IN EVIDENZASALUTE

L’aborto spontaneo è più comune di quanto si pensa

Sotto i 30 anni la probabilità di non portare a termine la gravidanza è del 15%, eppure tante donne si sentono ancora pecore nere. Una chiacchierata con l'esperta su rischi reali e falsi miti.

L’aborto nelle prime settimane di gravidanza è molto più comune di quanto si pensi. Si stima che una donna sotto i 30 anni abbia fino al 15% di probabilità che la prima gravidanza non vada a buon fine. Un caso su sei, una percentuale che cresce con l’età raggiungendo una media del 45% di rischio di aborto a 44 anni. E non dimentichiamo che negli stessi anni si somma anche un’altra difficoltà crescente: quella di riuscire a rimanere incinte.

Purtroppo però, anche a causa del fatto che per pudore o per imbarazzo se ne parla poco anche fra donne, il più delle volte le persone a cui capita pensano di essere pecore nere, rarità malfunzionanti, specialmente in giovane età.

Crediti immagine: Pixabay

“Il primo mito da sfatare è che oggi le donne hanno tempo fino ai quarant’anni per scegliere di diventare mamme. Certo, si può, tutte conosciamo il caso dell’amica di una nostra amica che ha avuto due bambini sani e senza intoppi dopo i quarant’anni, ma statisticamente non è la prassi. Già dopo i 35 anni il rischio che le cose non filino tutte lisce è abbastanza elevato e cresce anno dopo anno – racconta a OggiScienza Maria Elisabetta Coccia, direttore della Struttura di procreazione medicalmente assistita dell’Azienda Universitaria di Careggi, a Firenze, e direttrice dell’Ambulatorio per la Poliabortività.

“A questo si aggiunge la possibilità di poliabortività, cioè l’aver avuto due o più aborti, condizione che riguarda circa il 3% delle coppie, percentuale anch’essa che sale con l’età”.

Le ragioni dell’aborto

Le ragioni di un aborto spontaneo sono diverse e purtroppo, anche dopo essersi sottoposte a tutti gli accertamenti possibili, il 50% dei casi sono a oggi inspiegati. La restante metà dei casi si suddivide in un 10-20% di aborti dovuti a fattori immunitari nella mamma o nell’embrione, un 17% circa a fattori endocrini, un 10-15% a fattori anatomici. Al contrario di quanto si pensa come luogo comune, solo il 2,5% circa degli aborti è dovuto a ragioni genetiche inerenti la coppia e solo raramente a infezioni, come per esempio vaginiti – spiega Coccia.

Posto che l’indicatore principale è sempre l’età, che rende necessario ragionare per gruppi, si osservano comunque delle tendenze comuni. “Gli aborti che avvengono nei primi due mesi sono per la maggior parte dovuti a fattori genetici, che fanno sì che l’embrione fosse in realtà incompatibile con la vita a causa di un’unione anomala fra quel gamete maschile e quel gamete femminile che si erano incontrati. Un esempio sono le trisomie” spiega ancora Coccia.

Per sapere se si tratta di una ragione genetica basterebbe sottoporre l’embrione abortito a esame citogenetico, ma sono poche le coppie a cui viene proposto, in vista di evitare un nuovo aborto.

“Io per esempio ritengo che dal momento che l’età media al primo figlio si sta alzando (in Italia è di 31 anni) dovremmo prendere in considerazione questo tipo di analisi già dopo il primo aborto se la coppia non è giovanissima, per capire davvero qual è la situazione ed evitare il rischio di un altro lutto” continua Coccia.

Nel suo centro, Coccia propone il Concepimento Assistito alle donne che hanno avuto più di due aborti che, dopo tutte le analisi del caso, sono risultati entrambi non spiegabili.

“Non si tratta di procedure di fecondazione assistita: semplicemente riproduciamo una situazione ormonale ottimale nella donna per produrre uno o due follicoli idonei al concepimento e monitoriamo attraverso l’ecografia il momento più adatto alla fecondazione, che avviene con il rapporto sessuale. Successivamente la donna assume del progesterone per favorire l’impianto. In questo modo abbiamo abbattuto del 50% i casi di un ulteriore aborto.”

Molti i miti da sfatare

Sono diversi i falsi miti che le donne si trovano a dover affrontare, fra cui sesso sì/sesso no, ginnastica sì/ginnastica no, lavoro sì/lavoro no, e ancora una volta la risposta è soggettiva e dipende in gran misura dall’età e dall’aver avuto già aborti precedenti.

“Sul sesso per esempio non ci sono controindicazioni di massima, ma se una donna ha già avuto aborti si suggerisce per esempio di evitare l’eiaculazione interna, sia per i germi che per il fatto che le prostaglandine contenute nel liquido seminale favoriscono le contrazioni uterine. Lo stesso vale per l’attività fisica – continua Coccia – non per tutte ci sono controindicazioni, ma magari è bene sospendere attività particolarmente faticose e scegliere per esempio lo yoga o il pilates”.

Ci sono invece i fattori di rischio conclamati, primo fra tutto il luogo di lavoro. Vi sono categorie professionali come le parrucchiere, le infermiere, le donne che lavorano nelle concerie o le anestesiste per esempio, che mostrano tassi di aborto maggiori del valore mediano, in relazione all’esposizione a prodotti chimici.

Un discorso a parte vale per l’endometriosi. “Posto che le donne con storia di endometriosi hanno meno probabilità in media di rimanere incinte, e in generale sono più a rischio per patologie legate all’apparato riproduttore, non si riscontra in letteratura una correlazione significativa fra endometriosi e aborto”.

Insomma, il principale fattore di rischio rimane purtroppo l’età della donna. “Personalmente per esempio credo, ma le opinioni fra gli specialisti sono diverse, che in coppie ultra quarantenni con storia di poliabortività sia meglio rivolgersi a procedure di fecondazione assistita, che permettono per esempio la diagnosi pre-impianto di anomalie genetiche, o di PGT screening, rispetto al rischio molto alto di un nuovo aborto”.

Segui Cristina Da Rold su Twitter

Leggi anche: Per non tornare al buio. Conversazione con Livia Turco su aborto e legge 194

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.