati hanno mostrato che i G-quadruplex possono essere sfruttati per rendere mortali le cellule tumorali e aprono ora le porte allo studio di farmaci specifici.

Tale risultato è stato reso possibile dall’utilizzo di diverse tecniche sperimentali, tra le più avanzate a disposizione, presso i laboratori del Consorzio Europeo di Infrastrutture di Ricerca (CERIC-ERIC) e di Elettra Sincrotrone a Trieste, e presso i laboratori in Germania dell’Heinz Maier-Leibnitz Zentrum (MLZ) di Monaco e dello Jülich Centre for Neutron Science (JNCS) di Jülich.

Abbiamo intervistato il biofisico Alessandro Paciaroni per farci spiegare cosa sono i G-quadruplex e qual è il ruolo possono svolgere nella lotta contro il cancro.


Nome: Alessandro Paciaroni
Nato a: Terni
Formazione: Laurea e Dottorato in Fisica
Gruppo di ricerca: Fisica dei Biosistemi, Dipartimento di Fisica e Geologia, Università degli Studi di Perugia
Cosa amo di più del mio lavoro: La curiosità e l’interesse di fronte ai risultati di un esperimento
La sfida principale del mio ambito di ricerca: Conoscere a fondo le proprietà del DNA e delle biomolecole in generale, per progredire nel campo diagnostico e terapeutico.


Alessandro Paciaroni la si può definire un fisico al limite della biologia?

Sicuramente mi si può definire così. La biofisica, che è la disciplina di cui mi occupo, è un settore di ricerca che applica tecnologie e metodi sperimentali della fisica, ma anche la forma mentis e le conoscenze del fisico, per studiare dei problemi estremamente complessi come quelli legati alla biologia. Da questa interdisciplinarietà nasce una ricchezza che è quella che di solito si origina quando due mondi così apparentemente diversi si incontrano. Sono gli ambiti di ricerca in cui è possibile fare scoperte che hanno grande influenza sulle nostre vite.

Nella ricerca pubblicata su Nucleic Acid Research il vostro gruppo di ricerca ha messo alla prova una nuova strategia contro le cellule tumorali. Ci può spiegare di cosa si tratta?

La nostra scoperta ha a che fare con il funzionamento di un particolare segmento di DNA che si trova nella parte terminale dei cromosomi, il cosiddetto telomero. E’ un segmento di DNA non codificante – non trasmette caratteri genetici – ma in un certo senso determina la vita delle cellule. Infatti ad ogni moltiplicazione cellulare i telomeri nei cromosomi si accorciano e vengono via via consumati fino a portare alla morte cellulare. Questo fenomeno viene, però, compensato dalla telomerasi che è un enzima che appunto agisce riallungando il telomero. Nelle cellule tumorali, in particolare, la telomerasi è iperattiva tanto da renderle di fatto immortali. Quello che abbiamo studiato è come la formazione di particolari strutture non canoniche di DNA, i G-quadruplex – così chiamate perché formate per la maggior parte da guanine – inibisce l’azione della telomerasi e quindi sostanzialmente consente di far si che le cellule tumorali possano morire come in una situazione normale. Questo particolare tipo di DNA non ha la classica forma a doppia elica e anzi può essere considerata come una forma a quattro eliche. Da quello che abbiamo osservato il G-quadruplex può essere visto come una sorta di scaffale con tre piani quadrati un po’ ruotati e questi tre piani quadrati sono formati da dalle cosiddette guanine, che sono delle basi del DNA, disposte sui vertici di questi quadrati.

Si può quindi dire che queste strutture formano delle specie di nodi sul telomero che ostacolano la sua rigenerazione dopo la divisione cellulare?

Questa è la descrizione più semplice, ma corretta che si può dare. Tuttavia questi nodi sono transienti: non sono fissi, si formano e si disfano. Il loro effetto di disturbo è perciò solo momentaneo: la telomerasi in un certo momento magari li incontra e quindi non agisce nel prolungare il telomero ma già dopo qualche secondo questi nodi non ci sono più e quindi può agire indisturbata. Il nostro scopo – e quello di un gran numero di gruppi di ricerca – è quello di trovare delle piccole molecole che possano stabilizzare queste strutture transienti in modo tale che permangano nel tempo e possano così inibire l’azione della telomerasi portando alla morte le cellule tumorali. Queste infatti si moltiplicano in continuazione senza fermarsi mai e vivono molto più a lungo delle cellule normali proprio perché questo allungamento del telomero è particolarmente efficiente.

E avete capito come stabilizzare i G-quadruplex?

In realtà il compito di trovare una molecola che stabilizzi il G-quadruplex spetta soprattutto ai biochimici o ai chimici farmaceutici. Noi quello che abbiamo fatto come fisici è stato prendere una piccola molecola modello in grado di stabilizzare il G-quadruplex e studiare nel dettaglio, con le nostre tecniche, come questi due componenti interagiscono e con quali effetti. Questo perché più si conosce il sistema, più è alta la probabilità di costruire nuove molecole che interagiscano selettivamente e con maggior efficienza con questi G-quadruplex.

Cosa avete usato come molecola modello?

Abbiamo usato l’Actinomicina, una molecola che già si sa che funziona, anche se ha anche degli effetti collaterali – come la maggior parte dei farmaci antitumorali purtroppo. Si tratta di un antibiotico usato già da diversi anni in diverse terapie antitumorali, ma fino al nostro studio non si sapeva bene come interagiva con i G-quadruplex. Ciò che era noto del suo funzionamento infatti riguarda un altro meccanismo di azione che ostacola la riparazione del dna dopo la duplicazione cellulare. Abbiamo dimostrato sulla scorta di dati già presenti in letteratura che questo farmaco funziona anche attraverso un meccanismo che coinvolge i G-quadruplex.

Usando diverse tecniche sperimentali in diversi laboratori tra Italia e Germania abbiamo visto che questa molecola, che ha una struttura planare, la maggior parte delle volte non solo si appoggia sopra il piano quadrato di un G-quadruplex, ma fornisce a sua volta la base per un altro G-quadruplex che le si poggia sopra. L’actinomicina infatti ha due bracci che fuoriescono dalla struttura planare e con essi in pratica afferra i G-quadruplex formando una struttura dove è posta a sandwich tra i due. Quindi la molecola, quando si aggancia a un G-quadruplex, tende ad agganciarne un altro o ne induce la formazione – questo non lo sappiamo in quanto fare esperimenti in vivo è molto complicato. In questo modo però siamo stati in grado di capire come l’actinomicina sia in grado di stabilizzare queste strutture di DNA.

Quale è il prossimo passo?

L’actinomicina è già utilizzata come antitumorale, però, come detto, interagisce con il DNA anche attraverso un altro meccanismo. L’idea, perciò, è quella di indirizzare la nostra ricerca verso un farmaco che interagisca più selettivamente con i G-quadruplex non interagendo direttamente con il DNA a doppia elica. Il nostro studio è sicuramente un punto di partenza per poi, con la collaborazione di chimici farmaceutici o biochimici, provare a modificare in maniera mirata delle molecole già esistenti in modo che si possano ricavare dei farmaci selettivi, ma allo stesso tempo più efficaci degli attuali. Una delle sfide sarà anche quella di far sì che questo farmaco venga somministrato solo in maniera locale per non compromettere anche le cellule sane.

Prima ha fatto riferimento all’utilizzo di diverse tecniche sperimentali e di vari laboratori. Ce ne può parlare?

Questa ricerca è nata con un progetto che abbiamo presentato io e la dottoressa Lucia Comez di Perugia circa 7 anni fa. È un processo startup del CNR grazie a cui abbiamo avuto i fondi per assumere un assegnista di ricerca per un anno e per comprare dei campioni. Si tratta di materiale molto costoso, almeno per i nostri budget. In questo modo abbiamo cominciato a studiare il problema e a prendere confidenza con il sistema con degli esperimenti qui nel nostro laboratorio Perugia. In seguito facendo domanda al CERIC abbiamo attivato una collaborazione ad Elettra facendo degli esperimenti presso il Sincrotrone di Trieste con una tecnica molto avanzata che si chiama spettroscopia Raman risonante ultravioletta. Abbiamo dovuto fare diversi esperimenti prima di ottenere dei risultati chiari anche perché si deve essere ben sicuri che quanto osservato sia effettivamente reale e riproducibile. Per aver un quadro completo della situazione abbiamo infine fatto degli esperimenti anche a Monaco presso il rettore nucleare utilizzando lo scattering di neutroni a basso angolo e infine un’altra misura l’abbiamo fatta sempre in Germania a Julich. La nostra ricerca quindi è stata il frutto di una collaborazione internazionale che ci ha consentito di caratterizzare il sistema su diverse scale a partire da quelle mesoscopiche nei nostri laboratori per arrivare a quelle noscopiche ad Elettra e in Germania.

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale