SALUTE

Eliminare l’epatite entro il 2030 è davvero possibile?

I risultati di una commissione The Lancet mostrano che siamo ben lontani dagli obiettivi, con pochissimi diagnosticati sia per epatite B che C. Eppure un modo per cambiare le cose c'è. Dicono.

In queste settimane la nota rivista The Lancet ha pubblicato i lavori prodotti da una commissione lanciata nel 2016 per valutare l’attuale situazione globale della diffusione dell’epatite e di identificare le priorità, per paesi, regioni e a livello mondiale. Obiettivo: eliminare questa malattia dalla faccia della terra nei prossimi decenni, anzitutto raggiungendo gli ambiziosi propositi fissati dalle Nazioni Unite di riduzione della mortalità correlata all’epatite del 65% e delle nuove infezioni del 90% entro il 2030.

Sono obiettivi realizzabili?

Secondo quanto scrive nel suo editoriale Rob Brierley, caporedattore di The Lancet Gastroenterology, entro il 2030 sarebbe addirittura possibile eliminare completamente ogni forma di epatite nel mondo, nonostante i pessimi risultati di oggi. La diagnosi di epatite virale rappresenta una barriera significativa all’eliminazione. Solo il 10% dei 292 milioni stimati di persone che vivono con infezione cronica da Epatite B erano a conoscenza del loro status nel 2016, e solo il 20% dei 71 milioni di individui con infezione cronica da Epatite C. I trattati poi sono ancora di meno. Ogni anno, l’epatite virale uccide 1,34 milioni di persone, che è paragonabile a decessi dovuti a HIV/AIDS, malaria e tubercolosi. Lo sviluppo di una nuova diagnostica accessibile è essenziale, così come la loro più ampia integrazione nei sistemi di assistenza sanitaria, piuttosto che essere limitati ai centri specializzati. “Il coinvolgimento della società civile è essenziale” scrive Brierley.

La buona notizia è che misure e trattamenti di prevenzione altamente efficaci hanno reso l’eliminazione globale dell’epatite virale un obiettivo realistico approvato da tutti gli stati membri dell’OMS. Certo, si tratta di uno sforzo che richiede di camminare tutti quanti nella medesima direzione senza distrazioni. “Nonostante la mortalità annua da epatite virale sia simile a quella delle altre principali malattie infettive come l’HIV e la tubercolosi – scrive Brierley – le politiche per ridurre l’impatto dell’epatite virale sono rimaste indietro rispetto a alle altre principali malattie trasmissibili.”

La diagnosi non basta se rimangono disuguaglianze nell’accesso al trattamento

I prezzi di mercato spesso mettono questi farmaci fuori dalla portata dei pazienti in molti paesi a basso reddito e, in alcuni casi, in quelli dei paesi ad alto reddito. Accordi di licenza volontari con aziende farmaceutiche hanno ridotto i prezzi in alcuni paesi e territori consentendo la produzione di versioni generiche; altri paesi hanno fatto ricorso all’emissione di licenze obbligatorie per uso pubblico.

Tenofovir alafenamide per l’epatite cronica B è disponibile a un prezzo di mercato più basso in quasi tutti i paesi. Il paradosso – rileva The Lancet – è che in molti paesi a basso e medio reddito il farmaco è disponibili a un prezzo basso solo per le persone con coinfezione epatite B-HIV, ma non per quelli solo con epatite.
Nel caso dell’Epatite C la questione è più drammatica e disuguale. In alcuni paesi una confezione di Sofosbuvir, sufficiente per quattro settimane di trattamento costa 250 dollari, una di sofosbuvir/ledipasvir or sofosbuvir/velpatasvir 300 dollari a confezione. In altri paesi dove sono disponibili i generici i prezzi sono chiaramente più bassi.

Sofosbuvir è un farmaco estremamente efficace per la cura dell’epatite C. Si stima che il 90% dei pazienti guarisca nel giro di 12 settimane, un risultato che altri farmaci non permettono di raggiungere. Il farmaco è stato commercializzato da Gilead dal 2013 negli Stati Uniti e dal 2014 in Europa, come monopolio, che in Europa ha ancora oggi possedendone il brevetto.
Le riduzioni dei prezzi più significative si sono avute in Pakistan e in Egitto, dal momento che Gilead stessa permette ad altre aziende farmaceutiche di produrre Sofosbuvir pagando delle royalties ma con limiti nelle possibilità di commercio in alcuni paesi, indipendentemente dal tasso di incidenza della malattia. Nel giugno 2018, il Ministero della Salute ucraino, sostenuto dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, ha completato un’offerta che ha garantito un prezzo di 20 dollari a confezione per il sofosbuvir generico e di 6 dollari per il daclatasvir generico.

Epatite B e vaccino

Per quanto riguarda l’epatite B la chiave di volta è la vaccinazione. Le stime parlano di 310 milioni di infezioni croniche evitate grazie ai vaccini fra il 1990 e il 2020. Le coperture in media non sono bassissime: nel 2017 l’OMS ha stimato che l’84% dei bambini si stima abbia ricevuto la terza dose di vaccino, ma non in tutti i paesi è così.

Un altro problema è rappresentato dalle co-infezioni. Si ritiene che almeno il 5% degli individui con Epatite B sia anche infettato dal virus dell’Epatite D, che richiede appunto la presenza di Epatite B per la propria replicazione. Il punto è che gli individui con Epatite B non vengono regolarmente testati per anche per l’Epatite D, e di conseguenza le statistiche non sono precise, nonostante la co infezione si traduca in una malattia molto più aggressiva, con una progressione accelerata verso la cirrosi.

Ci sono infine le infezioni acute da Epatite E, che provocano circa 44 000 decessi all’anno, cioè il 3% della mortalità legata all’epatite virale. Una cifra che potrebbe essere facilmente ridotta attraverso una migliore igiene, accesso a fonti d’acqua sicure e migliorando la sicurezza alimentare.


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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.