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Anita Borg, l’informatica che ha lottato per la piena partecipazione delle donne alla rivoluzione tecnologica

Tra gli anni Ottanta e Novanta è diventata il simbolo dell’inclusione femminile nelle stanze dei bottoni della computer science.

Anita Borg è stata un’informatica americana, specializzata nello sviluppo di sistemi operativi e di programmi per la gestione di comunità virtuali. Morta prematuramente nel 2003, oggi non è ricordata solo per i suoi meriti in campo tecnologico, ma anche – forse soprattutto – per essere stata una visionaria e un’anticipatrice, capace di coniugare le sue conoscenze a una visione lungimirante dei cambiamenti in atto nella società, aumentando la portata della rivoluzione tecnologica e lavorando affinché sempre più donne potessero farne parte.

Ha creato un sistema di comunicazione online quando il web e i social network non esistevano ancora e fondato la prima e più importante mailing-list rivolta unicamente alle donne che operano in ambito tecnologico. Tra gli anni Ottanta e Novanta è diventata il simbolo dell’inclusione femminile nelle stanze dei bottoni della computer science.

I primi anni

Anita Borg Naffz nasce nel 1949 a Chicago, in Illinois. Figlia di una casalinga e di un commerciante, trascorre l’infanzia tra Kanehohe, nelle Hawaii, e Mukilteo, nello stato di Washington. Appassionata di scienza e matematica sin da bambina, dopo il diploma si iscrive alla University of Washington di Seattle. Frequenta i corsi per due anni, fra il 1967 e il 1969, ma si sposa giovanissima e decide di abbandonare gli studi per seguire il marito a New York. Trova lavoro nella sezione elaborazione dati di una compagnia di assicurazioni; qui entra per la prima volta in contatto con un computer e, pur svolgendo la mansione di segretaria, impara da autodidatta i rudimenti della programmazione in COBOL. L’informatica diventa la sua passione. Nel frattempo si separa dal marito e ricomincia a frequentare l’università. Accede alla New York University, dove è da poco stato attivato un dipartimento di computer science.

Nel 1981 consegue il dottorato in informatica con una tesi sull’efficienza della sincronizzazione, ovvero la successione temporale delle informazioni elaborate dal computer. Trova subito lavoro come programmatrice e sviluppatrice per la Auragen Systems, software house del New Jersey. Trascorre un periodo in Germania, dove si occupa di sviluppare un sistema operativo per Nixdorf Computer. Nel 1986 viene assunta da Brian Reid, uno dei più importanti informatici statunitensi, per lavorare presso il Western Research Laboratory della Digital Equipment Corporation, società californiana che produce microprocessori. Qui progetta un metodo per generare per l’ottimizzazione di sistemi di memoria ad alta velocità.

Dopo alcuni anni viene trasferita al Network Systems Laboratory della stessa azienda, dove lavora allo sviluppo di MECCA, un sistema evoluto per la gestione della posta elettronica. In quegli anni sono in pochi a possedere un indirizzo email e il World Wide Web è ancora in fase embrionale, ma Borg ne intravede le enormi potenzialità. “Nel bel mezzo delle sue ricerche tecniche, ha capito che quello che voleva davvero era usare i computer per collegare le persone”, dichiarerà Brian Reid in un’intervista. È esattamente quello che farà.

Le informatiche fanno rete

Nel 1987, mentre partecipa al ciclo di conferenze del SOSP (Symposium on Operating System Principles) di Austin, in Texas, resta colpita dal fatto che su oltre quattrocento partecipanti le donne siano solo una trentina. Ne nasce un piccolo dibattito con alcune delle informatiche presenti, alla fine del quale Borg propone di creare uno spazio che consenta alle donne del settore di condividere risorse e idee. Non un luogo fisico, ma una mailing-list elettronica. Dodici donne – programmatrici e sviluppatrici, ma anche ricercatrici e professoresse universitarie – aderiscono con entusiasmo. Nasce così Systers (dall’unione delle parole “system” e “sisters”), comunità virtuale aperta solo alle donne che lavorano nel mondo dell’informatica e dell’information technology.

L’intento è quello di aumentare il numero di donne nell’informatica e rendere gli ambienti in cui lavorano più favorevoli alla loro partecipazione a questo settore.

All’interno di Systers le discussioni sono limitate a questioni strettamente tecniche, ma in alcuni casi è consentito affrontare anche tematiche connesse al sessismo e alla disuguaglianza di genere. Emblematico è il caso del 1992, quando Mattel mette in vendita una Barbie che pronuncia la frase “studiare matematica è difficile”. In quell’occasione, saranno proprio i messaggi di protesta inviati dalle donne iscritte a Systers a provocare un moto di indignazione collettiva che raggiungerà i media americani e porterà infine la casa produttrice a rimuovere il microchip con la frase incriminata. Forse il primo caso in assoluto di utilizzo “social” di uno strumento informatico, ancora più significativo perché condotto oltre dieci anni prima dell’invenzione dei social.

Pur senza perdere la sua identità, nel corso degli anni Systers è cresciuta assieme alla rete e, da piccolo spazio virtuale frequentato da poche decine di persone, si è trasformata nella più importante community internazionale per le donne che lavorano in ambito tecnologico e informatico. Systers è attiva ancora oggi e conta più di 7500 iscritte in oltre 65 paesi.

Ispirandosi alla figura mitica di Grace Murray Hopper, pioniera dell’informatica, e stanche di partecipare a convegni con una bassissima presenza femminile, nel 1994 Anita Borg e l’informatica Telle Whitney fondano Grace Hopper Celebration of Women Computing (GHC), un ciclo di conferenze attraverso cui dare visibilità alle donne che operano nel settore. GHC è un successo sin dall’inizio; il primo evento, che si svolge a Washington nel giugno del 1994, vede la partecipazione di oltre 500 informatiche. Oggi GHC è il più grande raduno mondiale di donne che si occupano di informatica e information technology.

Nel 1997, Borg lascia la Digital Equipment Corporation e inizia a lavorare come ricercatrice presso l’ufficio del direttore tecnico dello Xerox PARC di Palo Alto. Quello stesso anno fonda l’Institute for Women and Technology, organizzazione senza scopo di lucro che nasce con l’ambizioso obiettivo di portare la rappresentanza femminile nel settore informatico e tecnologico al 50% entro il 2020. Le iniziative vanno dall’attivazione di borse di studio collegate a progetti di ricerca alla promozione di partnership con organizzazioni pubbliche e private interessate a colmare il gender gap. Nell’arco di poco più di vent’anni di attività, l’istituto ha allargato il ventaglio di iniziative e quadruplicato le sue dimensioni, trasformandosi nella più grande comunità mondiale per informatiche.

L’eredità

Anita Borg scopre di avere un tumore al cervello nel 1999. Muore quattro anni dopo, nel 2003, poco più che cinquantenne. Quello stesso anno, in suo onore, l’Institute for Women and Technology viene rinominato The Anita Borg Institute for Women and Technology. Dal 2017 è AnitaB.org.

Borg ha ricevuto molti premi e riconoscimenti, sia per il suo lavoro che per i contributi all’avanzamento delle donne in campo informatico. Tra i più importanti, ricordiamo l’Ada Lovelace Award, assegnatole nel 1995 dalla Association for Women in Computing e la nomina a membro della Commissione presidenziale per l’avanzamento delle donne e delle minoranze nella scienza, conferitale dal Bill Clinton nel 1999.

Per renderle omaggio, nel 2004 Google ha istituito la borsa di studio Google Anita Borg Memorial, che dal 2017 si chiama Women Techmakers. Oggi il programma include studentesse di informatica provenienti da Canada, Australia, Nuova Zelanda, Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Le donne non occuperanno il 50% dei posti nell’informatica entro il 2020, come sognava Anita Borg, ma quando questo accadrà non avranno dubbi su chi ringraziare.


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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.