ricercaSALUTE

Deficit di neuroni? Ideato un mix farmacologico per riprogrammare gli astrociti

Quattro molecole in grado di riconvertire le cellule della glia in neuroni.

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: questo celeberrimo postulato di Lavoisier potrebbe presto assumere un significato del tutto nuovo – e molto importante – nel campo delle neuroscienze cliniche: un gruppo di ricerca della Pennsylvania State University ha infatti recentemente ideato un metodo in grado di convertire le cellule gliali, una popolazione cellulare molto comune nel nostro sistema nervoso, in neuroni. E il tutto utilizzando un cocktailcostituito da pochi farmaci.

Crediti immagine: Pixabay

Neurogenesi: solo nei primi anni di vita?

Per decenni la comunità scientifica, dopo che sono state caratterizzate le fasi che portano alla neurogenesi (ossia alla nascita di nuovi neuroni) a partire dalle cellule staminali neurali, era sicura nel relegare questo processo alla fase embrionale e ai primi anni della vita dell’essere umano. In realtà negli ultimi anni hanno dimostrato che fenomeni di neuroplasticità e neurogenesi sono osservabili anche in piena età adulta; ciononostante, si tratta di fenomeni circoscritti ad aree specifiche del cervello (come l’ippocampo), e molte volte la nascita di nuovi neuroni non è sufficiente per il ricambio di cellule danneggiate: è il caso, ad esempio, di lesioni provocate da traumi o da ictus, o ancora da malattie neurodegenerative che colpiscono una specifica sottopopolazione neuronale, alterando i delicati equilibri tra le concentrazioni di neurotrasmettitori all’interno del sistema nervoso centrale (ad esempio le due più famigerate forme di degenerazione senile, la Malattia di Parkinson e quella di Alzheimer, colpiscono in modo specifico i neuroni che producono, rispettivamente, dopamina e acetilcolina).

Come fare allora per avere una “riserva di neuroni” da cui attingere in caso di bisogno? La risposta data da diversi gruppi di ricerca nel mondo, tra cui quello della Pennsylvania, è affascinante nella sua semplicità: riprogrammando altre cellule presenti nel nostro cervello, nel midollo spinale e nei nervi, ovvero modificandone struttura, attività metabolica e funzionalità. Oltre ai neuroni, nel sistema nervoso sono infatti presenti altre tipologie di cellule, indicate col nome generale di glia, che svolgono quello che si potrebbe definire il “lavoro sporco” necessario per un corretto funzionamento della complicatissima macchina che è il cervello umano: le cellule gliali infatti mantengono l’omeostasi necessaria per una corretta comunicazione biochimica, creano la mielina (sostanza cruciale per la conduzione del segnale elettrico) e forniscono ai neuroni protezione e supporto. All’interno della glia i ricercatori hanno selezionato, nello specifico, una sottopopolazione di cellule chiamate astrociti, fondamentali per l’apporto di nutrienti ai tessuti nervosi, per il supporto fornito alle cellule endoteliali che formano la barriera ematoencefalica e per i meccanismi di riparazione che si innescano a seguito di un evento traumatico.

Riconvertire gli astrociti

A differenza delle cellule staminali, tuttavia, gli astrociti sono cellule ben differenziate. Come fare allora a “riconvertirle” in neuroni funzionanti? La prima strada esplorata dal Prof. Gong Chen e dai suoi collaboratori è stata quella della terapia genica; tuttavia questa tecnica è stata scartata nel momento in cui sono ne stati quantificati i costi, che possono raggiungere il mezzo milione di dollari per paziente. Il gruppo di ricerca ha allora iniziato a lavorare su una precisa sequenza di sostanze grazie alla quale è possibile “invertire la rotta” di un astrocita, cambiandone forma, struttura e funzione. I primi studi dell’equipe di Gong Chen utilizzavano fino a 9 molecole: una procedura lunga ed elaborata, che ha reso pressoché impossibile il passaggio alla sperimentazione clinica. Si è allora deciso di restringere il numero di sostanze (e quindi di farmaci) necessarie per la riprogrammazione neuronale: “in questo studio abbiamo identificato la sequenza chimica più efficiente all’interno delle centinaia di possibili combinazioni – spiega Jiu-Chao Yin, una giovane ricercatrice che all’interno del team di ricerca si occupava appunto di testare le varie soluzioni – e abbiamo identificato quattro molecole, che modulano quattro diversi segnali cellulari. In questo modo siamo stati in grado convertire la maggior parte degli astrociti, circa il 70%, in neuroni”.

I neuroni così ottenuti sono sopravvissuti per più di sette mesi in apposite colture cellulari, hanno formato network neurali robusti ed erano in grado di scambiarsi reciprocamente segnali elettrochimici, tutti elementi che fanno ben sperare per applicazioni cliniche nel futuro prossimo: “il vantaggio più significativo di questo nuovo approccio è il fatto di poter realizzare una pillola contenente i quattro principi attivi, che possa essere facilmente distribuita anche nelle aree più rurali, o sprovviste di avanzati sistemi ospedalieri” spiega Chen. Un farmaco che possa essere di aiuto per chi, ovunque nel mondo, debba affrontare i sintomi dovuti a traumi o patologie che aggrediscono in modo mirato i neuroni, “mattoni” del nostro cervello, e quindi della nostra mente.


Segui Marcello Turconi su Twitter

Leggi anche: I neuroni che decidono cosa mangiamo

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Condividi su
Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.