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Conservazione delle specie: un nuovo metodo per valutare il rischio di estinzione

La Lista Rossa IUCN aggiorna i dati sulla conservazione delle specie, ma è un processo lungo e complesso. Un nuovo metodo potrebbe migliorarne l'efficienza.

Nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che valuta lo status di conservazione di animali e vegetali, potrebbero esserci almeno 600 specie in pericolo annoverate oggi come “non minacciate”. Ma non sono le uniche. Circa 100 altre specie non ancora valutate per mancanza di dati potrebbero trovarsi nella stessa situazione.

A dirlo è un nuovo sistema elaborato dall’ecologo Luca Santini e i colleghi della Radbound University. Lo studio, pubblicato su Conservation Biology, potrebbe portare dei cambiamenti nel modo in cui si valuta la conservazione delle specie sul pianeta e aiutare a indirizzare meglio gli sforzi per proteggerle, ad esempio individuando più rapidamente quelle che hanno urgente bisogno di essere tutelate.

Molte specie sono a oggi non classificate per mancanza di dati. Tra queste diversi tragulidi, dei piccoli ungulati. In foto Tragulus javanicus, immagine di Levg, CC BY-SA 3.0

I risultati ottenuti dai ricercatori sono in linea con quanto troviamo nella Lista Rossa per la maggior parte delle specie, ma per alcune la situazione è sensibilmente diversa. Tra queste ci sono il rallo di Luzon, un uccello delle Filippine, e il tragulo di Williamson, un ungulato che vive nelle foreste della Thailandia, entrambi a oggi classificati come specie per le quali mancano dati. Ovvero non classificate.

Quando una specie viene inserita in una determinata categoria della Lista Rossa, specialmente se si avvicina all’estinzione, non è importante solo per informare chi la studia e si occupa di tutelarla, come i ricercatori. È un elemento cruciale anche per poter fare interventi mirati, ad esempio chiedere più risorse o cambiamenti di policy ai decisori politici e ai governi.

Per questo è importante avere valutazioni aggiornate, un compito arduo che spetta ai ricercatori i quali – a intervalli di qualche anno – valutano lo status delle specie, la loro distribuzione, le oscillazioni delle popolazioni e le condizioni dell’ambiente in cui vivono, per classificarle poi all’interno di cinque categorie: minor preoccupazione (least concern, LC); quasi minacciata (near threatened, NT); vulnerabile (vulnerable, VU); in pericolo (endangered, EN); in pericolo critico (critically endangered, CR).

Agli estremi ci sono da un lato l’estinzione, totale o in ambiente selvatico per quelle specie che sopravvivono in cattività, dall’altro la carenza di dati, che per alcune specie non permette di fare alcuna valutazione. Quali sono le sfide maggiori per chi si occupa oggi di conservazione e cosa cambierà ora, nelle valutazioni, grazie al nuovo metodo? Ne abbiamo parlato con Luca Santini.

In cosa consiste esattamente il nuovo metodo che descrivete nello studio e quale cambiamento porterà una volta implementato nei sistemi IUCN?

Il metodo consiste nel prendere dati di cambiamento di copertura del suolo annuali (mappe ad alta risoluzione classificate in varie categorie come foreste, praterie, urbano…) e stimare il cambiamento dell’habitat idoneo delle specie nel tempo all’interno del loro areale di distribuzione. Da questi dati possiamo stimare la quantità di habitat idoneo, il tasso di cambiamento e il grado di frammentazione dell’habitat. In seguito, servendoci di modelli statistici che ho elaborato in ricerche precedenti, abbiamo la possibilità di usare i dati per fare una stima approssimativa della dimensione della popolazione e del suo cambiamento nel tempo. Tutti questi dati possono essere usati per informare i criteri della Lista Rossa e classificare così le specie in diverse categorie di rischio di estinzione.

Secondo il vostro metodo, oltre a 600 specie classificate in modo troppo conservativo è possibile valutarne circa un centinaio che finora non erano classificate per mancanza di dati. Come ci siete riusciti?

In passato ci sono stati studi che hanno cercato di fare lo stesso per le specie non classificate a causa della mancanza di dati, ma si erano concentrati sulla vulnerabilità delle specie – ovvero quanto sono intrinsecamente a rischio date le loro caratteristiche biologiche – mentre noi ci concentriamo su fattori esterni, in particolare modo sulla loro perdita di habitat.

Cosa hanno in comune le 600 specie che nella lista non sono considerate a rischio ma, secondo il vostro studio, probabilmente lo sono? Vivono in posti irraggiungibili o magari c’è scarso interesse da parte della comunità scientifica, perciò non ci sono valutazioni recenti?

Entrambi i punti che hai accennato. Sono specie poco conosciute, per cui abbiamo pochissimi dati. Spesso conosciamo solamente il loro range di distribuzione geografico. Le ragioni possono essere appunto che sono specie difficili da studiare – specie criptiche e in zone poco accessibili – o specie per cui difficilmente si trovano fondi per fare raccolta dati, perché non particolarmente carismatiche. Molte sono pipistrelli, roditori o passeriformi. È importante considerare che la Lista Rossa non investe denaro per la raccolta dati delle specie ma si affida alle conoscenze che già abbiamo. Se una specie è difficile da studiare e non è ritenuta a rischio, difficilmente riceve fondi per ricerca ed è probabile che rimanga poco studiata.

Come si potrebbe integrare il vostro metodo nel sistema di classificazione attuale della IUCN?

Il sistema di classificazione IUCN è volutamente flessibile, per permettere di valutare il più ampio numero di specie possibile. Si affida a diversi criteri, ognuno dei quali può indicare una categoria di estinzione. Se abbiamo abbastanza dati da applicare più di un criterio, solo quello che determina il rischio di estinzione maggiore verrà preso in considerazione per la categoria di rischio. Questo permette di utilizzare ciò che abbiamo a disposizione sul più vasto campione di specie possibile, ma d’altro canto ha un’altro effetto meno compreso. Più dati abbiamo – e quindi più criteri utilizziamo – e più è  probabile che la specie risulti a rischio di estinzione. Quindi le categorie di estinzione della Lista Rossa non hanno tutte la stessa “qualità” o accuratezza. Alcune sono molto sicure, altre no.

Inoltre la Lista Rossa, per motivi politici condivisibili, cerca di essere conservativa nella valutazione. Se non sappiamo se una specie è a rischio, allora si preferisce dargli una categoria di rischio bassa (non alta). Ci sono ovviamente delle eccezioni e molto dipende dai gruppi di specialisti che lavorano nella valutazione. Il nostro metodo parte da assunti molto ottimistici e, in genere, sottostima il rischio di estinzione. Quando invece stima che una specie è più a rischio di quanto si pensi, allora è il caso di rivedere quali dati abbiamo usato per classificarla e decidere se rivalutarla.

Quali sono le principali difficoltà nel mantenere aggiornate le valutazioni di conservazione delle specie? 

Varia molto tra i diversi taxa a seconda dell’organizzazione interna alla Lista Rossa che se ne occupa. Ad esempio, tra uccelli e mammiferi la storia è molto diversa. Gli uccelli vengono rivalutati ogni tre anni da BirdLife international, tutto avviene all’interno di Birdlife, ci sono persone pagate per raccogliere i dati disponibili e aggiornare le categorie. Nei mammiferi invece c’è una direzione centrale che coordina molti gruppi di ricercatori specialisti, ai quali viene chiesto di aggiornare le categorie delle specie. La ri-valutazione dei mammiferi dura circa otto anni: i gruppi di specialisti in questo caso non sono pagati ma fanno un lavoro volontario e per trovare il tempo di lavorarci può volerci molto. Tutto questo si traduce in un aggiornamento delle categorie che mette insieme specie valutate sette anni prima con altre valutate lo stesso anno.

Il tutto è molto costoso, perché la Lista Rossa investe parecchio per organizzare workshop destinati ai gruppi di specialisti, in modo che si riuniscano a discutere le varie categorie delle specie. Il metodo che noi proponiamo permetterebbe di fare uno screening preliminare e di dare priorità alla rivalutazione delle specie partendo da quelle che potrebbero essere più a rischio. Ha il vantaggio di essere oggettivo e comparabile tra le specie. Non abbiamo bisogno di rivalutare frequentemente specie che probabilmente sono stabili, ma c’è bisogno di rivalutare al più presto specie che stanno scomparendo velocemente. Potrebbe anche essere usato per indirizzare la raccolta dati su specie di cui sappiamo poco.


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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".