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Alla carne artificiale manca la ricerca di base

Negli ultimi anni le imprese "Clean meat" hanno investito decine di milioni di dollari, ma rimangono importanti ostacoli tecnici.

Stando a sentire gli industriali che vi si stanno dedicando – per esempio Mosa Meat, la start-up olandese che produce hamburger in laboratorio – la possibilità di produrre carne artificialmente, in laboratorio, liberando gli animali da questa mannaia, è sempre più concreta. Il parere dei ricercatori è invece più cauto: permangono ancora troppi ostacoli tecnici dovuti alla mancanza di un’adeguata ricerca di base, che è conseguenza di investimenti troppo scarsi da parte del mondo accademico e delle istituzioni.

Negli ultimi due anni, le start-up di “clean meat” hanno raccolto decine di milioni di dollari da miliardari come Bill Gates e Richard Branson e dai giganti dell’agricoltura Cargill e Tyson. Eppure, nonostante il crescente interesse commerciale i critici sostengono che l’industria non ha molte delle competenze scientifiche e ingegneristiche necessarie per produrre carne artificiale davvero di qualità a prezzi di mercato. C’è poi l’eterno problema di questi casi: i progressi fatti dalle ditte commerciali sono spesso protetti come segreti commerciali.

Crediti immagine: Pixabay

Ricerche alternative e sfide

Finalmente pare che questa spinta sia arrivata negli Stati Uniti, come racconta il giornalista Elie Dolgin su Nature. Il Good Food Institute (GFI) – un think tank di Washington DC che promuove ricerche alternative alla carne convenzionale – ha annunciato i vincitori del suo programma di sussidi. 14 progetti si spartiranno 3 milioni di dollari: 6 di questi lavoreranno sulla carne coltivata in laboratorio e i rimanenti 8 sulle proteine vegetali.

Ogni squadra riceverà fino a 250.000 dollari in due anni. Finora – continua Dolgin – il National Institutes of Health ha finanziato la maggior parte della ricerca sull’ingegneria dei tessuti, ma si è concentrato sulle applicazioni biomediche, mentre il Dipartimento dell’Agricoltura ha finanziato la maggior parte degli studi di scienze alimentari, spendendo però poco nella carne coltivata in laboratorio.

Le principali sfide per la ricerca in questo settore sono lo sviluppo di migliori linee cellulari e di mezzi nutrienti per alimentare tali cellule, insieme a materiali che contribuiscono a modellare le cellule coltivate nei tessuti e a piattaforme per la produzione di carne su larga scala.

Un’area in cui il denaro potrebbe fare la differenza è lo sviluppo di linee cellulari rese disponibili senza brevetto derivate dai muscoli di mucche, maiali, pesci e altri animali usati comunemente nell’industria alimentare. Senza tali cellule, i ricercatori devono o ottenere tessuti freschi dai macelli o eseguire i loro esperimenti a partire da cellule di topi. A Oslo, il Centro norvegese per la ricerca sulle cellule staminali prevede di utilizzare una sovvenzione per aiutare a costruire una “fattoria congelata” cioè un deposito di linee cellulari di rilevanza agricola.

Altri ricercatori vogliono applicare le lezioni apprese da decenni di ricerca in medicina rigenerativa. Amy Rowat, biofisica presso l’Università della California a Los Angeles, che studia la biomeccanica delle cellule tumorali, sta tentando capire come combinazioni di diversi tipi di cellule di mucca possano promuovere la marmorizzazione del grasso per creare bistecche in laboratorio sempre più simili a quelle naturali.

Creare un nuovo tipo di carne o ridurne il consumo?

È chiaro che la prospettiva di fondo è quella di modificare l’oggetto problematico e non il soggetto, cioè il nostro modo di rapportarci all’alimentazione. Ed è un approccio comunque discutibile. La domanda di fondo rimane aperta: cosa è davvero più sostenibile per il pianeta? Creare una carne sempre più simile a quella reale senza porci il problema di quanta ne consumiamo, anzi andando a creare un mercato nuovo, ma fondato sulle medesime dinamiche di quello attuale; o tentare la strada utopistica di ridurre drasticamente il consumo di carne rifondando la nostra alimentazione su altri schemi?

Un punto nodale della faccenda è sicuramente la salute. Si apre dunque la questione di quanta ricerca sia necessaria affinché si conoscano davvero gli effetti a lungo termine di un’alimentazione basata anche su questa “carne artificiale”. Questo prodotto artificiale è composto da acidi grassi essenziali, vitamine (D e B12) e ferro, senza invece la L-carnitina. Ma soprattutto la carne artificiale è esente dal rischio di contaminazioni da parte di batteri come l’Escherichia coli e la Salmonella, che rappresentano un grosso problema di salute pubblica, legato anche al pericolosissimo fenomeno della farmaco resistenza.


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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.