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Come non far temere i droni agli animali? L’assuefazione potrebbe funzionare

I droni permettono di arrivare praticamente ovunque: una bella comodità per chi studia il comportamento animale. Se però l’“oggetto” delle ricerche mostra stress o paura, la cosa non funziona: secondo i ricercatori dell’Università del Minnesota abituarli alla presenza dei dispositivi in volo potrebbe essere una soluzione e, dai primi studi, sembra funzionare.

Il venerdì casual della scienza – A novembre era diventato virale il video del cucciolo d’orso che scivolava lungo una scarpata innevata: il piccolo prova e riprova, fino a che non riesce a raggiungere la madre. Immagini tenere, commoventi, per molti anche motivazionali. Però, c’è un però. Sì, perché secondo gli esperti, è stato proprio il drone che girava il video a mettere in fuga gli orsi. Questi dispositivi sono sempre più utilizzati, anche a fini di studio, ma se spaventano gli animali di cui devono osservare il comportamento si rischia di essere punto e a capo.

Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Conservation Physiology gli orsi si abituerebbero ai droni. Ricerche precedenti indicavano come gli animali mostrassero paura o stress in loro presenza, ma, utilizzando un cardiofrequenzimetro, si è visto che gli orsi che avevano fatto l’abitudine alla presenza dei droni continuavano a essere tolleranti nei loro confronti anche dopo un periodo di 3-4 settimane o più.

Se da un lato i sistemi aeromobili senza pilota forniscono innumerevoli opportunità per raccogliere dati sulla conservazione delle specie, sulla biologia della fauna selvatica e sull’ecologia, dall’altro diversi studi hanno documentano un cambiamento nel comportamento degli animali quando un drone si librava a poca distanza. Proprio la capacità di questi dispositivi di volare o rimanere in stallo a basse altitudini rischia di essere anche il loro maggior difetto. Anche se gli orsi non mostrano spesso segnali di paura, come darsi alla fuga, il loro battito cardiaco arriva a quadruplicare rispetto ai valori misurati in assenza di droni nelle vicinanze (162 battiti al minuto contro 41).

Per questa ragione i ricercatori dell’Università del Minnesota hanno verificato se l’orso nero o baribal (Ursus americanus) riuscisse ad acclimatarsi all’esposizione ripetuta alla presenza dei droni e se questo livello di tolleranza persistesse anche durante un esteso periodo in assenza di velivoli mignon. Grazie all’impianto di un biologger* cardiaco, il gruppo ha misurato la frequenza cardiaca di cinque orsi in cattività prima e dopo i voli del drone. I ricercatori hanno arrestato i sorvoli per 118 giorni, per poi riprenderli. Gli orsi neri hanno mostrato chiari segnali di un aumento nella tolleranza, sia a breve che a lungo termine, anche dopo un intervallo di tre mesi.

I ricercatori, però, hanno sottolineato come il tasso di assuefazione dipenda probabilmente dalla specie. In generale gli orsi tendono ad avere contatti frequenti con le persone, mostrando meno paura dopo esposizioni ripetute: potrebbero essere predisposti, perciò, a diventare tolleranti verso nuovi disturbi. È possibile che altri animali siano meno inclini ad abituarsi. “È importante notare come gli esemplari di orso in questo studio abbiano mostrato stress in risposta ai primi voli del drone”, ha rimarcato Mark Ditmer, primo autore dello studio e ricercatore presso l’Università del Minnesota. “I voli ravvicinati alla fauna selvatica con il drone andrebbero evitati se non hanno una ragione valida. In ogni caso, la nostra scoperta mostra come l’uso dei droni per la conservazione, per esempio per pattugliamenti antibracconaggio, può avere dei benefici senza causare elevati stress sul lungo periodo.”


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* Con biologger si intendono tutti quei dispositivi, di qualsiasi forma o taglia, collegati direttamente all’animale, che permettono la raccolta e l’archiviazione di dati. Possiedono sensori che possono raccogliere qualsiasi tipo di informazione, incluse le coordinate GPS, le condizioni dell’ambiente circostante o del corpo dell’animale, la velocità a cui si sposta, la profondità e la pressione circostante per le creature che vivono sott’acqua.

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.